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Tèrra, la stella verde di due italiani a Copenaghen: quando la sostenibilità è realtà

di:
Bianca Tecchiati
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copertina Terra Copanaghen

Due assi del fine dining romani, uniti ai fornelli e nella vita, hanno realizzato a Copenaghen il loro sogno sostenibile. Tèrra vola alto fra una spigliata narrazione in sala e una cucina realmente volta alla minimizzazione degli sprechi.

Foto di Lorenzo Noccioli

Ritratti di Alberto Blasetti


Il ristorante

È l’immersività che caratterizza la nuova veste del Tèrra di Copenaghen, fresco di restyling. Per gli interni i proprietari, chef Valerio Serino e Lucia De Luca, direttrice di sala, compagni nella vita e nel lavoro, hanno pensato al modo più stylish per far sentire il cliente avvolto.

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Come a teatro, dove il palcoscenico è l’unico ad avere una luce diffusa, qui è la cucina a vista che occupa lo spazio preminente, luminosa e centrale. Leggermente interrata e ancor più valorizzata dagli spazi che la circondano, con pareti e arredi nelle tonalità dei grigi scuri, minimali e di estrema ricercatezza, l’illuminazione appena soffusa.

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Dove riluce il filo di perle di Lucia e l’immancabile suo sorriso mentre volteggia fra i tavoli a diffondere con grazia e eleganza la sua competenza su ingredienti, vini e cultura del cibo, con un registro narrativo su cui si dovrebbero basare i manuali fondanti del lavoro di cameriere, che purtroppo però non esistono.

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La scelta musicale è studiata accuratamente e spazia con fluidità tra avanguardia e classici, la playlist è a cura dei padroni di casa, come il decor degli interni. Anche perché Lucia, romana, classe 1987, ha una formazione da designer, culminata nel 2011 in un master a Copenaghen, che, complice la passione per l’enogastronomia, ha poi declinato in ambito ristorativo. Dopo un anno dal suo arrivo nella capitale danese la raggiunge il compagno Valerio, anch’egli romano e di un anno più grande, che lascia la sua occupazione presso una compagnia aerea per lavorare nella cucina del Kanalen prima e di Amass poi.

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Nel 2014 si concretizza la loro prima intuizione gastronomica con l’apertura de Il__mattarello, bar, laboratorio di pasta fresca, bio e tirata a mano incluso nelle sessanta insegne che popolano il frequentatissimo mercato coperto Torvehallerne. A detta di molti cuochi locali e critici divenuti clienti affezionati, il luogo dove trovare una next-level carbonara, da fare invidia a quelle di Roma. Nel 2017, sulla Ryesgade, un tempo nota per i negozi di antiquariato, si aprono le porte del ristorante Tèrra.

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Un progetto che fa dell’uso integrale degli ingredienti e del recupero il motore della creatività di chef Serino. L’utilizzo delle materie prime è oltre il 95% e il senso etico si estende al rapporto con i dipendenti e con i produttori, per questo dopo quattro anni, ma a causa della pandemia -effettivi sono due- arriva la stella verde Michelin. Per le stesse ragioni fanno parte anche dell’associazione Tempi di Recupero, che promuove una visione consapevole del mondo attraverso una rete di chef, vignaioli e gelatieri, che hanno piena coscienza della necessità di non sprecare.

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Che poi non è altro che il fondamento su cui si basava la cultura culinaria delle massaie di un tempo, che può trasformarsi in un efficace allenamento all’ispirazione e un potente propulsore della creatività. Per Serino è sicuramente un lavoro di ricerca massiccio sugli ingredienti, che parte dall’acquisto da agricoltura locale biodinamica, dal pescato, ai metodi di conservazione, per sfociare in una gioiosa esultanza del gusto nel piatto. Senza tralasciare l’aspetto di sensibilizzazione delle persone sul tema.

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I piatti

Il menu racconta una passeggiata che parte  lungo la costa danese, che prosegue nel bosco fino ad arrivare nell’entroterra per incontrare i produttori locali. Con un abbinamento di bevande trascinante. “Per riscaldare l’animo” dice Lucia mentre ci porge un brodo di astice e polvere di pomodoro, per cominciare con una consuetudine della cultura nipponica.

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Nella tartelletta, la chela di astice è ricoperta da un “green curry” ottenuto da steli e varie parti inutilizzate di vegetali e erbe aromatiche.

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Ispirata al concetto del "fishing power", l’aringa viene prima marinata all'aceto e poi preservata sott'aceto, appoggiata su una meringa e arrotondata nei picchi aciduli da una purea di scalogno.

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A differenza dell’Italia, l’anguilla in Danimarca non vive il dramma dell’estinzione, per questo da Tèrra l’hanno scelta per uno spiedino stuzzicante, abbinata alla rapa rossa, entrambe glassate con una salsa teriyaki fatta in casa.

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Mentre il calice accoglie Domaine Karanika Extra Cuvée de Réserve 2016, con sentori di brioche, lievito naturale, ma anche formaggio burroso, mentre al palato arriva il pane appena sfornato e lungo nel finale il limone piccante.

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Delizioso il bocconcino di daikon, olio di rafano, con una copertura di semi di mostarda. Il primo tassello non convenzionale del pairing è Elmsfeuer Rabarber Brut, uno spumante di rabarbaro danese, la cui polpa fermenta in acciaio, con note che variano fra il rabarbaro e la mela verde. Un’azienda che applica i metodi classici di vinificazione a bacche e a frutti di varie aziende agricole.

