Alta cucina

Piazzetta Milù, da braceria di famiglia a ristorante bistellato: il record gourmet dei fratelli Izzo

di:
Marco Colognese
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Uno degli indirizzi più interessanti e in crescita della Penisola: “Questo locale non è nato velocemente, da investitori. È frutto di un percorso familiare in cui abbiamo impegnato e impegniamo la nostra vita tutti i giorni”. I traguardi di Piazzetta Milù, da braceria-pizzeria a insegna dell’alta cucina campana.

La storia

Piazzetta Milù, a Castellamare di Stabia, ha due stelle Michelin, la seconda arrivata con l’ultima edizione della guida: dietro ci sono ventun anni di duro lavoro di una famiglia partita da tutt’altra prospettiva, quando Michele e Lucia (sono le loro iniziali a dare il nome al ristorante), nel 2003, danno vita a un locale dove si infornano pizze e si cucina carne alla brace. Nel tempo si sono uniti all’impresa i tre figli: Emanuele, Valerio e Maicol.

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È proprio dalla prospettiva di quest’ultimo che è anche l’ultimo nato, classe 1993, lo chef salito sul palco per l’emozionante assegnazione della stella numero due, che ci siamo fatti raccontare la storia, bellissima, della trasformazione di una realtà che è diventata un punto di riferimento della ristorazione campana e nazionale. Questo in una città di mare, da conoscere anche per le sue ventotto sorgenti d’acqua termale. Maicol ha ragione di esser fiero di un percorso partito dal basso, frutto di sacrifici, amore e talento.

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 Questo locale non è nato velocemente, da investitori, è frutto di un percorso familiare in cui abbiamo impegnato e impegniamo la nostra vita tutti i giorni. Abbiamo passato tutte le fasi, a partire dalla pizzeria lavorando e investendo su noi stessi. È un percorso importante, sincero, vero, senza nessuno che ci abbia mai sponsorizzati. E vogliamo crescere ancora.”

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Se Lucia dà ancora una mano al ristorante e Michele è sempre presente quando si tratta di prendere qualunque decisione, Valerio è il manager che cura anche tutte le attività di “Milù Outside”, così come consulenze, eventi, progetti esterni e nel 2020 ha dato vita a Shub, cocktail bar e champagne room nel centro storico di Sorrento. Così come Emanuele, di cui abbiamo già raccontato la storia, diventato (un grande) sommelier per caso, da astemio, anche Maicol non ha la strada segnata da subito, ma si converte, anche lui inesorabilmente, alla ristorazione.

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È stato casuale, perché io giocavo a calcio e ho frequentato la scuola da odontotecnico. Però, stando a contatto tutti i giorni con il ristorante e con la cucina, terminati gli studi, mentre ancora facevo il calciatore, mi misi un po’ in cucina, così ‘giusto per’ e devo dire che poi mi feci prendere dalla passione. A quel tempo la nostra era una cucina tradizionale, ai fornelli c’erano mio padre e mia madre. Poi, con uno chef che venne qui, iniziammo a fare qualcosa di più ricercato. Io cominciai ai dessert e poi da lì dissi, vabbè voglio fare esperienze più importanti e vedere un po’ come funziona questo mondo.” Così Maicol va da Gennaro Esposito: “È stata la mia gavetta, trascorsi lì due anni, diventai capo partita, un’esperienza bella dura. Formativa. I primi due mesi non ho visto neanche il servizio, ero giù a pulire il pesce, dalle 9 di mattina finivamo alle 2 di notte. Ma mi è servito, perché mi ha fatto capire dove volevo arrivare.” Poi è la volta del variegato mondo dei ristoranti di Albert Adrià, dove rimane quattro anni.

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“È l’esperienza che più mi e rimasta, sia come stile di cucina, sia per come si lavorava il prodotto e anche proprio per il modo in cui si vivevano il lavoro e l’organizzazione". Tickets, poi Pakta, il ristorante nippo-peruviano, quello messicano e ancora il tradizionale catalano. “In realtà iniziavo alle 7 di mattina e finivo alle 7 di sera, c’erano due squadre, servizio e produzione, io ero nella seconda, però volevo apprendere, andare a vedere. Quindi, finito il mio turno andavo a fare il servizio da Pakta o nel tradizionale.” Dalla Spagna Maicol va, per una stagione, al Mirazur a Mentone: “Lì è stata veramente tosta, con uno stile francese e militare, però è stata molto utile". Uno stage al Noma a Copenhagen ed è ora di tornare a casa: peccato (o forse no, vedremo) che sia la fine del 2019 e alle porte ci sia la pandemia.

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La cucina

La svolta è stata proprio nel periodo del Covid, perché, parlando con i miei genitori e i miei fratelli, ci siamo chiesti se non fosse il caso di cambiare, scegliendo di fare un percorso di degustazione per esprimere la nostra creatività al massimo, con piatti e stile totalmente diversi. Eravamo tutti d’accordo, anche se sapevamo che saremmo andati incontro a una cosa non facile perché un solo menu, senza la carta, ti toglie una fetta di clientela. Oggi vieni, fai una degustazione che dura tre o quattro ore, non è per tutti. Chi ci frequenta adesso è abituato a una cucina diversa, a cercare un’esperienza. Abbiamo preso clienti con disponibilità diverse. Piano piano è uscito quel che volevo. E dopo tre anni è arrivata la seconda stella, un momento di emozione bellissimo, indimenticabile.”

