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Piccolo Lago, 2 stelle in un borgo di 2000 anime: i piatti di Marco Sacco fra viaggio e identità

di:
Andrea Ancarani
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copertina piccolo lago

50 anni Lungolago: Marco Sacco celebra il passato con lo sguardo aperto sul futuro. Nell’insegna bistellata va in scena un menu di 8 corse capace di essere territoriale, identitario, creativo, ludico e teatrale insieme.

Foto del locale: Katie May


“Alive and kicking, stay until your love is alive” cantano i Simple Minds in uno dei loro singoli più celebri, uscito a settembre 1985. Versi che tornano alla mente al ristorante “Piccolo Lago” di Mergozzo (VB): qui, sulle rive del lago omonimo, si continua a respirare un amore vivo e vivido per cucina, accoglienza e ristorazione.

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Piccolo Lago: 1974 - 2024

L’occasione della visita è di quelle che rare: nel 2024 si celebrano i 50 anni di attività del ristorante, fondato da Bruna e Gastone Sacco, genitori di Marco Sacco, chef patron che insieme alla moglie Lella Marchetti e ai figli gestisce un gruppo di realtà composto dal Piccolo, dai ristoranti “Piano 35” a Torino e “Il Verbano” sull’Isola dei Pescatori (Stresa).

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@Adriano Mauri

Marco Sacco è uno dei maestri della gastronomia italiana, considerato uno dei massimi esperti della cucina d’acqua dolce al punto da aver ideato e da organizzare ogni anno il Festival Gente di Lago, dedicato a tutto ciò che ruota intorno a questo ecosistema.

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Di fronte ai 50 anni un ristorante di solito ha due tipi di approccio: il più frequente è quello conservativo del “Greatest Hits”, un menu degustazione che raccoglie i piatti che hanno fatto la storia della casa; il secondo è quello di celebrare il passato pensando al futuro.

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Geppo Di Mauro

Sacco è legato indissolubilmente alla sua terra ma ha animo da viaggiatore e un passato da talentuoso windsurfista. Forse è il suo talento nel fiutare il vento che lo ha spinto, con la sua brigata, a scegliere il secondo approccio, a testimonianza di una creatività che ancora gonfia la vela e che ha generato un menu che ricorda un concept album, per continuare con le metafore musicali: si chiama “Lungolago”, ed è un percorso di 8 corse capace di essere territoriale, identitario, creativo, ludico e teatrale insieme.

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Prima del “Lungolago” però viene il lago. Il gourmand incauto potrebbe pensare che il ristorante si trovi sulle sponde del Lago Maggiore, visto che siamo a tutti gli effetti nel comune di Verbania, ma nei 3 chilometri che separano il Lago Maggiore dal Lago di Mergozzo il mondo cambia.

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Di là rumore, traghetti, motoscafi, ville, palazzi, Isole Borromee e overtourism; di qua barche a vela o elettriche, acqua limpida e chiara, boschi di verdi ipnotici, un solo centro abitato da 2000 anime e tutto il resto quiete.

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Il ristorante

Il ristorante è un’epifania che stupisce la vista: uno chalet di legno e pietra, geometrico e severo, issato sopra il lago, ben sopra alla riva. Gli ambienti sono quelli di una grande casa votata all’ospitalità: ricevimento, cucina a vista con possibilità di chef table, una grande sala centrale con camino che si allarga a due verande che corrono lungo i lati, con le pareti di vetro, sospese sull’acqua. Panorama da favola: il sole al tramonto sfuma in rosso il cielo azzurro e la luce calante impasta di toni più ombrosi il blu del lago e il verde degli alberi.

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Il ristorante è affollato ma non rumoroso, grazie agli spazi ampi che garantiscono discrezione e agio a chi siede ai tavoli rotondi. Lo chef esce e saluta personalmente tutti gli ospiti in arrivo. Il team di sala è lesto nell’offrire acqua e proporre una piccola carta aperitivo degna delle due stelle Michelin: champagne, caviale e fegato d’anatra. Non si cede alla tentazione, si va dritti “Lungolago”.