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È servita in una enorme e scenografica cozza la crema cotta di cozze affumicate, in cui sono immersi una coda di astice in shabu shabu, funghi shiitake e oystercatcher, petali di rosa raccolti e preservati, serviti sia in versione petalo che olio. Con l’abbinamento di un succo di salvia e limone fatto in casa.

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Unico ingrediente base, la patata viene prima bollita, poi ossidata e servita con spuma di patata con latte al fieno e rafano, le cui foglie vengono utilizzate per aromatizzare un olio. Per un sapore amaro con sfumature acide, che oscillano fra la liquirizia e la genziana.

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Iniziando dalla coda per poi arrivare alla testa si percepisce il crescendo di sapore del gambero di fondale marinato al sale, servito con koshu di aneto, foglia di origano messicano coltivato nel piccolissimo giardino all’interno del ristorante.

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Provengono da una azienda agricola appena fuori Copenaghen i pomodorini, cotti confit con all'interno umeboshi di fragola verde, cappero di sambuco, peperoncini habanada, della famiglia dell’habanero, chele di astice, basilico, aneto, con la connessione di una acidità aggraziata data dal gazpacho di susine mirabelle

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Si abbina al piatto anche per cromia il Riva Arsiglia Menti, 2017, un garganega orange dalle note dolciastre molto agrumate e dal tannino soffice.

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Sorprendente il taco di sedano rapa, piatto distintivo dello chef, che alterna strati di sedano rapa fritto a strati crudi marinati, completato da una emulsione di salvia. La partenza è di una acidità che sul finale si congeda fra le note dolci.

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Che si incontrano con quelle legnose, quasi affumicate del Clos Larrouyat Météore 2021, un gros manseng vivace con una punta sapida nel finale.

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Come giusto, la pasta è inevitabile e arriva sotto forma di passatelli, ma di farina di castagna e alga kombu, immersi in un brodo di quel che resta dell'anguilla, a cui viene aggiunto olio di bergamotto e bergamot koshu piccante. Da gustare con una buona quantità di brodo, in modo da equilibrare dolcezze e amari.

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Un tè verde kukicha al timo e bergamotto richiama l’agrume del piatto precedente e prepara ai sapori successivi. L’halibut norvegese viene salato e lasciato riposare una notte in frigorifero, viene cotto molto lentamente dalla parte della pelle che diventerà croccante e darà l'umami e sapidità. Internamente avrà una parte con cottura media e una completamente cruda, per ottenere tre differenti texture. Con le parti meno nobili del pesce, ridotte ed emulsionate con olio al  sambuco fatto in casa, viene preparata la salsa che lo accompagna. Insieme a una susina mirabelle lattofermentata; a un petalo di rosa sottaceto, a una prugna sott'olio lavorata come se fosse un pomodorino secco, a un ravanello leggermente acidificato.

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I funghi shiitake si accompagnano a un lion's mane dei boschi danesi, lavorato dallo chef come fosse un affettato, ma con consistenze più tenaci, vengono avvolti da un latte di castagne, con olio di alloro e capperi di coriandolo. La sovità del pinot nero di Christian Tschida Birdscape 2020, definibile, a scelta, un rosso leggero, o un rosato saturo dai profumi del sottobosco, tannino lieve, con acidità e sapidità finali che enfatizzeranno l’erbaceo della pietanza successiva.

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Una carne di vacca vecchia da latte rimessa al pascolo a cibarsi esclusivamente di erba ricorda la marezzatura del wagyu. Viene invecchiata per nove giorni, glassata con salsa di aglio nero e burro nocciola e leggermente affumicata. Nel piatto l'accompagna una bacca di aronia acidificata e tannica, mela cotogna giapponese caramellizzata come una mostarda di Cremona; mele selvatiche con semi di senape; peperoncino shishito giapponese coltivato in danimarca leggermente fiammato; essenza di grasso della carne.

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Per il sorbetto di limone viene utilizzata anche la buccia e viene aggiunto un olio di verbena, il crumble di mandorla su cui posa è ottenuto dal latte di mandorla del menu estivo.

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Ad addolcire il succo di susine mirabelle raccolte da Valerio e Lucia, uno sciroppo di melissa. Nel dessert viene utilizzata la prugna nella sua interezza, alla base una sorta di crème caramel aromatizzato ai noccioli del frutto a cui si aggiunge una salsa ottenuta riducendo il frutto senza zucchero; riso soffiato, fiori essiccati del giardino.

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La piccola pasticceria riassume mirabilmente il concetto di zero waste, con un croccante di semi di zucca; un brownie freddo di fondi di caffè e cioccolato; cioccolato bianco invecchiato e ossidato a temperature controllate della consistenza di un toffee; dolcetto amaricante di polpa del limone, lavorato dopo che è stato spremuto e tolta la buccia. Come i vermut fatti in casa fortificando il vino che non viene servito e rimane nelle bottiglie, aggiungendo sciroppi, ad esempio a base di foglie di fico e moscato, per un risultato floreale e aromatico; uno a base di vini bianchi e rosmarino, più balsamico e digestivo. Per una chiusura alcolica un po’ più decisa, non resta che l’assaggio del Gin Tèrra dal mood quasi torbato.

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Contatti

Tèrra

Ryesgade 65, 2100 København Ø, Danimarca

Telefono: +45 28 59 64 17

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