Il Refectorio di Abadia Retuerta non è solo uno dei ristoranti più belli di Spagna: coniuga le suggestioni di un monastero duecentesco con la cucina di Marc Segarra, che nasce ogni giorno nell’orto, come ai tempi dei monaci.
La notizia
Per tanti l’autoproduzione è marketing: sono sufficienti un paio di aiuole per le erbe aromatiche, qualche foto di rito e il gioco è fatto. Fra coloro che invece ne stanno dissodando le potenzialità stilistiche, sempre più a fondo, c’è in Spagna Marc Segarra, alla guida dal 2016 del bellissimo ristorante Refectorio. È ospitato in un monastero duecentesco convertito in resort, Abadia Retuerta le Domaine, dotato di 20 suite esclusive e di un orto in piena regola, sulle rive del Duero. Se ne è accorta presto la guida Michelin, che ha affiancato alla sua stella, conquistata nel 2014 da Pablo Montero con la regia di Andoni Luis Aduriz, quella verde per la sostenibilità.“I monaci sapevano benissimo quello che facevano”, osserva Segarra a proposito degli spazi, tuttora più o meno vincolati alle originarie destinazioni d’uso: il ristorante nella mensa, sopra la cantina e a pochi passi dall’orto. Da quando è arrivato, lo sforzo è stato quello di centrare sempre più la cucina sul territorio, accorciando il chilometro a zero. L’orto ha così raggiunto le ragguardevoli dimensioni di 2000 metri quadrati.
Ad accudirlo è Victor Frechilla, che concorda con lo chef varietà da piantare e punti di maturazione. La lavorazione avviene in biodinamica, con la prospettiva dell’agricoltura rigenerativa; ma nei piani ci sono anche qualche gallina e l’aratura a trazione animale. Ed è una piccola oasi di forme e colori, in una zona ormai colonizzata dalla monocoltura cerealicola.
Le varietà di pomodoro, per esempio, sono una decina e la loro maturazione precoce dovuta alla calura, con un anticipo di diverse settimane, ha costretto Segarra a fare i salti mortali per evitare sprechi. Poi c’è da testare una melanzana di varietà sconosciuta, sottoposta a coltivazione sperimentale; e ancora le trecce d’aglio, pronte per essere seccate. Mentre l’achillea finisce nel piatto della pernice, cui dona il giusto punto di amaro, i friggitelli diventano granita al momento del dessert e l’indivia è cotta nell’argilla per guarnire la meunière.
I monaci, si sa, non disdegnavano neppure il vino e qui la cantina è di tutto rispetto. La amministra Agusti Peris, sommelier e direttore di sala, che volteggia fra i volumi d’epoca sugli scaffali e gli affreschi originali del ‘200, all’unisono coi calici.
Fonte: La Vanguardia
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