dei Pichler, lo chef Levin Grüten racconta la sua montagna in movimento, con picchi graffianti e un orizzonte pronto a sconfinare tanto nell'Estremo Oriente, quanto in Nord Europa.
Hotel Haller- Ristorante AO
Nell'era dell'immagine sovrana, il fine dining evoca più l'idea dello chef che dell'insegna. Spetta a lui apparire, condurre i giochi e -come spesso accade- ostentare i premi ricevuti con malcelata fierezza. Levin Grüten sembra fare eccezione: nel suo caso il ristorante è un affare di famiglia, a rinsaldare una squadra già unita che nel successo ha visto il naturale prolungamento del proprio orizzonte montano scandito dai filari; un "noi" diffuso quale joining link fra piatto e individuo. Così, all'Hotel Haller, nessuno parla di sé e tutti parlano di tutti.Non troverete saune al pino mugo, aria condizionata in camera o blasonati pesci marini in menu; accade invece di svegliarsi tra i vigneti, respirare il legno ovunque -dalle suite alla stube del fine dining AO, sottilmente venata di modernità- e inquadrare l'umile trota di fiume da un'altra angolazione.
Ma ciò che fa la differenza, in questo albergo nato da una rustica dimora agricola ed arrivato a costruire una cucina ad alto coefficiente territoriale, è il fattore umano: un albero genealogico ben piantato nella collina che veglia dall'alto su Bressanone, dove ciascuno supporta l'altro, si tratti di accogliere il nuovo venuto o coltivare l'orto. L'indole ospitale come soundtrack di un'esperienza che travalica il boccone e connette le persone.
L'Hotel Haller e la famiglia Pichler
Un maso, due baldi ristoratori e allegre frotte di golosi che giungono da ogni dove per sfidarsi a cucchiaiate di bontà altoatesine. Inizia così, tre generazioni fa, la storia dell'Haller, allora guidato da Maria e Anton Pichler. Sono i nonni di Teresa, attuale manager e sommelier dell'insegna, che giovanissima ha fatto le valigie per sondare il campo della ristorazione oltreconfine, dalla Svizzera all'Australia. Rincasata con un numero di esperienze più elevato della sua età anagrafica, affianca i genitori nell'invenzione di un format atipico per l'hotellerie di zona. Si tratta di invertire marcia e sterzare verso l'etica totale, abbracciando la modernità.
Così, mentre il papà Hans prosegue l'attività nel vigneto per produrre ottimi Kerner e Sylvaner, l'antico edificio muta in un albergo immerso fra i grappoli sfiorati dal vento, con 18 suite vista vette e un'elegante stube in legno di cirmolo, dove persino le lampade riflettono i cicli della natura, incorporando le foglie di vite cadute a terra una volta secche grazie al talento della designer Jasmine Castegnaro.
Di lì a poco l'estro fiorisce anche in cucina: a coglierne i frutti è il fratello Simon, subito affiancato dal fidanzato di Teresa, Levin. E il cerchio si chiude come un rito propiziatorio sul gourmet AO, fulcro di una ricerca dinamica che non conosce limiti spaziali. Sì, perché quella di Levin Grüten è una montagna in movimento, con picchi graffianti e un orizzonte pronto a sconfinare tanto nell'Estremo Oriente, quanto nel Nord Europa: grandi prodotti alpini in viaggio su binari globali che ridisegnano la geografia.
La cucina
"Abbiamo un tale accesso alle tecniche di tutto il mondo, che a volte rischiamo di dimenticare da dove veniamo. Dovremmo guardare più spesso in basso: la terra indica la via". Ha il tono fermo, Levin, e la consapevolezza di chi non perde la bussola fra alambicchi e contaminazioni.
I suoi piatti recano l'impronta di mille marce estere ricondotte sul sentiero tirolese. Il Belgio delle origini, le basi di pasticceria, l'Asia in linea d'aria, lo stage al Noma. Va in Australia e vi scopre un Nuovo Mondo ittico; le salse orientali sono micce per le idee. Ma giunto a Bressanone, dopo aver conosciuto Teresa, inizia a usare solo pesci d'acqua dolce e realizzare il miso con l'orzo al posto della soia.
Piccoli slalom che fanno goal. E l'armonia è anche data da una coppia che s'intende al primo cenno.
"Ragioniamo sulla somma, non sul singolo elemento. Le portate hanno un'indole decisa che, però, si riconcilia con la loro 'spalla' liquida. Proporre creazioni troppo speziate o invadenti complicherebbe il pairing e rischierebbe di allontanare i clienti dal calice. Vogliamo invece che il piacere sia proporzionato all'enterteinment". Ciò che di vegetale giunge in cucina proviene dritto dall'orto di casa, la cui gestione spetta a Levin ed Hans Pichler, oppure dai campi di agricoltori fidati e rigorosamente vicini. Sono piante, semi e radici che volumizzano la proteina con una delicatezza inusuale: un green game leggero e mai egemone, seppur costante.
