Un sentiero che continua a rigenerarsi: la cucina etica di Riccardo Gaspari, il racconto in sala di Ludovica Rubbini e un microcosmo sostenibile capace di attirare a Cortina i gourmand di tutto il paese.
Ritratti di Giuseppe Ghedina
Ambienti e piatti di Chantal Arnts
Nel 2000 fu Norbert Niederkofler, con la definizione della sua filosofia “Cook the Mountain”, il primo ad immaginare una cucina fine dining capace di utilizzare solo materie prime di montagna e poi ricette e tecniche di cottura realmente legate ai territori delle terre alte. Da lì tanti sono stati coloro che hanno colto lo stimolo lanciato da Norbert. Di tanti progetti ispirati da quel solco, quello del SanBrite (e del Brite de Larieto) rappresenta uno degli eredi più solidi.
La storia
Riccardo Gaspari, classe 1985, ampezzano doc, diplomato alla scuola di falegnameria, nella vita è stato giovane campione di sci (specialità veloci), maestro di sci, aiutante del padre e casaro nella gestione dell’azienda agricola di famiglia, poi è passato ai fornelli dell’agriturismo di famiglia, “El Brite de Larieto”. Dal 2017 è fondatore e chef patron del SanBrite.
Ludovica Rubbini, bolognese d’origine, frequenta Cortina fin da bambina per le vacanze con la famiglia, e poi per periodi sempre più lunghi, finché non sceglie un’esperienza di lavoro nella sala di “El Brite de Larieto”. Dal 2017 è fondatrice e general manager del SanBrite.
C’è chi sostiene che sia stata la presenza di Ludovica a convincere Riccardo a diventare stabilmente un cuoco, e il pensiero in sé piace anche a noi; di certo la decisione di creare il ristorante gastronomico, a poche centinaia di metri dall’agriturismo, è un’idea comune. SanBrite nasce nel 2017, nel 2020 introduce il concetto di “Cucina Rigenerativa”, si vede assegnare una stella Michelin nella guida del 2021, e poi una stella verde nella guida 2022. Senza contare i progetti paralleli come “Genesis” e BriteMobile.
C’è da rendere merito alla capacità dei fondatori di immaginare una cucina agricola e selvatica a Cortina, di progettarne l’evoluzione e di tramutare il tutto in azioni sostenibili umanamente e economicamente. Merito ulteriore, aver fatto il tutto invertendo l’ordine dei fattori che oggi vanno per la maggiore: oggi si crea prima il ristorante gastronomico, e poi la versione più leggera, il bistrot. Il SanBrite invece è stato l’ultimo tassello di una storia cominciata con un’azienda agricola e che includevano, e includono tuttora, l’agriturismo, il caseificio, la produzione di salumi, l’organizzazione di eventi e “merende”.
Oggi ci limitiamo a concederci il piacere di sederci ad un tavolo del ristorante e provare il menu degustazione, con una bussola precisa in mano:“Rigenerativa è la cura del territorio di cui siamo a servizio; rigenerativa è la scelta di lasciare liberi i nostri animali, di produrre formaggi che cambiano colore in base a quello che mangiano. Rigenerativa, per noi, non è una tecnica da imparare ma uno strumento di scelta per le nostre produzioni. Il cibo del futuro per noi è un cibo sincero, un cibo senza manipolazione, un cibo coerente.”
Il ristorante
Il ristorante ha sede lungo la strada che porta verso la zona sciistica Faloria e Cristallo, all’interno di una casa tipica ampezzana, di quelle con il piano terra in pietra e il piano superiore a sbalzo, con le pareti esterne in legno. La sala offre una vista impareggiabile sulle Tofane. Gli arredi sono un trionfo di legno, pietra, ferro, tessuti sapientemente lavorati da artigiani locali. I mazzi di fiori secchi appesi alle travi donano colore e calore.
Un altro dei meriti dei due fondatori è quello di essere riusciti ad ispirare e coinvolgere nel loro progetto altri professionisti di talento. Simone Pandolfi, in squadra dal 2020, oggi è un maître capace di tenere le redini della sala con ritmo, simpatia, sensibilità e competenza; Vincenzo Saladino è sommelier del SanBrite dal 2019 e porta gli avventori alla scoperta del meglio delle cantine di Trentino, Alto-Adige, Friuli ma è altrettanto preparato quando il discorso si sposta altrove, in particolare in Francia. Firma una carta dai ricarichi più che corretti.
Il percorso degustazione “Sentiero” e i piatti
Il percorso di degustazione a mano libera ha un nome tutt’altro che casuale: un sentiero è un percorso in natura tracciato da esperti che aiuta il viandante a raggiungere una destinazione e a farlo in tutta sicurezza, in ogni stagione. Qui è lo stesso. Nel periodo invernale, questa degustazione è caratterizzata da tecniche quali affumicatura, conservazione, macerazione. Si comincia con un aperitivo: un raviolo di cipolla, con interno di cipolla; una cialda con maionese di polline, aglio nero, mirtillo rosso e cavolo cappuccio fermentato; una tartelletta con maionese di porro, semi di senape e pomodoro cuore del bue marinato in barbabietola. Un inizio tutto vegetale, goloso, croccante. Nota di merito per il raviolo di cipolla, capace di sorprendere per intensità e profondità del sapore malgrado l’utilizzo di un unico ingrediente.
