Idea avvincente ed estremamente identitaria, che sulla carta potrebbe sembrare affaticante al palato, ma si rivela tutt’altro: Luigi Taglienti ricodifica le salse con un registro che alleggerisce e conferisce un accento inaspettato.
La storia
Le teste mozzate dei santi della chiesa rinascimentale di Sant'Agostino fanno una discreta impressione, ma a scorrerle con lo sguardo sprigionano un magnetismo stregante. È maestosa la chiesa più grande di Piacenza, sconsacrata, da quando, alla fine del '700, Napoleone la occupò e le sue truppe sparando decapitarono tutte le statue basse. Lasciando integre solo quelle poste in alto, probabilmente troppo fuori tiro. Oggi questo spazio imponente è diventato Volumnia, luogo di ipnotica fascinazione che Enrica De Micheli, da trent'anni gallerista di antiquariato e design storico, ha restituito alla città grazie a un imponente lavoro di recupero.
"Sono reduce da una riunione con alcuni funzionari del demanio - ci racconta - che si sono complimentati dicendomi che mi portano sempre come esempio virtuoso, perché è raro che un privato si sia fatto carico di restaurare una struttura di questa levatura e mi hanno proposto di inserirlo in una rete museale.” Volumnia, sotto le sue cinque navate espone il design storico di tutto il '900, in particolare gli anni ‘40 e ‘50, durante il salone del Mobile viene sempre allestita una mostra monografica, la scorsa edizione è stata dedicata a Michele De Lucchi. Architetto dall’articolato eclettismo, che spazia con maestria tra creazioni industriali, architetture e opere scultoree, fondendo estrosità, innovazione tecnologica e precisione tecnica. A soli quaranta minuti d'auto dall’area sud di Milano, la chiesa/galleria di Enrica è uno scrigno di complementi d’arredo e oggetti decorativi di bellezza inusuale e raro valore, come il Bogo, il divano scamosciato di Carlo Bartoli con tavolini d’appoggio fra i braccioli; o lo Sparkling Cabinet di Simone Crestani, quasi di ispirazione surrealista, laccato rosa e cosparso di bolle in vetro soffiato.
“Questo luogo ha avuto tantissime vite - ci rivela De Lucchi - dopo la soppressione degli ordini religiosi, i monaci hanno lasciato il monastero adiacente alla chiesa e l’intera struttura è passata allo stato. Poi successivamente è stato deposito militare della caserma qui di fianco.” Dall’uscita laterale dell’edificio, attraversando l’incantevole dehors, si raggiunge quello che oggi è il ristorante “IO Luigi Taglienti”, ricavato negli ambienti dell’ex falegnameria del monastero, arrivata ai giorni nostri in uno stato di grande fatiscenza, oggi finemente ristrutturata, dove, nella parte bassa del muro esterno, è riportata ancora la scritta originaria che ne denotava la funzione: "Falegnameria e manutenzione".
“Prima di acquistare il complesso, fin dalla prima visita, ho sempre pensato che della zona falegnameria mi sarebbe piaciuto farne un ristorante - confessa la gallerista - poi, tramite un’amica comune, ho conosciuto Luigi, e gli ho raccontato la mia idea. Lui è venuto a vedere il posto e se ne è innamorato.” Volumnia ha aperto nel 2018, dopo dodici mesi di lavori, l'anno dopo è iniziato il restauro della falegnameria e del cortile, ma il lockdown ha bloccato l'apertura quando era quasi tutto ultimato. Quindi l’inaugurazione ufficiale è slittata a giugno 2022.
Lo chef e il ristorante
Trenta coperti, distribuiti in uno spazio in cui il blu pavone dei tavoli e delle sedute diffonde una allure liberty, sebbene lo stile sia contemporaneo e raffinatamente minimale. Con l’enorme lampada Moon di Davide Groppi a imporsi totalmente sul colpo d’occhio, ma solo quando la scena non è appannaggio dello chef. Che esce spesso in sala a presentare i piatti, anche a servire il vino, con un registro dal garbo quasi aristocratico, scevro da ogni pedanteria o esibizione del sé, come spesso accade anche a chi ha molti meno titoli per farlo. Sicuramente l’unico chef italiano che sarebbe in grado di cucinare indossando un Caraceni sotto la giacca da cuoco, del resto il claim della più celebre sartoria maschile italiana recita “Con un nostro vestito si può anche tirare di scherma”, figuriamoci se non si riesce a girare un risotto.
Quarantacinque anni, di Savona, Taglienti inizia da ragazzo a dedicarsi all'ospitalità, aiutando la madre nello stabilimento balneare di famiglia. Dopo l'alberghiero, un imprinting di grandissimo valore arriva affiancando Ezio Santin all’Antica Osteria del Ponte a Cassinetta di Lugagnano, tristellato appena fuori Milano. Imprescindibile un periodo in Francia alla Palme D'Or di Cannes dove raffina il suo innato senso del rigore, realizzando che la disciplina può lastricarsi di eleganza, con risultati prodigiosi. Nel 2007, ventottenne, torna in Italia e affianca Giorgio Chiesa alle Antiche Contrade di Cuneo, dove, trascorso un anno, incassa la prima stella Michelin. È il 2012 quando arriva a Milano e per due anni conduce la cucina di Trussardi alla Scala, prima di vedere concretizzato il progetto che fino a quel momento rispecchia maggiormente la sua personalità, Lume, un'apologia del candore espressa in tutte le sue sfaccettature, a parte il rosso del macaron Michelin appeso all'ingresso dopo dodici mesi. Ristorante che chiude il suo corso con l'arrivo dell'emergenza pandemica nel 2020.
