Tra le creste imponenti dei faraglioni e il ritmo slow della zona più appartata di Capri, un 5 stelle lusso che mette al centro l'elemento naturale e il fattore umano. Al suo interno, una tavola stellata dove il giovane Antonio Pedana scala la "grande muraglia" delle eccellenze locali con tecniche dal mondo.
Esiste una precisa fase della vita in cui genio e maturità sono poli opposti dello stesso magnetismo creativo: alla soglia dei 30 s'attiva una sorta di "calamita umana" che capta stimoli da ogni dove, per restituirli con una libertà di elaborazione a suo modo unica. Ma è raro che un gruppo alberghiero abbia il progetto di scommettere d'emblée su una squadra tanto giovane come quella del Punta Tragara, gioiellino della Dolce Vita estiva capace di radunare a Capri l'èlite del turismo di nicchia worldwide.
Invece qui l'età media dell'accoglienza, della brigata e della sala è inversamente proporzionale al livello di premura che investe il soggiorno, dalla limonata offerta appena entrati nella hall al "buon viaggio" scritto con la latte art sul cappuccino dell'ultima colazione. Così, d'istinto, ci si ritrova quasi a cogliere il dettaglio prima del background - ché il fascino del posto è indiscusso (e con esso la firma glamour di Manfredi Collections), eppure entrambi non avrebbero un simile impatto senza un gruppo di pari livello.
Il capofila? Antonio Pedana (classe '94, una carriera decollata a razzo nel locale di famiglia dopo aver spento le 13 candeline ed evoluta "valigie alla mano", passando dal Sereno al Lago a Dublino, fino alle retrovie di Taverna Estìa), appena eletto nuovo executive del complesso. Se non fosse che il record anagrafico interessa l'intero equipaggio di quel piccolo vascello in corsa che è Le Monzù, ristorante maison salpato verso lidi via via più ambiziosi con la conquista della stella Michelin da parte del precedente chef Luigi Lionetti nel 2019.
In tutto ciò, il set resta abbagliante, tra le creste affilate dei faraglioni e la macchia fitta che ammanta il promontorio di clorofilla: un ciak destinato a lanciare l'hotel con la migliore vista di Capri in una regia moderna senza soluzione di continuità.
L'hotel
La breve promenade che collega la piazzetta centrale del borgo alla terrazza appartata del resort è già un'anteprima di bellezza. Quindici minuti di full immersion in una screziatura di colori che va dal turchese allo smeraldo, di cui un certo Pablo Neruda tesseva le lodi dall'alto della sua villa situata proprio in via Tragara.
Anyway, la "regina di roccia" -questo il titolo assegnato a Capri dal grande poeta cileno- pare emergere ancor più in contrasto con la palette cangiante delle 44 camere e suite, grazie a un "lusso mimetico" incentrato sul naturalismo diffuso. Quindi, ad esempio, la "Pegaso Etro" è ritmata per 90 metri quadri dall'armonia dei motivi vegetali e dal ritornello bianco-grigio delle tipiche case isolane, mentre nella "Tragara" il colpo d'occhio rimbalza da un arco all'altro, per un continuum ammiccante che culmina nel bagno ispirato ai bagliori della Grotta Azzurra.
Alla fine, però, sarà il pacchetto di minuscole attenzioni a farvi calare appieno nella frame panoramica di questa ex villa nobiliare, immaginata da Le Corbusier nel 1920 e divenuta facile approdo del jet set internazionale col Conte Goffredo Manfredi, cui si deve la recente conversione in hotel. Sì, perché tuffarsi nell'impasto fondente della torta caprese fronte baia o ammirare il meeting serale dei gabbiani in volo sorbendo un drink al limoncello significa sciogliere d'un tratto il grumo di stress cittadino, per cogliere una Capri intima e piacevolmente defilata dal brusìo mainstream.
In ogni caso, non aspettatevi i soliti riti da villeggiatura leziosa: l'eleganza priva di ostentazione scocca bene la sua freccia, dai morbidi cuscinetti di stoffa per sostare sulla gradinata che si riflette nella piscina grande ai trattamenti pro per la cura dei capelli, con l'équipe di Fabrizio Narducci intenta a ravvivar le chiome dopo gli immancabili bagni di salsedine.
