Da un lato gli appassionati che desiderano avere un’idea chiara di ciò che troveranno in visita: informazioni dettagliate, foto e recensioni; dall’altro i ristoratori, poco propensi a “spoilerare”, tramite i siti web e le pagine social, le particolarità che caratterizzano i loro locali. La disputa è ufficialmente aperta: ogni prospettiva è interessante al fine di comprendere, e il confronto di idee promette di essere stimolante!
La notizia
Fascino enigmatico o strategia di marketing? Questa è la domanda che molti si pongono di fronte al grande dibattito che sta spopolando sul web di recente. Prima di recarsi al ristorante gli avventori sono soliti consultare i siti web delle attività, o in alternativa le pagine social, questo perché desiderano scoprire con largo anticipo ogni singola voce sul menu, eventuali allergeni, ma cosa più importante il listino prezzi. Ultimamente diversi locali hanno deciso di oscurare tali informazioni a discapito della clientela: le motivazioni dietro questa scelta particolare sono diverse e variegate, c’è chi rimane indignato e chi si giustifica.
Infobae ha cercato di riportare entrambi i lati della medaglia, varie testimonianze e prese di posizione. “Noi cambiamo menu stagionalmente” spiega Mackenzie Hoffman (proprietaria di Stir Crazy, a Los Angeles). “Stare dietro alle pubblicazioni richiederebbe troppo tempo e non ne abbiamo. E ti dirò di più, fornire troppi dettagli significa creare delle aspettative che non sempre corrispondono. Se gli ospiti avessero bisogno di delucidazioni saremo più che felici di rispondere tramite e-mail”.
Anche al Warlord di Chicago lo staff è disponibile nell’accontentare qualsiasi tipo di richiesta nonostante l’home page nera “Qui abbiamo la carta, ma siamo pronti per ogni evenienza, qualora gli ospiti fossero vegani o vegetariani ad esempio. Preferiamo improvvisare sul momento piuttosto che stabilire precedentemente gli extra, d’altronde i visitatori dovrebbero lasciarsi andare e affidarsi” afferma lo chef John Lupton.
“Il modus operandi che stanno adottando i ristoratori mi irrita alquanto, devo essere sincero” ha detto Ryan Sutton, critico di LO Times ed ex collaboratore di Eater, “Bisogna poter essere liberi di poter pianificare la propria esperienza enogastronomica, anche da un punto di vista economico. Non si tratta di far rivivere lo spirito romantico di un tempo passato, al contrario la trovo una mancanza di rispetto!”. E non è da meno Adam Platt che li definisce “Un gruppo di ragazzini ribelli e petulanti”.
Eppure, posti come il Frog Club di New York, non offrono notizie, oltre a un collegamento a Resy, e un pulsante "contatto"; Saigon Babylon, a Cambridge, Massachusetts ha solo un account Instagram, con 9 post. Pensate davvero che qualche foto sconnessa e senza contesto lasci libero spazio all’immaginazione o c’è altro dietro che dovremmo sapere?