A Venezia un team giovanissimo interpreta il territorio lagunare con un twist e una gittata internazionale: in sala Benedetta Fullin, in cantina Manuel Trevisan, dietro la vetrata della cucina a vista una promessa della cucina italiana, Salvatore Sodano. In sintonia perfetta.
Il ristorante
Un po’ nascosto nel dedalo delle calli e dei ponti sui canali, il ristorante Local fa parlare di sé da quasi dieci anni, quando su iniziativa di Benedetta e Luca Fullin ha iniziato a leggere in modo differente un territorio che non si può non definire speciale, scandito da accenti insolitamente giovani e contemporanei.
E già gli ambienti hanno un fascino particolare, con 5000 murrine incastonate nei pavimenti, la piccola cucina a vista, la cantinetta stipata di grandi formati sul canale e le suppellettili in legno confezionate da Remo Pasquini.
Negli anni in gondola sono saliti professionisti di spessore come Matteo Tagliapietra, che ha conquistato la stella, e Manuel Trevisan, sommelier che vanta esperienze da Cera e Dinner by Heston (Blumenthal) a Londra. Ora è il momento di Salvatore Sodano, giovane chef campano che qui ha la sua seconda, grande occasione.
Lo chef
Classe 1985, Salvatore è figlio di due cuochi di cucina tradizionale, che hanno cercato in ogni modo di dissuadere lui e il fratello Francesco dalla tentazione di seguire le proprie orme. Dopo il liceo scientifico e la laurea in Scienze e Tecnologie Alimentari, tuttavia la vocazione ha prevalso ed è iniziato il cursus honorum fra le stelle.
“Da Oliver Glowig a Roma ho compiuto la mia prima esperienza importante, mossa dal desiderio di fare un salto di qualità, partecipando alla conquista delle due stelle. Essendo tedesco, aveva un’eleganza particolare ed era estremamente rigoroso. Ma io volevo vedere cosa succedeva all’estero e ho lavorato con Massimiliano Blasone, da Nikita, all’Enoteca Turi e al Claridge’s di Londra con Simon Rogan, che compiva sperimentazioni stimolanti in chiave new british, dalle fermentazioni ai giapponismi, alla maturazione delle proteine nella cera”.
“Con mio fratello ci siamo poi ritrovati per tre anni al Faro di Capo d’Orso, dove condividevamo le responsabilità di chef. Io seguivo in particolare la panificazione, la pasticceria e i fermentati, ma il menu era cofirmato. Tuttora ci confrontiamo continuamente, perché abbiamo una visione della cucina molto simile, sia tecnicamente che nei concetti. Ci piacciono la concretezza e il piacere del cibo, ma ricerchiamo una palette di sapori che escano dallo standard, in continua progressione. Prediligiamo gli ingredienti locali, ma li interpretiamo con un respiro internazionale”.
Incredibile a dirsi, quando è arrivato al Local nel 2020, per la mediazione di amici comuni, Salvatore non aveva mai visto Venezia. Sono stati Benedetta e Manuel a fargliela scoprire. “Ricordo in particolare una gita in barca con un pescatore, che ci ha mostrato i luoghi dove i pesci salgono o si riproducono e le diverse tipologie di piante selvatiche. Ho visto le balene e i vari habitat della parte settentrionale della laguna. Perché Venezia è una piccolissima parte di un ecosistema grandioso, che non è solo pesce. Fra Cavallino, Sant’Erasmo e Pellestrina ci sono carciofi, anatre e tante altre eccellenze, che ho poi assaggiato nelle sparute osterie frequentate dai vecchi veneziani”.
Il passo successivo non poteva che essere la costruzione di una rete di fornitori locali, con cui inizialmente si trovava al mercato di Rialto la mattina, fra cui tre pescatori e due aziende agricole, a Sant’Erasmo e verso Padova. Da loro arrivano consegne quasi quotidiane, compatibilmente con le difficoltà dei luoghi, visto che lo spazio a Venezia è sempre scarso e la cucina non consente stoccaggi. È di giovedì, quando il Local chiude a pranzo, che si lavorano i fondi e buona parte delle proteine, come il pesce frollato; poi ogni giorno riparte la materia fresca.