A interrompere il cortocircuito del languore penseranno due outlet opposti e speculari: il bistrot, con una scia profumata di tagliolini al lime e polpo espresso "dalla nave alla griglia", e -appunto- Le Monzù, fulcro di una giovane idea di ristorazione che merita un capitolo a sé.
Lo chef e la sala de Le Monzù
"Sono venuto su a pane e autonomia: nel ristorante di mio zio curavo i banchetti da cerimonia in piena fase adolescenziale e so che la responsabilità nasce dal senso di fiducia che ti viene dato. Per questo i miei ragazzi non hanno un campo di vista ristretto, ma un ampio grandangolo d'azione". Antonio Pedana è uno che sul teamwork investe a rischio zero, perché se nutri il "branco" di stima e di stimoli, le abilità si moltiplicano da sé anziché scadere in mansioni demodé.
"D'altra parte, ragioniamo insieme su signature d'impronta, autentici nel paniere di partenza e spigliati nel metodo di esecuzione. Magari metto il miso nel risotto ai limoni e nemmeno lo menziono: la complessità non va esibita, il knowhow deve restare in studio di montaggio". Fluidità operativa di cui danno conto due ottimi anfitrioni quali il restaurant manager Luigi Cinque e il sommelier Flavio Fusco: la simmetria coreografica nell'overture delle singole portate e, insieme, i toni distesi della narrazione sfidano il panorama già all'ingresso, davanti al tramonto che illumina il palco mediterraneo de Le Monzù.
"Il mestiere lo devi interiorizzare e trasmettere con animo sensibile", rimarca Luigi (artefice, per chi scrive, di un servizio fra i migliori della Campania, con pochi concorrenti in regione). "So di voler formare persone affidabili, e credo possano diventarlo solo se incoraggiate a dovere. Superato lo scoglio dell'inesperienza, saranno loro a brillare di luce propria con gli ospiti: mi piace lasciare spazio a ciascuno nella sua personale sfera d'espressione".
In cantina 400 etichette, range che Flavio ha rapidamente quadruplicato dal debutto nel 2021. E la sinergia con Antonio riverbera appieno nella carta dei vini, giacché i pairing scalano volutamente la grande muraglia delle combo territoriali. Lo conferma il sake proposto con la Tartare di manzo, nocciole, cetriolo cotto in osmosi, tosazu e gel di brodo di manzo: "Ricetta ardua da esaltare sul piano alcolico, allora abbiamo insistito sui test calice-piatto, fino a scovare la bottiglia adatta".
Va detto che una tale ricerca sui drink trova riscontro nella selezione di cocktail messi a segno dal bar manager Roberto Visone per il Tragara Club, fra cui caldeggiamo -per vivacità di rimandi e trasversalità di bevuta- il Punta Tragara con Casamigos Blanco, Nuestra Soledad Matatlan, Chili, Lime e Passion Fruit: letteralmente, un sorso fresco di Costiera.
I piatti de Le Monzù
Se l'incertezza sulle varie opzioni del menu è una costante delle vostre incursioni gourmand, forse avrete qualche difficoltà a scegliere fra Orizzonti (il tasting vegetariano), Terra Ferma (prevalentemente "carnivoro"), Tra le Onde (un diving nella biodiversità subacquea) e Labirinto di Sapori (8 portate a mano libera, secondo l'estro e la dispensa del momento). Sta di fatto che il percorso di Antonio fila liscio nei ritorni di intensità e leggerezza, complice un balance nutrizionale studiato per lasciare all'ospite il giusto respiro durante il pasto (spoiler alert: ve ne accorgerete a ridosso del dessert).
È un remix culturale lo Scampo e foie gras, innestato su doppie radici francesi e partenopee. "L'uso d'Oltralpe vuole il fegato d'oca accostato al Pan brioche, che noi riadattiamo a babà per 'campanizzarlo' con una struttura distintiva ad alta mordenza", racconta lo chef. Dunque, ancora caldo di tostatura e introdotto dai sentori vivaci del cereale, il lievitato cambia man mano il ritmo del boccone, insieme a una crema e brunoise di pere pronta a smussare il residuo ferroso di fondo. Non solo: "Il torchon di foie gras lo realizziamo noi stessi, dalla snervatura alla marinatura con Calvados-sale-zucchero, fino al bagno di una notte piena in acqua e ghiaccio". L'esito intriga per il confronto serrato fra le proteine; il crostaceo rosolato direttamente nel burro che apporta carnosità alla trama di velluto del pâté.
