Dopo aver raggiunto la fama al Santceloni di Madrid, dove con la moglie e pastry chef Montse Abellà deteneva due stelle Michelin, lo chef di Segovia si è messo in proprio, mietendo allori nel giro di dodici mesi. “Ma questo mondo è cambiato in meglio, la conciliazione è fondamentale”.
Lo chef
“Sono uno chef dalla vocazione tardiva”, ammette Oscar Velasco, che solo nella maturità ha raggiunto la fama e nel giro di dodici mesi ha già conquistato l’ambito sole Repsol per la sua avventura in solitaria. Se è pur vero che già a 16 anni iniziava a spignattare, dividendosi fra gli studi e i fornelli, è stato dopo un tentativo infruttuoso all’università che si è iscritto all’istituto alberghiero di Segovia, memore delle meraviglie della mamma e della nonna, artefici di un “artigianato” che si sta perdendo. E da quel momento ha iniziato a essere sempre più esigente con se stesso: “Tutti i giorni, da quando ho iniziato a lavorare, ho la sensazione che posso fare di più. A volte è frustrante”, confida in un’intervista a La Razon.
“Quello che la cucina prende, la cucina dà”, gli diceva un professore. E per quanto la gavetta sia stata lunga e faticosa, dopo qualche stagione da sguattero è stato chef di cucina tradizionale castigliana, prima di passare al Cabo Mayor, ora diretto da Berasategui, e nel celebre Zalacain, allora bistellato. “Ma io volevo sempre saperne di più, sentivo sempre che non era abbastanza”, ricorda. Dopo una parentesi alla Concha di Segovia, eccolo di nuovo nel fine dining, al fianco di Martin Berasategui al Lasarte e Santi Santamaria al Can Fabes. Il trampolino di lancio per il Santceloni di Madrid, suo per vent’anni sotto l’egida di una doppia stella Michelin.
Poi la scelta di mettersi in proprio con la moglie Montse Abellà, conosciuta a El Racó de Can Fabes e pastry chef del Santceloni, nel quartiere di Chamartín a Madrid: “Un figlio in più, visto che condivide i nostri cognomi”. Si chiama infatti Velasco Abellà Restaurante e offre una cucina del mercato contemporanea, per dirla con Michelin, fondata sulla materia prima, ma con un pizzico di libertà in più, a parità di tecnica e di eleganza. Senza dimenticare il passato, tanto che in carta restano alcune icone del due stelle, come i ravioli di ricotta affumicata a caviale Osietra.
“Potere affiancare quotidianamente i grandi, osservando come impostavano il lavoro, l’organizzazione e la relazione con il personale, è stata la cosa più importante”, ricorda lodandone l’umiltà e la dedizione al lavoro. Oggi, tuttavia, è insorto un nuovo problema: la mancanza di personale. “Ma l’evoluzione è stata positiva. Se vogliamo che ci siano professionisti, occorre regolamentare. Non si può pretendere che qualcuno lavori 14 ore al giorno. Ed è molto complicato. È fondamentale godere di una buona qualità della vita e questo significa conciliare privato e lavoro”.