Il risultato è una cucina giovane, tecnica e contemporanea, eppure saldamente ancorata ai luoghi. Si giova in sala della professionalità di Manuel Trevisan, autore di un acrobatico pairing quadruplo con vini più o meno rari, tè o infusi che ne mimano i profili organolettici, a fini di inclusività, oppure distillati Capovilla in piccolissimi assaggi, serviti dal carrello del solito Remo Pasquini.
I piatti
È già una portata la pagnotta, pallino dello chef, che a fine servizio compie le sue evoluzioni, stendendo e riappallottolando virtuosisticamente la massa come un lenzuolo panneggiato al di là del vetro. Sono 48 ore di lavorazione e 7 farine, di tipo 1, 0, 00 o maltata, di segale per il colore, farro per il profumo, semola per la crosta importante.
Seguono i cicchetti: lo sferico di infuso di alga colorato con la foglia di pisello blu su emulsione di ostrica di Scardovari, il bao al vapore e fritto con stracotto di granchio blu tipo soffritto di maiale, la cialda di ceci con miso di arachidi, composta di limone e crema di rosoline spontanee, la cialda di cumino con emulsione di fegato grasso, pecorino stagionato e bottarga d’uovo.
Il gazpacho omaggia l’ortaggio simbolo della primavera veneziana, il pisello, con l’aggiunta di Tabasco, menta e riduzione acida, gamberi locali o rossi crudi, appena conditi con una bisque ridotta, uova di aringa affumicate per la sapidità, nasturzio, germogli di piselli e robiola a ingrassare. Poi ancora vegetale: il cardoncello, fungo prediletto per la consistenza meaty e callosa, sbollentato in acqua acidulata, seccato in forno, scottato in padella e sulla griglia a carbone per il fumé; con la complicità di una “bagna cauda” umami driven al garum di acciughe, “fishy e lunga”, una composta di limoni per ripulire e la polvere degli scarti.
Le eliche in nero tracciano la rotta fra Venezia e la Campania. Per rendere più interessante il nero di seppia, Salvatore ha costruito “layer di sapore” attraverso la salsa intensa al fegato, il ragù dei corpi più leggero, il garum delle uova aggiunto alla fine, centrando lo scarto zero; più una purea di nepitella e barba di frate alla base, che conferisce freschezza balsamica, una spolverata di amchoor, mango acerbo essiccato, e un burro nocciola montato alla nepitella, che arrotonda e struttura col grasso.
Il risotto da vialone nano Pila Vecia Ferron esplora accostamenti rodati in modo personale. Ci sono la purea di fave al loro miso, la mantecatura con acqua ossidata di scalogno all’Ocoo, lo scalogno fondente per la lunghezza, le animelle classiche marinate nel latte una giornata, sbollentate, scottate e glassate al jus di pollo, le cimette e l’olio di cerfoglio che aprono il piatto.
Il pescato del giorno proviene da ricciole, cernie o moroni di grosse dimensioni, frollati per 15 giorni, porzionati, cotti a bassa temperatura e poi passati leggermente sul teppanyaki, in modo da non asciugare la succulenza residua, trasmettendo intesi sentori affumicati. “Forse il piatto più internazionale, con la rapa rossa in agrodolce e il cuore del pesce lavorato a mo’ di bottarga”.
Per gli appassionati c’è anche il carrello dei formaggi, con il Monte Veronese stagionato, il leggendario Fiore Sardo Cugusi, il Blu del Moncenisio e il Taleggio fresco, accompagnati da un pane impastato con infuso di earl grey, pistacchi, uva passa e pinoli a tendenza dolce. Dopo il divertissement dello sgroppin, ottenuto da una meringa inversa al lime e basilico che si scioglie in bocca, sprigionando profumi, arriva il predessert monografico e tecnico dedicato al carciofo. Dove la dolcezza si limita alla meringa ottenuta dalla purea del cuore al vapore, mentre le foglie bruciate in padella forniscono un brodo ossidato nell’Ocoo, corretto con soia e sakè, i gambi arrostiti l’olio di carciofo e gli scarti la tuile, mentre il gel di Cynar esalta l’amaro.
Chiude il dessert di caramello salato al miso di limone, brownie spezzettato al cioccolato, gelato al burro nocciola, polveri di salicornia e burro nocciola, tuile alle alghe e salsa di salicornia verde, che vira sulla sapidità. Per piccola pasticceria il macaron al limone nero fatto in casa, la ganache di lampone parzialmente fermentato, il lollipop di wasabi, piselli e cioccolato bianco, il pain aux fruits ai frutti rossi.
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Local
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