La Trota a Rivodutri è il cuore pulsante di una tradizione familiare portata avanti dai fratelli Serva e dai loro figli. Qui, l'antica arte di trasformare il pesce di fiume in piatti raffinati si sposa con l'innovazione e la cura del dettaglio, creando un’esperienza che onora la natura e affascina i palati più esigenti.
La storia
Se ci sono luoghi che possono trasmettere serenità, ce n’è uno ideale e si trova nei pressi della Sorgente di Santa Susanna a Rivodutri. Il contesto è quello di una meravigliosa riserva naturale, in riva al fiume, dove nel 1963 Emilio e Rolanda Serva diedero vita a un semplice ristoro.
La luce, in una giornata tersa, rende l’acqua di abbacinante bellezza: tra il blu e il verde smeraldo, fredda e limpidissima, essa scorre sotto un ponticello, dove ancora si può pranzare al riparo dalla calura estiva. Il luogo, allora, era molto frequentato dai pescatori, i quali si facevano cucinare alla brace da Emilio le trote appena pescate; tirare la pasta fresca, invece, era compito di Rolanda.
Questo posto, inizialmente senza nome, è diventato La Trota; ce lo racconta Amedeo Serva, il quale insieme a Michele, entrambi terza generazione, si occupa dell’elegantissima sala di un ristorante di famiglia molto particolare, probabilmente l’unico con un’offerta di pesce d’acqua dolce e di lago così completa in Italia, di certo il primo a proporla in questi termini.
In cucina i rispettivi padri, Maurizio e Sandro. “All’epoca c’erano un ‘caldaio’ in cui mia nonna cucinava la pasta che stendeva a mano e un camino in cui venivano arrostiti pesci e carni: abbiamo ancora un vecchio modulo per il riepilogo del pasto che racconta la brevità del menu: c’erano pasta fresca, trota alla brace, gamberi di fiume e castrato”.
Il luogo era semplice e rustico, ci racconta ancora Amedeo, sorridendo: “era un prototipo di vero agriturismo, nonno faceva l’orto e si produceva vino nella cantina dove teniamo oggi le bottiglie, una vinificazione primordiale contadina. Insomma, un’economia abbastanza autarchica. La nonna lavava le tovaglie nel fiume e ancora ci rinfaccia di avere l’artrite alle ginocchia per colpa di questa cosa.”
Dopo una ventina d’anni, le redini passano a Sandro e Maurizio, i quali erano cresciuti al piano di sopra, praticamente dentro il ristorante. Quando decidono di occuparsene, si adattano ai tempi: “era la metà degli anni Ottanta, allora il limite del pesce d’acqua dolce nelle nostre zone era che veniva associato a un periodo brutto, di fame, quando tra le due guerre ci si doveva sostentare con qualunque cosa. Mi raccontano che i lucci, nei canali di irrigazione dei campi, erano talmente grandi che il loro dorso usciva dall’acqua e li prendevano sparandogli con un fucile".
Ecco che allora i fratelli Serva si convertono al pesce di mare: “quindi via con spigole e astici, che accompagnavano comunque proposte più tradizionali”. Non ci è voluto molto, però, per capire che adattarsi al mercato non era stata l’idea giusta: “ci si è resi conto, in modo abbastanza visionario, che era il caso di continuare con quello che comunque era ed è nelle nostre corde, ovvero proporre ingredienti che ci dà la zona in cui viviamo. Maurizio e Sandro allora si sono detti: ‘non siamo questo, per cui è meglio tornare alle origini’. Era comunque cambiato l’approccio, il modo di trattare le materie prime “non lanciandole sulla brace, ma cercando di elevarle ad alta cucina”.
Va da sé che l’inizio è abbastanza complicato: “c’è voluto qualche anno per la trasformazione: chi era abituato a un contesto molto più rustico si è trovato in un ambiente reso più elegante, con dettagli raffinati e un servizio più attento. Molti clienti, dopo aver letto il menu, letteralmente fuggivano, era quasi una costante. Questa è una cosa della quale non ci siamo liberati ancora del tutto, anche se avviene molto più raramente ed è più facile cercare almeno di farli provare”.
La filosofia
Il cambio di rotta è comunque un successo, un vero crescendo a partire dalla prima stella Michelin nel 2004. Arriva poi anche la seconda, che ci è difficile comprendere perché nell’ultima edizione sia andata persa, data la nostra esperienza.
Amedeo, durante la nostra chiacchierata, non entra nel merito della questione ma ci suggerisce, indirettamente, un’utile chiave di lettura: “Non siamo mai stati dei personaggi, inteso come modo di essere, per cui la sobrietà, che certo a volte può costituire un limite, può essere confusa con staticità o classicismo, magari anche l’essere ancorati al passato: per noi è semplicemente un modo di essere e di fare. La stima degli ospiti e quella dei colleghi è sempre arrivata in modo totalmente disinteressato, perché abbiamo sempre volato basso. Del resto, ci troviamo in un posto molto scomodo e ci piacerebbe avvicinare chi, anche semplicemente per questioni geografiche, non è mai stato a trovarci. Ci siamo sempre stati, non abbiamo mai mollato un centimetro perché fare ristorazione è quello che ci piace, non ce l’ha imposto nessuno".
