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Dress code, quando il ristorante dice no: “Limita i clienti, da noi potete venire in tuta”

di:
Sveva Valeria Castegnaro
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copertina vinyl steakhouse

Dress code o no? Questo è il dilemma. Una ristoratrice chiarisce la sua posizione al riguardo: “Da noi gli ospiti sono liberi di scegliere l’abbigliamento che preferiscono, è questione di rispetto”.

L'opinione

Secondo il galateo, il bianco e il nero dovrebbero essere banditi dai matrimoni, così come il viola dai teatri, dalle trasmissioni televisive e dagli eventi pubblici, e non ci si dovrebbe mai recare ad impegni lavorativi con scollature eccessive, minigonne vertiginose o pantaloni corti e canottiere. Ma per una cena al ristorante, come ci si deve vestire? La risposta non è univoca e il dress code è una questione che spesso divide i ristoratori. C’è chi ritiene che imporre un determinato abbigliamento sia imprescindibile per garantire alla clientela una certa atmosfera e chi, invece, lo ritiene un cliché demodè e, persino, un atto di discriminazione.

vinyl steakhouse piatti
@Vinyl Steakhouse

Di quest’ultima opinione è sicuramente Sofia Flannery, comproprietaria e sommelier di  Vinyl Steakhouse, ristorante nel Flatiron District di New York City. "Nel nostro ristorante accettiamo qualsiasi abbigliamento. Ho sempre pensato che il dress code soffocasse l'individualità; le persone sono così interessanti. Odio non essere in grado di conoscere a fondo una persona perché indossa qualcosa per rispettare una regola. New York è sempre stata la città in cui si può essere completamente se stessi, noi cerchiamo di rispettare questa sua peculiarità. Abiti su misura? Tuta Adidas? Cappellino da baseball di una partita degli Yankees da cui sei appena tornato? Ci piace tutto!", ha dichiarato all’Huffpost.

vinyl steakhouse proprietari
@Vinyl Steakhouse
vinyl steakhouse carne
@Vinyl Steakhouse

Dello stesso avviso è anche Suzanne Podhaizer, un tempo proprietaria del Salt Café di Montpelier, nel Vermont, e ora scrittrice di cucina freelance e sviluppatrice di ricette. "Al Salt Café per me era importante che i casari, gli agricoltori e i fornai da cui ci riforniamo si sentissero a loro agio quanto i lobbisti, i dottori e i turisti. Il desiderio era che coloro che amavano vestirsi bene continuassero a farlo, ma che coloro che non erano interessati o che arrivavano direttamente dal lavoro o non possedevano abiti eleganti, non si sentissero fuori posto. Credo che ciò abbia permesso a più persone di sentirsi le benvenute", confida. A supportare la Flannery e  la Podhaizer è anche John Sugimura, executive chef della società di gestione dei servizi alimentari Taher, che sta per riaprire il Forepaugh's, locale di St. Paul nel Minnesota. "Penso che imporre un abbigliamento formale potrebbe avere un impatto negativo sui ricavi. In questo mondo post-pandemia, il nostro settore continua a lottare per sopravvivere e credo che tutti debbano aprire gli occhi e rivolgersi al pubblico in modo autentico. Un dress code rappresenta tutto ciò che non ha a che fare con l'ospitalità".

John Sugimura
John Sugimura

Di opinione opposta, invece, è  Jamie Allen, proprietario della steakhouse Juliet a Houston dove ha deciso di adottare un rigido dress code. "Ho creato io  stesso il dress code,  Juliet non è un posto in cui consumare un pasto veloce, ma una locale  per le grandi occasioni. C'è un tempo e un luogo per ogni cosa. Non voglio che i clienti si vestano come se si trovassero in un pub. Io stesso, che sono di colore, frequento posti dove vige un dress code che proibisce indumenti che i neri spesso indossano, come le Jordan o le collane di catene. Il nostro dress code non intende essere d’ostacolo a nessuna fascia demografica; Juliet è un posto dove tutte le persone possono sentirsi a proprio agio, ma non voglio siano ammessi abbigliamento da palestra o da spiaggia, pantaloncini di jeans, abiti provocanti, magliette senza maniche o canottiere. Sono vietati maglie, berretti, cappellini da baseball, bandane e semplici magliette bianche", ha spiegato.

Juliet Gold Steak
@Juliet Steakhouse

La politica di Allen è condivisa anche da Adrienne Calvo, proprietaria del ristorante e bar Chef Adrianne's Vineyard di Miami. "Adoro che ci siano ancora alcuni posti a New York e Los Angeles in cui non si può entrare senza uno smoking. Il dress code del mio ristorante è business casual, sono vietati gli indumenti sportivi come pantaloncini da basket, da yoga e reggiseni sportivi. Penso che se si sceglie di andare in un locale con tovaglie bianche e rose fresche sul tavolo  sia rispettoso non presentarsi in pigiama o sudati dopo un allenamento. Ci impegniamo ogni giorno per far sentire speciali i nostri commensali, vestirsi in modo inappropriato rovinerebbe l'atmosfera". Ad analizzare  la questione da un punto di vista sociologico, invece, è Richard Ford, professore alla Stanford Law School e autore di "Dress Codes: How the Laws of Fashion Made History".

copertina camerieri stipendi
 

"Da sempre l'abbigliamento comunica rispetto e professionalità, quindi è giusto che scuole, luoghi di lavoro e  situazioni formali esigano un abbigliamento che si adatti allo scopo dell'istituzione; tuttavia a volte alcuni codici di abbigliamento vengono utilizzati per escludere gruppi razziali stigmatizzati”. La duplice funzione del dress code è sottolineata anche da Reuben Buford May, professore di sociologia presso l'Università dell'Illinois Urbana-Champaign, dove studia la discriminazione in luoghi pubblici come locali notturni, ristoranti e bar. I codici di abbigliamento possono essere visti come un modo per attrarre un certo tipo di clientela, ma possono anche essere intesi come un mezzo per tenerene lontana altra.  Oggi, inoltre, i dress code sono più difficili da giustificare dato che spesso la moda è incentrata sulla comodità: spesso anche se un ospite indossa una felpa con cappuccio può permettersi di pagare per l'intero ristorante, ma a causa di un dress code che richiede una giacca non ci può entrare", ha concluso.

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