I piatti
Si mangia in una sorta di "stube minimal", dove l'eleganza basica dà il cambio ai vezzosi arredi d'altri tempi. Il lavoro di sintesi investe pure il menu, con piatti dalle caption snelle e un solo percorso degustazione "fisso" in 5 atti a 95€ (nel nostro caso, Winterblues), fermo restando l'iter flessibile di 4 portate sottoposto a variazione giornaliera.
Nel bicchiere, neanche a dirlo, roteano non solo i vini di proprietà -notevole il Kerner- ma anche diversi treat per appassionati, fra cui il Viel Anders "Röck" 2020, un macerato sulle bucce da uve Gewürztraminer e Sylvaner che colpisce per l'ampiezza di profumi e il frutto sontuoso (lo abbiamo assaggiato insieme alla Lingua di manzo, su cui torneremo fra qualche riga).
Levin inizia con una stretta di mano garbata, fatta di primizie side by side. Sul tavolo ligneo risalta una vivace Tartelletta con crema di ceci, semi di zucca e carote, mentre il Cestino d'avena ripiena di sedano in diverse consistenze (crema, fritto e al forno) scompone la sensazione vegetale nella sua triade compiuta.
Dopo una rinfrancante crema di castagne e il pane a lievitazione naturale col burro di montagna, a premere il tasto play è la Trota marinata: su carta un antipasto, in bocca un piatto unico che potrebbe far tranquillamente da main course. Crudo a mo' di tartare, il pesce di fiume comunica a distanza col suo stesso caviale posto in cima, inframmezzato da uno scroscio di prodotti a stimolo continuo: l'insalata di farro per coadiuvare il morso, il cavolo riccio fritto come plus goloso e un dashi al barbecue ottenuto dalle ossa dell'animale cotte sulla brace, cui si uniscono in picchiata il bergamotto e il ginepro. Quest'ultimo arriva quando meno te lo aspetti: la nota alcolica che estrae quelle verdi, neanche fosse un cucù col rintocco.
Punta dritta alla pancia la Lingua di manzo con salsa alla birra, rafano in sfoglie sottili, majo di rafano, semi di sesamo e cipolla agrodolce. "Un taglio bovino fortemente legato a queste zone, ma ormai raro da trovare al ristorante, perché 'piccolo' e più difficile da introdurre al cliente", spiega Levin. "Noi lo stiamo riabilitando in ottica 'nose to tail', partendo dalla cottura gentile di 4 ore. Poi facciamo una riduzione di birra, verdure miste e Sirop de Liège, lo sciroppo di prugne, pere e datteri che in Belgio viene servito col formaggio". Un sodalizio magmatico frutta-luppolo, che accarezza la carne burrosa e si lascia sgrassare un poco dagli accenni pungenti del rafano.
Va invece sull'audace il Raviolino del plin con formaggio Genussjäger, sedano, aglio nero ed erba cipollina. "Usiamo i prodotti caseari del Genussbunker di Hubert Stockner", conferma Levin, "poiché hanno un'intensità strabiliante e fanno da sprone alla ricerca sugli abbinamenti". Trasformato in fonduta, il formaggio vaccino semiduro (di cui spiccano netti gli aromi terrosi, dovuti alla stagionatura per almeno 7 mesi in un ex bunker del conflitto bellico), va a perdere gradualmente l'untuosità in eccesso, conservando intatto il finale morbido, che richiama l'aglio nero fermentato in casa. A velare i ravioli di rotondità è una crema finissima, composta da sedano arrostito con miso di zucca. Tutte fermentazioni domestiche pro-sapidità senza aggiunta di sodio. Sopra, una pioggia fitta di sedano crunchy, che contro ogni aspettativa strizza l’occhio al guanciale.
Modesta solo in apparenza, la Trota salmonata con miso, prezzemolo, miglio e aglio nero torna in tavola con sussiego da regina. La scintilla scocca grazie alla marinatura nel miso di orzo e farro, che Levin lascia fermentare lentamente per 4 mesi innescando un ampio range di sfumature umami. Carni arrostite on the spot, il purè di patate rinfrescato dal prezzemolo e scarpetta a portata di mano per raschiare il cremoso fondale.
Ed eccoci al pre-dessert, una Tarte con crema di yuzu, meringa allo yuzu e cioccolato bianco caramellato. Agrumi tattici in vista di un dolce dal corpo prosperoso. È il Soufflé di nocciola con gelato alla castagna e noci intere pralinate: soffice ma ricco, trattiene una colata di caramello che rafforza l'effetto chaud-froid. Francese di nome, locale di fatto.
Indirizzo
Ristorante AO- Haller Suites&Restaurant
Via dei vigneti 68, I-39042 Bressanone (BZ)
Tel. +39 0472 834601
Sito Web