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A Piazzetta Milù c’è un menu di venti portate che cambia ogni stagione: da ottobre fino a metà dicembre, quando si introducono piatti tipici delle festività tra cui il capitone rivisti nello stile di Maicol. Poi, da gennaio fino a marzo, si trova il menu invernale, primaverile nei mesi da aprile a giugno e infine estivo. Il percorso si snoda da fuori, sul lungomare, con la prima portata, passando successivamente dalla cucina e ancora dalla suggestiva cantina in calce e tufo al piano inferiore del ristorante, prima di risalire.

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Qui, con temperatura e umidità naturali favorite da una sorgente che passa proprio sotto il pavimento, è dove si gusta un’altra parte di menu, tra le cinquemila bottiglie da tutto il mondo, tra cui la rara collezione di Champagne messa insieme da Emanuele.

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Come si mangia da Piazzetta Milù? La personalissima opinione di chi scrive è che si tratti di uno degli indirizzi più interessanti e in crescita della nostra penisola. Maicol Izzo ha raccolto molto a Barcellona: “La cucina di Albert Adrià è quella che più mi ha preso e a cui mi ispiro come stile, soprattutto perché il cliente a tavola si deve divertire ed è questo che anch’io voglio trasmettere: divertimento con gusto, tecnica e stupore.” In effetti qui ci si diverte e davvero di gusto, perché a modalità di servizio catalane si intersecano le grandi materie prime campane, in piatti d’effetto e di lunghezza e complessità sempre notevoli, soprattutto mai scontati, al di là della semplicità con cui vengono nominati.

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I piatti

Ve ne descriviamo alcuni, a partire dalla freschezza del Cocktail Solido, basato sull’anguria che viene lavorata in forma sferica e successivamente marinata con una specie di sangria ottenuta mescolando vino rosso di Gragnano, cognac, liquori, spezie e agrumi. È one-shot, come dare un morso al frutto avendo la sensazione di aver bevuto un cocktail. Si chiama Speck, ma il maiale non c’entra, perché è una verdura che cambia con le stagioni; viene cotta alla brace e poi fatta stagionare, affumicata e lavorata con un mix di spezie, prima di essere bagnata con un’acqua della stessa verdura, ultra concentrata: un boccone entusiasmante.

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La forma di Croccante viene modellata a mano prima di renderlo crunchy, chiuso come una caramella e farcito con una mousse di fior di ricotta di Agerola, burro aromatizzato alle alici, pesto di basilico polverizzato e caviale di olio extravergine d’oliva. In sintesi, pane burro e alici senza il pane, di sapore mediterraneo spinto.

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Una Ciliegia viene affumicata sulla brace con legno di quercia e faggio, in questo modo si ottiene la consistenza carnosa: il risultato del boccone che ci si ritrova in bocca, abbinato a un infuso nel quale viene utilizzato un pepe rarissimo, è meravigliosamente sorprendente. Se ne mangerebbero a oltranza, di papaccelle così, totalmente liquide. Il gusto, esplosivo in questo caso, della papaccella tradizionale campana ripiena di tonno, capperi, erbe aromatiche, tutto sott’aceto, è contenuto in una sfera trasparente. Basta schiacciarla in bocca contro il palato e lasciarne diffondere il contenuto: è buonissima.

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La Marinara è un’invenzione che riporta il gusto dell’omonima pizza nella pasta, giocando felicemente tra elementi e consistenze differenti. Un altro bel gioco è l’insalata di pomodoro e mozzarella: pomodoro di Sorrento, fiordilatte, basilico, origano, olio extravergine di oliva, anche qui in textures nuove: il pomodoro viene scavato e poi riempito con una gelatina derivata da un’acqua di origano; il fior di latte è una brioche cotta al forno, pelata e marinata per due giorni in un siero di latticino. Il piatto si conclude con il basilico da strofinare tra le mani per assaporarne l’aroma prima dell’assaggio.

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Il toast parmigiana, leggerissimo: una semplice descrizione non rende, va maneggiato. Si mangia appunto con le mani ma, naturalmente, non è un toast, né pane: si tratta invece di una meringa salata, derivata dalla lavorazione di un’acqua di mela, che contiene una parmigiana di melanzana, mantecata come se fosse una sorta di gelato caldo. Si scioglie in bocca. Viene chiusa con una striscia di cioccolato amaro: e si gode.

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Tra i dolci, merita la fetta di torta caprese creata con una tecnica piuttosto complessa. Ne uscirà una leggerezza senza pari: non si utilizza infatti alcun tipo di farina e nel piatto si crea una specie di illusione ottica, perché non ci sono la base di cioccolato, né lo strato croccante e nemmeno la classica struttura. Viene servita come al bar, con una striscia di cioccolato accanto e un gelato all’amaretto. La consistenza è quella di una nuvola, con un gusto incredibilmente intenso di cacao e mandorle. Da Castellamare bisogna passarci, per forza.

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Contatti

Piazzetta Milù

Corso Alcide de Gasperi, 23, 80053 Castellammare di Stabia NA

Telefono: 081 871 5779

Sito web

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