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Katie May
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Colpisce fin dall’inizio la cura di tutto quello che ruota attorno al menu: i dettagli di cartotecnica, un lungo testo introduttivo a firma dello chef, il racconto orale da parte della sala. È palpabile l’esigenza di raccontare il Piccolo Lago di oggi. Che menu è “Lungolago”? Vuole essere la traduzione gastronomica di una passeggiata nei dintorni del lago di Mergozzo fatta dallo chef insieme alla moglie. Una declinazione in piatti che evolve seguendo il ritmo delle stagioni ma mantiene come parole chiave materie prime, prodotti, colori, profumi e vedute della zona del Verbano-Cusio-Ossola.

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È un percorso territoriale ma identitario: nessun integralismo da km zero, nessuna chiusura nei confronti di materie prime e tecniche “lontane”. “Lungolago” è un perfetto sincretismo tra una cartina geografica e il romanzo di formazione di uno chef viaggiatore.

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Katie May

I piatti

Sul lago di Mergozzo sono le 21,15 e si aprono le danze con il benvenuto della cucina, rivisto in chiave “merenda dell’escursionista”: prosciutto crudo della Val Vigezzo, burro al missultin, torta di rose. In sala a officiare il rito un team di giovani talenti, nella nostra veranda a guidarli è Vittorio Brizio, a capo della cantina. Completano il team senior di sala la sommelier Sayaka Anzai e lo chef de rang Francesco Mattia Fiori. Il primo piatto è “Lingotto” e vuole rappresentare la scena di un pescatore alle prese con una cattura sui ciottoli del lago.

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La cattura è una trota marmorata affumicata dalla cucina, i ciottoli sono briciole di pane e aceto balsamico, la canna da pesca è scorzonera essiccata con gel di lamponi. Un inizio plastico frutto di una messa in scena essenziale, con una materia prima principale, la trota, perfetta per consistenza e delicatezza e un gel di lamponi sulla scorzonera essiccata che regala una sferzata acida. Si continua con “Lumaca Lumaca”, dove la cucina affianca un pâté di lumache di mare glassate con papaya e semi di papaya aromatizzati al genepy della Val Formazza ad una lumaca di terra con beurre blanc di alghe.

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Le lumache di mare sono una licenza poetica rispetto all’acqua dolce ma il giudizio per il palato è unanime: il piatto è un ottovolante che corre veloce tra iodato e balsamico, acido e grasso. Il terzo passaggio alza l’asticella. “Bottarga?” si ispira a quella sorta di realismo magico che si incontra nell’ombra dei boschi, dove gli spiriti della natura si divertono a illudere e confondere i viandanti. E infatti questa bottarga non è bottarga: nel piatto ci sono una chip di platano essiccato, fregola sarda raccolta in una sacca di gelatina di brodo di siluro, una caramella di brodo di platano fermentato, e infine un dashi di platano freddo con coriandolo. Tecnicamente molto complesso, di certo ben eseguito, il piatto si rivelerà essere quello meno intellegibile del percorso, quello più difficile da ricondurre ad un’idea unica di piatto.

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“Zafferane” porta in tavola un classico della cucina povera d’acqua dolce. Cosce di rane soffritte nel burro d’alpeggio, salsa aioli, zafferano, cerfoglio e poi chips di riso Carnaroli con zafferano in polvere e in polline. Qui ritroviamo territorio, identità, tecnica e soprattutto golosità: la grassezza del fritto è ben bilanciata dall’acidità della salsa aioli, lo zafferano aggiunge una nota amara e terrosa, rotonda e aromatica.