"Io adoro il jazz, quello primordiale - esordisce Taglienti - nel jazz lo standard è una composizione che si è radicata nel repertorio comune dei musicisti. E io penso che le salse rappresentino gli standard di tutti i cuochi. La salsa è il DNA del piatto e noi partiamo da lì per costruirlo. Abbiamo messo un orecchio sui rumori della cucina ed è uscito il menu Standards, dove le salse sono il concetto da cui si sviluppa il piatto."
Un degustazione imperniato su grandi classici e Taglienti padroneggia la classicità così in scioltezza che in men che non si dica la ribalta in avanguardia, proiettando il classico nella miglior dimensione avveniristica possibile.
I piatti
All’aperitivo si sorseggia Pinè di Paganini, un metodo classico biologico di malvasia, moscato, trebbiano, sauvignon e ortrugo dal nome di un avo della famiglia, che lasciò il suo lavoro nell’alta moda a Ginevra per tornare a fare l’agricoltore nel piacentino. “Inganniamo l’attesa con uno stuzzichino di benvenuto - dice lo chef arrivando al tavolo - Io adoro il pas-touché”, con i ragazzi lavoriamo con l’obiettivo di lasciare il prodotto il più naturale possibile, senza intervenire troppo, prediligendo soprattutto materie vegetali”. Quindi, senza l’imposizione di sequenze d’assaggio, arriva lampone; burro di harissa, una salsa piccante tunisina con peperoncino rosso fresco, aglio, olio d'oliva; dragoncello. Rapanello bianco con battuto di scampi liguri al vegetale; un financier con mandorla, cerfoglio, parmigiano, limone; rabarbaro, succo d’acero, coriandolo fresco; insalata di recupero con erbe, fiori, agrumi e colatura di alici. In una piccola cocotte, i pomodori marmande liguri emulsionati con frutti rossi e acetosella.
Insieme al cestino del pane, l’olio “Taggiasco di Montagna” monocultivar del frantoio di Sant’Agata di Oneglia, da olive raccolte a Imperia a 600 m di altitudine. Grande delicatezza, ma di carattere. Come vuole la tradizione giapponese, si inizia con un brodo rinfrancante, che resetta e prepara il palato a tutto il resto, dalla freschezza agrumata e acidula, con sedano, yuzu, olio e coriandolo. Il potage moderno secondo Taglienti, parte da una base convenzionale per poi includere ostrica, lasciandola riposare sul piatto tiepido per farle rilasciare la seconda acqua, la migliore, musetto di maiale allo spumante, banana e spinaci. Rotondità, sapidità e astringenza che si spalleggiano sortendo un’armonia diffusa.
La concezione di zuppa contemporanea si sviluppa distribuendo nel piatto coquillage marinière e fegato grasso, irrorati da uno straordinario sugo di pollo al limone e acqua di anguilla. La progressione del percorso si esprime anche attraverso la mutazione delle strutture nei piatti. La partenza è stata affidata a un liquido, si sono aggiunti mano a mano consistenze e concentrazioni di sapori, fino ad arrivare alla presse. Quindi quaglia al vapore, chantilly di champignon al latte di cocco e spremuta di granchio. Anche l’homard Thermidor, tradizionalmente con tuorlo d’uovo, cognac e groviera al forno, ritrova una sua versione contemporanea, con l’astice potenziato da un deciso jus de boeuf, e una cialda di Gruyère DOP.
Per l’anatra si parte dalla salsa bigarade, virata tra una Pechino e un’anatra all’arancia, con cipollotto brasato, la pelle ripassata in doppia cottura, olio di cipollotto e la salsa canonica passata al torchio del pennuto. ” Ecco una salsa di anatra - spiega Luigi - spaccata con le ossa, e tirata al punto giusto, legata col sangue all'ultimo momento, cottura lenta per farla diventare un po' più fondente. Cipolline al passion fruit e ciliegie. Infine, prezzemolata persillade con echalotte, scalogno, zeste di agrumi.”
“In definitiva Standards è un menu di sole salse - sintetizza lo chef - all'inizio avevo in testa di fare quattro menù all'anno oltre alla carta: vegetale, di pesce, selvaggina, definendo delle tematiche quattro volte l'anno. Invece avendo già oltre dieci salse in linea, abbiamo pensato di procedere con un lavoro diverso. E così è nata l’idea.” Idea avvincente ed estremamente identitaria, che sulla carta potrebbe sembrare affaticante al palato, pensando alle versioni accademiche delle salse, ma qui sono ricodificate con un registro che alleggerisce e conferisce un accento inaspettato.
Si chiude con un inno all’essenzialità, un ricordo d'infanzia, la crema della nonna che per Taglienti è anche la quadratura del limone, uno dei suoi ingredienti prediletti.
Contatti
IO Luigi Taglienti
Via Pietro Giordani, 14, 29121 Piacenza PC
T. 0523 604703