Senti "seppia" e ti aspetti il semplice mollusco "già visto e già assaggiato". Invece, la Seppia cotta a bassa temperatura, ricci di mare e polvere di nero di seppia de Le Monzù lava via con uno splash deciso l'ampia carrellata di cefalopodi anonimi che spesso affollano il repertorio di antipasti "comfort effect". Corpo sodo ridotto in veli finissimi e un accenno di camouflage sul dorso, il pesce viene direttamente spruzzato d'acqua di mare davanti all'ospite e presentato con mini-ravioli d'alga per il rinforzo umami. Senonché sotto lo strato iodato si nasconde una sorpresa a tutta polpa, con chutney e cubetti di mela verde che accelerano al volo la salivazione. Come quando addenti un frutto dopo tanto tempo e i succhi fanno schizzare l'acidità dritta ai neuroni: l'impulso è forte e duraturo, in un flash mob agrodolce che ravviva il bolo.
Nei primi colpisce la sottile intraprendenza delle paste, sospese sul filo tra gioco e arguzia. Lo dimostra lo Spaghetto all'estratto di pomodoro, che dell'ortaggio cattura e restituisce l'anima gentile, integrando l'asprezza "persa" in fase di riduzione con uno sferzante aceto di lamponi. Oppure le Eliche, cozze e peperoncini verdi, laddove la capasanta prende la consistenza di un "finto lardo" di pesce, sosia marino del grasso suino.
Più opulenta la Linguina al burro di bufala e lime, su cui versare l'ostrica Gillardeau bollita nel suo guscio chiuso, stile poché: "Volevo che liquidi insaporissero una base 'classica', legata (ma non ancorata) alle origini". La maionese del mitile alza il coefficiente di setosità, il nodino creamy riconcilia curve e spigoli.
Poi lo stendardo dorato di Capri, un souvenir naturale che all'arrivo vedi dipinto persino sulle panchine: il limone. Antonio ci fa un risotto "limpido al palato" -dice lui- e forse proprio il tentativo di semplificare la complessità ne accentua l'appeal. Diverse varietà del frutto e altrettante preparazioni infrangono l'onda compatta della mantecatura: limoni confit, succo di limone, burro ai limoni. E da ultimo quel pizzico di miso homemade incorporato al condimento, un trucco di scena che fomenta i capperi nella rincorsa di sapidità. Agile da gustare e da finire.
Interessante l'astice new school, con cui lo chef apre spiragli orientali nel canonico repertorio francese. C'è il medaglione in oliocottura, piastrato e reso zelante dalla salsa alla panna che "occulta" un inserto di dashi e succo di limone per stemperare la grassezza residua. E non può mancare la chela in court bouillon, però affiancata da maionese di corallo e cervello di astice: quando il no waste è un mantra.
Dalla cantina esce trionfante l'Arso 2020 Cabernet Franc Puglia IGT Bio Tormaresca Antinori, un cadeaux liquido che Flavio versa con le dovute presentazioni. Prodotto nella Murgia wild -territorio sfidante per un Cabernet in purezza- punta in primis sull'eleganza del tannino e su un'insolita fragranza refresh, con cenni di rosmarino ad integrare la speziatura. Rosmarino che si ritrova nel piatto, affumicato, sulla pancia magra ovina del Filetto d'agnello con barbabietola e ribes. Un kit sensoriale per esplorare la Campania pastorale: non di solo pesce vive il ricettario local.
A proposito di memoria, coi dolci i ricordi si assottigliano su una trama lieve, diametralmente opposta all'idea di fine pasto barocco. Quindi ti scopri a mangiare Latte e biscotti, con una duplice spuma -calda e fredda- addizionata al frollino al cioccolato, mentre la cialdina di cacao accoglie una quenelle di gelato fresco che trasforma la colazione invernale in una merenda estiva. A chiudere la fiesta dei dessert, un dopocena esotico allo stato solido: Piña Colada. Capri sorniona e globale, familiare e imprevedibile, in quest'ultimo atto diviso a metà.
Contatti
Hotel Punta Tragara- Ristorante Le Monzù
Via Tragara, 57, 80073 Capri NA
Prenotazioni: +39 081 090 1201
Informazioni: +39 081 837 0844