Assaggiando i suoi piatti è sorprendente quando si viene a sapere che Alessia è totalmente autodidatta: dopo un esordio in sala nei fine settimana, la giovane chef di Cantina Nicola ha scelto la cucina. Ed ora prosegue il suo percorso con tante idee in divenire.
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Meritano di essere conosciute e visitate, le colline del Monferrato. Siamo in Piemonte, nell’astigiano: Cantina Nicola nasce da queste parti, a Cocconato, tra i borghi più belli d’Italia, nel 2002. All’inizio – il nome lo lascia dedurre con facilità – vi si produce vino, undici anni dopo l’offerta si amplia con l’apertura di un ristorante, dietro al quale, come spesso accade, c’è una storia d’amore.
La chef
Alessia Rolla, classe 1990, prima di infilarsi in cucina era tante cose; ma a scapito del fatto che fin da piccola, quando la nonna le metteva il grembiule per farsi aiutare con gli agnolotti, il pallino ce l’avesse chiaro in testa, non era una cuoca. Ci racconta infatti: “Ho frequentato l’istituto tecnico e il conservatorio in contemporanea, alle medie ho suonato il clarinetto in una banda. Ho preso la firma, ma il lavoro da geometra non mi piaceva: sono appassionata di architettura e design, insomma volevo fare altro. Non era semplice cambiare: ho iniziato a lavorare per due studi di architettura, uno a Torino e l’altro ad Alba. Questo fino a quando mio cognato Federico ha aperto l’agriturismo.”
Nel frattempo Alessia si sposa con Riccardo, ora in sala; inizia quindi come cameriera dando una mano nei fine settimana: “Riccardo mi vedeva tornare a casa dal lavoro sempre tardi, pian piano mi ha coinvolta e dopo un po’ ho mollato l’altro lavoro.” Assaggiando i suoi piatti è sorprendente quando si viene a sapere che Alessia è totalmente autodidatta: “Ho studiato molto e sono andata tanto a mangiar fuori, la prima vera esperienza è stata da Cracco a Milano, nella vecchia sede di via Hugo. Sono rimasta folgorata, una delle esperienze più belle che abbia mai fatto.”
Ascoltando il suo racconto, un altro aspetto di lei che lascia divertiti e ammirati allo stesso tempo è un senso di caparbia naïveté che si traduce in azione concreta ed efficace: “Così mi sono svegliata una mattina e mi sono messa in testa di prendere la stella Michelin: da lì ho iniziato.”
Il ristorante
Il primo grande passo, diventare un ristorante ‘gastronomico’, si delinea dopo la pandemia: “Prima qui era un ‘voglio ma non posso’, mi impegnavo molto ma non ero pronta: per imparare andavo fuori e iniziavo a rifare le cose che avevo visto e mangiato, anche se non capivo esattamente cosa venisse utilizzato. Non conoscevo le tecniche, se non quelle della cucina casalinga, ma ho sempre avuto questa grande sensibilità: provavo e mi veniva bene; ancora adesso se dovessi insegnare, non saprei come fare.” Alessia parla di sensibilità ed è chiaro che non si tratta per lei di un concetto vago.
“Ci sono mille sfumature, è quella la differenza, perché la stessa materia prima oggi può essere in un modo, domani in un altro, in questo sta l’essere sensibili.” Alessia studia, legge, prova e riprova: “è scattato qualcosa, è stato strano. Ho fatto solo tre lunedì in un altro ristorante per capire la gestione della cucina: ero stressata, non mangiavo e non dormivo: a 23 anni sono finita in una situazione in cui non avevo la minima idea di niente, di come funzionasse; per i primi tre anni l’abbattitore lo usavo come armadio (ride, n.d.r). È stato complicato capire come poter lavorare con altre persone, adesso sono più giovani ma all’inizio dovevo gestire cuochi di paese, più grandi di me: avevo come collaboratore un ragazzo di 40 anni, lui faceva il cuoco da venticinque anni e io da due!” La squadra ora è ben coordinata e coesa; anche a questo proposito Alessia ha idee molto precise.
“Sono riuscita a costruire un team in cui tutti contribuiscono attivamente con un pezzo di loro, io non assumo una persona se non sposa la causa, anche perché noi andiamo in vacanza insieme. Non voglio che sia solo un posto di lavoro, ma un luogo dove si possano sviluppare le passioni e se la passione è sala, vino, cucina, da noi puoi funzionare.” Anche per quel che concerne il reperimento degli ingredienti ci si muove in famiglia: “Io e Erica (sous chef) ‘facciamo’ l’orto, suo nonno mi pesca i gamberi nel laghetto, è contento di farlo perché gli mangiano le uova delle tinche. Poi prendiamo le erbe e seminiamo, un po’ a casa mia un po’ a casa sua e dai miei suoceri, in aree differenti, così possiamo ottenerle senza che patiscano. È come se il ristorante fosse un pezzo di casa di ciascuno: per quello funziona, perché stiamo facendo una fatica mostruosa: da solo non fai niente.”
