L’ennesima insegna della Milano d’Antan costretta a battere in ritirata: lo sfogo della famiglia che la gestisce da decenni.
Foto di copertina e nel pezzo dal sito di Tgcom24
La notizia
Un’altra insegna che ha fatto la storia di Milano - e non solo- è costretta a chiudere. Il prossimo 20 Luglio, infatti, si spegneranno definitivamente i fornelli del Cerchio, ristorante di cucina toscana, che per oltre cinque decenni ha ospitato cantautori, sportivi e artisti di ogni tipo. Il Cerchio nasce nel 1969 dalla volontà dei fratelli Santina e Gino Donati a cui successivamente è subentrato Beppe, marito di Santina. Per i commensali, così come per i proprietari del locale al 15 di Via Galvani, Il Cerchio è sempre stato un affare di famiglia, anche quando nel 1992 la gestione è passata a Fabio e Riccardo, rispettivamente figlio e nipote di Santina.
Appena si entra le foto alle pareti raccontano la storia del ristorante e dei suoi più fidelizzati clienti: da Fabrizio De André, al disegnatore Bruno Bozzetto, ai fratelli Morelli (in arte gli “Alunni del Sole”), a Maradona, a Gullit, a Bruno Pizzul, a Giacomo Poretti, a Mario Delpini, a Borg, a John McEnroe e a Ilie Năstase. “Si metteva al tavolo di mattina e scriveva i testi delle sue canzoni fino al pomeriggio: “La buona novella”, “Non al denaro non all’amore né al cielo” e “Storia di un impiegato” in particolare. Nessuno osava disturbarlo, neanche per chiedergli cosa voleva mangiare. Lui si beveva lentamente un bicchiere di whisky e ci chiamava quando aveva finito di comporre”, racconta a Tgcom24 Riccardo, riferendosi a De Andrè. “Si mangiava anche otto o nove piatti di pasta, perché aveva bisogno di carboidrati per l’allenamento o la partita", prosegue, parlando di Ilie Năstase.
Oggi ospiti fissi del Cerchio sono, ad esempio, Gualazzi e i Pinguini Tattici Nucleari. Nonostante i numerosi e affezionati clienti, però, dopo 55 anni di onorata attività e dedizione, i cugini Donati si trovano a dover chiudere definitivamente il locale di famiglia. “Non avremmo mai voluto: nove dipendenti che sono con noi da decenni saranno a spasso. Quando abbiamo appeso fuori dalla vetrina gli avvisi della nostra dipartita hanno iniziato ad entrare frotte di clienti che ci chiedevano come mai. La proprietà non ha rinnovato l’affitto e la trattativa è stata impossibile”, spiegano Fabio e Riccardo al Corriere della Sera. “Io vengo da una realtà toscana dove il ristoratore non è un imprenditore, ma un oste. Mi interessa più che il cliente stia bene rispetto al guadagno”, continua sempre Riccardo. Tuttavia, la dedizione e l’amore per la professione non sono sufficienti a mantenere in vita un'attività, quindi Il Cerchio dovrà chiudere e “lasciare a piedi” i suoi storici dipendenti, nonché i clienti.
Nel corso degli anni Il Cerchio ha modificato il suo aspetto, ma mai la sua anima, teatro di numerose vicende meneghine più o meno felici: “Il 18 aprile 2002, quando quel piccolo aereo da turismo si schiantò contro il ventiseiesimo piano del Pirellone, successe il finimondo. Il ristorante diventò una specie di pronto soccorso per i feriti. Milano è cambiata. I luoghi dove il ristoratore è vero e proprio oste scompaiono. Quante persone ho accolto che magari dopo una litigata in ufficio venivano da me a sfogarsi”, racconta Riccardo mentre ripercorre la storia dell’attività di famiglia.
L’affetto dei clienti del Cerchio è rimasto immutato e anche ora che sta per chiudere, coloro che l'hanno frequentato per lungo tempo non esitano a dimostrarlo: “Un signore pensionato ormai da 24 anni ha saputo che chiudevamo e dalla Brianza è venuto proprio oggi a salutarci, con il magone. Ci ha detto: siete un pezzo della mia storia”.
Negli ultimi tempi sono stati molti i locali della Milano d’antan costretti a chiudere, soprattutto per il caro affitti, problema che coglie l’attenzione di molti: “Negli ultimi due anni hanno chiuso almeno una ventina di esercizi storici e molti altri, stando alle segnalazioni che mi arrivano, sono a rischio. Il mercato immobiliare ha il rovescio della medaglia…porta verso l’alto i canoni dei locali generando turnover e favorendo in certa misura le catene (di ristoranti)”, spiega al Corriere della Sera Alfredo Zini, presidente delle botteghe storiche di Milano per Confcommercio.