Una famiglia unita, quindi, con due fratelli cuochi che hanno scelto di non scendere a compromessi, ma di esaltare nei loro piatti la bellezza di una terra ricca di acque dolci di ogni genere: lacustri di fiume e sorgive. Questo non toglie che se il menu Acqua è caratterizzato dal suo nome, ci sia spazio anche per la selvaggina nobile e la carne, nel menu Terra, con un denominatore comune a entrambi, ovvero l’uso di vegetali ed erbe spontanee.
I piatti
Si può dire che la cucina dei fratelli Serva somigli ai loro modi gentili, eleganti, anche se questo non vuol dire che i piatti siano privi di stimolanti asperità. Anzi, perché la ricerca che c’è dietro l’abbinamento di ogni singolo ingrediente porta a risultati unici, come uniche sono le carni di questo pescato che richiedono conoscenza e perizia estreme per essere lavorate. A proposito di abbinamenti, merita la citazione una cantina di grande profondità, che certo include vini classici, ma fa ritrovare in carta produttori ed etichette che ancora una volta hanno in comune la vicinanza ai corsi d’acqua.
Ritmo perfetto, notevoli gusto e divertimento, inteso come stimolante varietà: è la sintesi di quel che abbiamo assaggiato, a partire dalla squisita Ostrica, una conchiglia di cozza di lago nella quale è stato ricreato un finto mollusco composto di tartare di trota, brodo di funghi, tartufo e tè nero.
Carassio, cavolo rosso, ananas: il carassio (o carpa cruciana), dopo la marinatura viene cotto all'interno di una foglia di lattuga che ne trattiene i succhi: alla base una salsa di cavolo rosso marinato con succo d'ananas e lime. Un piatto di sorprendente freschezza. In Persico, peperone, nocciola il filetto di persico reale è accompagnato armoniosamente da olio al coriandolo, peperone, nocciola tostata, pane croccante, beurre blanc, uova di trota e sfere di agrodolce.
Buonissimo gambero, insalata di patate: il crostaceo, naturalmente di fiume, è cotto alla brace, vengono aggiunti la sua bisque, funghi galletti e spuma di insalata fredda di patate realizzata con aceto, erba cipollina e prezzemolo. Notevole e di grande finezza pesce gatto, mandorla, mela: il pesce viene marinato per diversi giorni con acqua di fiori d'arancio e aromi, servito con la sua pelle caramellata, una salsa al latte di mandorle, aceto di lamponi, crocchetta di mela, mandorla e zafferano e foglie di crescione di sorgente.
Carpa e maionese di rape rosse è un’altra prova decisamente riuscita: un rotolino di carpa viene ricostruito per dare spessore, poi panato con i semi di papavero. La maionese è realizzata con rapa rossa che gioca sui sentori terrosi e patata.
Un capolavoro l’ormai storica zuppa di tinca, passaggio speziato, capelli d'angelo: con una caffettiera napoletana viene preparato un brodo saporito: in questo liquido vengono cotti al tavolo i capelli d'angelo (30 tuorli per kg di farina, tagliati a mano). Al posto dell'acqua, nella caffettiera si trova un consommé di tinca; nel filtro, al posto del caffè, una serie di erbe e spezie. Quando il brodo bolle, la caffettiera viene capovolta: in questo modo il consommé si arricchisce di profumi senza risultare di eccessiva intensità. Il brodo viene poi versato sulla pasta cruda, generando un piatto difficile da scordare.
Si prosegue, di bontà in bontà, con i tortelli di salmerino, pera e aglio orsino: arrostiti in padella, sono ripieni di salmerino leggermente affumicato, alla base un estratto di aglio orsino, pera caramellata e uova di salmerino marinate nel tè. Sopra, una spuma di pera e cannella. Si gode parecchio anche con lo spaghetto e fondo di trota, la cui essenza arriva dal 100% del pesce: il fondo viene realizzato con gli scarti, la pasta è mantecata con il grasso e la pelle soffiata dà la componente croccante.
In trota, foie gras, pesca e vaniglia, piatto di squisita opulenza, filetto di trota e scaloppa di foie gras vengono cotti insieme e serviti uno sull'altro. A fianco si trovano una salsa di pesca e vaniglia, un purè di patata dolce affumicata e della cipolla in agrodolce. Anguilla, crescione e kiwi gioca felicemente su acidità, amaro e piccantezza, a bilanciare la grassezza del pesce: il filetto di anguilla è marinato in un'emulsione di crescione d'acqua dolce, arrostito con alloro e laccato con il tarassaco. Sopra, una polvere di genziana e a fianco il kiwi arrostito.
Bel gioco di passaggio tra dolce e salato con agrumi, cioccolato bianco al sale, mango, olive nere: una zuppa fredda di agrumi, cannoli di cioccolato bianco salato ripieni di mousse al mango e gelato di olive nere della Sabina. Riso, latte, nocciola e caffè è golosamente ruffiano, con una mousse di riso nero speziato, la meringa di schiuma di latte, un biscuit alla nocciola e caffè e infine la crema di sesamo.
Piccola pasticceria di vegetali e un krapfen ripieno di crema terminano un percorso entusiasmante. Senza mezzi termini.
Contatti
Via S. Susanna, 33 - 02010 Rivodutri RI
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