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Interludio divertente, tra l’ultimo antipasto e il risotto: si viene invitati a fare una ricerca sul tavolo, come fossimo insieme allo chef e alla moglie durante la passeggiata. Qualche attimo di stupore, finché sollevando la pietra che conteneva le chips non si scopre una riserva di burro d’alpeggio destinato a vita brevissima. L’unico primo piatto del percorso è “Riso in risaia”. Dalle vette sopra i laghi lo sguardo può spingersi fino alle risaie: riso Carnaroli, cotto in acqua di miso, mantecato con burro e Parmigiano, sake, salsa d’alga spirulina. In tre parole: umami, umami, umami, per un piatto che parte da un classico risotto all’italiana e poi volge lo sguardo ad oriente, lasciando in bocca un profondo e lunghissimo sentore di tostatura.

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Tocca a “Con il thè di Premosello” inaugurare i secondi piatti. Sorprende fin dall’impiattamento, visto che è letteralmente servito con piattino, tazza e infusore da bevanda calda. Buratello cotto sulla griglia con la pelle, salsa di buratello, sorbetto alla rosa, da completarsi poi con i profumi degli ingredienti celati negli infusori. Un gran piatto, soprendente nell’abbinamento, nel contrasto caldo e freddo e perché no, pure utile a scoprire che Premosello è il paese natale dello chef e che qui venne coltivato per la prima volta in Italia il thè verde.

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Ultima corsa salata della degustazione “Nel canneto”, piatto in tre passaggi: petto d’anatra cotto sulla sua pelle e poi nella pelle del pollo, marinato con koji, finanziera e fico; wafer con fico e fegato d anatra; perla ripiena di fichi, vongole e cozze in brodo di ramen ottenuto con pollo, carcassa dell’anatra, piedi di maiale, alga kombu e funghi shitake. Un secondo piatto da amplificatore a tutta, capace di unire Oriente e Occidente, terra e mare, dolcezza e iodio e poi trasmettere al palato un gusto armonico e preciso.

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Il dessert è l’unica portata con lo sguardo che celebra anche il passato: “1974 50°” è una compilation dei dolci preferiti da Marco Sacco e dal pastry chef Cristiano Catapano: panna cotta, éclair ai tre cioccolati e rum, semifreddo al torroncino, torta di mele, tiramisù rivisitato, gelato di meringa e lampone, cacio e pere in omaggio alle origini romane di Catapano… Un trionfo di dolcezza classica, profumo di zucchero e burro, il tavolo che diventa paradiso per golosi.

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Sono a malapena passate le 23.13. Sala e cucina hanno chiuso il percorso in meno di due ore nette: sinonimo di ritmo, sincronia, mestiere, e soprattutto della consapevolezza che una cena al ristorante non dovrebbe mai somigliare ad un sequestro. Che cos’è un ristorante in fondo? Molto di più di una cucina, di certo. Un ristorante è pure identità e umanità; territorio e visione del mondo; accoglienza, calore, servizio; piacere per la vista, l’olfatto e naturalmente per il palato. Sempre con il pensiero rivolto all’ospite.

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Il Piccolo Lago trasmette l’idea di esserne perfettamente consapevole: si assume la responsabilità di diffondere il verbo della cucina d’acqua dolce di queste zone da 50 anni; rifugge i dogmi da chilometraggio e contamina il suo DNA con ingredienti e tecniche da grandi scuole di cucina internazionali; guarda al futuro senza paura e continua a pensare nuovi piatti capaci di raccontare, stupire, far sorridere e far godere chi sceglie di sedersi ai suoi tavoli.

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Geppo Di Mauro

Contatti

Ristorante Piccolo Lago

Via Filippo Turati, 87 28924 - Verbania (VB)

Tel.: +39 0323 586792

info@piccololago.it

https://www.piccololago.it/

Aperto mercoledì a cena

da giovedì a domenica pranzo e cena.

Chiuso lunedì e martedì.

Orari: 12.00 – 14.00

19.00 – 21.30

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