Il passaggio successivo è un manifesto programmatico di Gaspari, ovvero l’Herbarium. È un assaggio in purezza di diverse bacche (e non solo) che cambiano nel corso delle stagioni. Una sorta di alfabeto per imparare la lingua con cui la cucina vuole parlarci. Un passaggio didattico, una trasmissione culturale. Oggi prevede: finferlo marinato, polline di rose al naturale, mirtillo rosso, trota essiccata, prugna fermentata, abete rosso, carota extramatura. Bella giostra di stimoli di gusto che passano dalle acidità pungenti, alla salinità più spinta, ad inaspettate dolcezze, fino ai sapori più erbacei e balsamici. Sensazioni che trasmettono un messaggio: l’inverno è la stagione in cui si mangia quanto si è messo a conservare in estate. Una volta educati al verbo della cucina, ecco il primo vero piatto del percorso: la lumaca.
Siamo molto distanti dalla lumaca classica, alla francese. Qui si tratta di una lumaca cotta in acqua di prezzemolo, bieta e salsa di caprino. Si rivela inaspettatamente un piatto fresco, dalla spiccata acidità, perfettamente equilibrato tra l’ingrediente principale e la parte erbacea. Il secondo passaggio della degustazione mantiene saldo il canone: un ingrediente principale di territorio, questa volta vegetale, valorizzato con l’aggiunta di materie prima capaci di esaltarlo, di evitarne la banalizzazione. Si tratta di una rapa rossa marinata, con yogurt alla greca, uova di trota, e poi a chiudere una salsa derivata dal kvass, bevanda di pane fermentato in acqua, tipico delle cucine dell’Est Europa, cui viene aggiunto rafano e olio alla carota. Ne esce un piatto molto lungo al palato, in cui spicca l’acidità e che stupisce per la golosità.
Prima del passaggio successivo avviene il servizio del pane, prodotto internamente, con il burro salato montato. Del burro salato del SanBrite si è scritto abbastanza, tanto che gode ad oggi di 462 risultati di ricerca su Google. Si sappia solo che la sua fama è più che meritata, e il punto di sale della ricetta di Gaspari ne fa uno dei più amati tra gli amanti del burro. È il turno di una cipolla grigliata e laccata con il suo fondo, cremoso di lardo e cipolla, a completare un brodo di maiale affumicato. L’ispirazione è la zuppa di cipolle, piatto tipico della zona. Qui è l’affumicatura del brodo che aiuta a smussare non tanto la verticalità della cipolla, delicata e minerale, quanto l’intensità del cremoso di lardo.
Si continua con una trota grigliata dalla parte della pelle, alla base un fondo di pesce e porcini, insalata di prugna fermentata, e fiori di sambuco. Un piatto confortevole, goloso, meno sorprendente dei precedenti, più classico. Il sapore della trota è meno protagonista del previsto, il sambuco non emerge a pieno. Il primo piatto sono ravioli ripieni di stracotto di lingua di manzo, con tre salse: salsa verde, salsa di cavolo cappuccio, fondo di sedano rapa. Pasta fresca perfettamente eseguita per spessore e cottura della pasta, per la delicatezza del ripieno e per il bilanciamento equilibrato delle tre salse. Siamo in zona cibo di conforto, interpretato in chiave “cucina rigenerativa”. Nuovo passaggio completamente vegetale, Orto: orto invernale con carote extra mature, marinate e crude, cremoso di aglio nero ed erba cipollina e a completare un brodo di porro. Nel complesso piacevole, si perdono un po’ i singoli sapori.
Cervo marinato in abete e polline affumicato con il fieno alla base il suo fondo a completare un kvass di pane. La cottura del cervo è perfetta al millimetro, la temperatura di servizio anche. Un secondo piatto che nelle aspettative era tutto giocato sul valore della materia prima, questa volta nobile, ricca, e sulla perfezione della cottura si rivela qualcosa di sorprendente. Merito nuovamente kvass di pane, che rende l’assaggio più goloso, stimola la salivazione, da ritmo al palato.
Il percorso di conclude con “Sottobosco”, un dessert che chiude in modo quasi illustrativo tutto il senso della degustazione. Vuole ovviamente rappresentare un bosco d’inverno. Sopra a tutto, una lastra di ghiaccio, sambuco e polvere di yogurt. La faccia dell’inverno, il gelo e la neve. Chi ha il desiderio di andare oltre e rompe la lastra trova un cremoso di yogurt e larice, un cremoso di carrube e un estratto di sedano, quasi a svelare che ogni inverno porta con sé il pensiero di una nuova estate. Nota al merito, lo chef ormai da anni non utilizza più zuccheri aggiunti nei suoi dessert, se non quelli già presenti negli ingredienti.
Dopo l’arrivo del nostro “Sentiero”, ci aspetta una piccola pasticceria e frutta candita golosa e divertente e una chiacchierata con lo staff. Pare sia in fase di approvazione un progetto di ampliamento che arricchirà ulteriormente gli ambienti, con una nuova sala accoglienza, che andrà ad affiancare la sala conviviale (davvero bellissima e già disponibile per tavoli numerosi o degustazioni), recentemente sorta al posto della rivendita del caseificio.
Contatti
SanBrite
Località Alverà, 32043 Cortina d'Ampezzo BL
T. 0436 863882