Riccardo Nicola, classe 1983 e marito di Alessia, è il maître di questo angolo caldo ed elegante; anche lui si converte all’accoglienza dopo un’esperienza differente, nel suo caso da grafico in uno studio di architettura. Così prima inizia ad aiutare il fratello Federico in cantina e poi comincia a prendersi cura della sala. Dopo la pandemia concorda con Alessia sulla necessità di trasformare il ristorante in un fine dining, riducendo i coperti, innalzando il livello della cucina e rimpinguando una carta dei vini che ora è ricca di circa duecento etichette, con il Piemonte a farla da padrone oltre alle ottime bottiglie di casa.
I piatti
Come si mangia da Cantina Nicola? Il primo impatto è che - se non lo si sa – mai si direbbe che la cuoca non ha esperienze esterne, tanto sono alti sia il livello tecnico, sia la cura dei dettagli nei piatti. Abbiamo assaggiato il menu Alessia, quello in cui la chef si esprime a ruota libera: “è un menu molto rurale, (paradossalmente) molto più tradizionale di quello tradizionale, perché parliamo degli ingredienti poveri con cui siamo cresciuti: vogliamo far capire effettivamente la cultura contadina dei nostri luoghi, dare un’immagine di dove siamo e quindi identificare il nostro luogo. Se la gente deve fare dei chilometri per venire a scoprire un posto, non deve mangiare le stesse cose che si trovano già in città.”
Alessia ha scelto di non offrire i classici amuse bouche, ma di portare in tavola separatamente tre piccoli piatti caldi: “Per dare importanza a ognuno di loro: il primo sono gli asparagi del nostro orto con finocchietto marino che andiamo a raccogliere al mare, perché abbiamo provato a coltivarlo qui, solo che cambia completamente il gusto, con erba cipollina e miso di lenticchie e camomilla.” Buonissime le lumache che arrivano da una piccola azienda agricola di Santo Stefano Belbo, servite con una salsa di liquirizia, senape, senape in grani e una scarola alla brace. Per gli amanti del genere, come noi, è un godimento gustare le creste di gallo con una salsa leggermente piccante, realizzata con una shichimi togarashi, miscela di spezie orientali ma in questo caso fatta in casa con ingredienti dell’orto.
Delizioso il salmerino di fonte che arriva da un allevamento di fiume nel cuneese con composta di rosa canina. “Raccogliamo le bacche in inverno: mia nonna non aveva niente da mangiare e mangiava quelle, un po’ dolci un po’ acide, poi aggiungiamo una maionese di asparagi bianchi fermentati". Il berlingot (caramella) è una forma di pasta ripiena, tipica francese: nel nostro caso di colore verde grazie a un po’ di tè matcha all’interno dell’impasto.
Il ripieno è una ‘ricotta’ di fico realizzata facendo cagliare latte vaccino crudo con il latte delle foglie del fico, ancora erba cedrina e alla base una salsa di erba di San Pietro e aria di maresina: la sensazione in bocca è di seducente complessità con note agrumate, balsamiche e amare. Bell’intermezzo il ragù di funghi porcini, con finferli trifolati, prugne, tagete e distillato di foglie di geranio. Buonissimi i ravioli del plin della tradizione: “Non sono fatti con i tre rossi, ma semplicemente con spinaci e Parmigiano Reggiano: ho deciso di mantecarli con una demi-glace di verdure per renderli più leggeri.”
Una vera leccornia lo spiedino di animella e anguilla: l’animella è di cuore e l’anguilla viene nappata con una riduzione di albicocche annerite e il suo fondo; c’è anche l’anguilla mantecata, pensata come un baccalà, tarassaco sbollentato e un’insalata cotta di erbe spontanee, il tutto passato alla brace con l’aggiunta di garum di funghi prodotto con gli scarti autunnali. Il secondo servizio e è un budino chawanmushi realizzato con brodo di anguilla: sopra viene adagiato il fegato del pesce; è servito con un brodo aromatizzato con fiori di sambuco e primizie tra cui piselli e favette.
Liuk è un predessert che richiama il famoso gelato confezionato: sorbetto di limone con di spuma di liquirizia calda. Infine, notevole chiusura, il dessert, una sfera con composta di fragole acidulata con sommacco, mousse di dragoncello e salsa con fragole e lavanda; abbinata a una granita alla menta, ottenuta distillando foglie di menta, e ancora fragola verde sottaceto.
Così come non ci sono gli amuse bouche, non c’è la piccola pasticceria. Saggia decisione, anche perché al suo posto arriva una golosissima fetta di torta: la galette des rois, con gelato allo zabaione, la torta dei re, appunto. Ne vedremo delle belle, a Cocconato.
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Contatti
Cantina Nicola
Str. Roletto - Rocca, 14023 Cocconato AT
Telefono: 392 954 3291