Storia dello chef candidato al Nobel per la Pace e protagonista di grandi iniziative umanitarie per sostenere i popoli in guerra: conosciamo meglio Josè Andrès.
LA STORIA
La cucina che va oltre il piatto e la ricetta. La cucina che diventa strumento di azione, dialogo, sensibilizzazione. La cucina che si fa portavoce di un messaggio più grande e concreto, diventando progetto e aiuto per chi ne ha bisogno. Questa è la cucina di Josè Andrès, chef due stelle Michelin capace di rendere grandi i ristoranti di sua proprietà ma, soprattutto, di realizzare qualcosa di unico. Talmente unico da essergli valso la candidatura al Nobel per la Pace nel 2019 (ma circa un mese fa, a febbraio, una proposta dei democratici statunitensi al Comitato Norvegese ha nuovamente portato all’attenzione il suo ruolo in ambito umanitario, caldeggiando la nomina al premio).
Sì esatto, avete letto bene: proprio il Nobel per la Pace. Perché Andrès vede nel cibo non solo creatività e nutrimento, ma anche un potente veicolo e strumento per promuovere il cambiamento. Tutto è cominciato nel 2010 quando, a seguito del tremendo terremoto che ha colpito Haiti, ha intrapreso e realizzato un progetto importante che sta continuando a crescere: il World Central Kitchen. “Tutto è iniziato con una semplice idea a casa con mia moglie Patricia: quando la gente ha fame, manda dei cuochi. Non domani, oggi”, spiega lo chef alla BBC. Già presidente della DC Central Kitchen, non-profit Washington DC, Andrés ha visto un'apertura per creare un'organizzazione internazionale focalizzata sull'aiuto diretto attraverso il cibo.
“Sono un ragazzo molto impaziente e non mi piace stare in disparte a osservare senza fare nulla. – spiega – Ad Haiti abbiamo visto la devastazione in un paese già molto povero, così ho detto, 'lasciatemi andare non tanto per aiutare, ma per iniziare a imparare', e lentamente ho cominciato a capire che la volontà da sola non basta”. Così, cucinando accanto alle famiglie sfollate in un campo, si è fatto guidare dall’esperienza di ogni giorno. Non si trattava solo di nutrire le persone bisognose, piuttosto di ascoltare, apprendere e cucinare stando al loro fianco.
Da quel momento sono passati 14 anni e il World Central Kitchen ha servito più di 350 milioni di pasti in tutto il mondo, collaborando con organizzazioni e attivando una rete di ristoranti locali, trasporto di cibo e cucine di emergenza. “La chiave per fare la differenza – sottolinea Andrés - è avere la fiducia di credere di poter avere un impatto positivo e tangibile in un momento di necessità, esattamente nel posto in cui ti trovi”. Ecco quindi che la cucina, la sua cucina, è uscita dalle mura dei ristoranti per contribuire a obiettivi di grande impatto. Una narrazione che lo contraddistingue pienamente perché, come lui ama sottolineare, "non apro i ristoranti, racconto storie. Ognuno dei miei ristoranti è una storia".
E sono ormai quattro decenni che le sue storie colpiscono e conquistano, caratterizzando realtà come Jaleo e The Bazaar. Sulla sua strada professionale ci sono nomi del calibro di Ferran Adrià, ma è arrivando a New York prima, e Washington DC poi, che la sua capacità creativa e imprenditoriale spicca il volo. "Mi è stato dato molto credito per aver reso Washington DC una forza, e ho fatto la mia parte quando sono arrivato, ma questa città era già straordinaria”.
La verità, però, è che Andrès ha fornito un grande contributo per quanto riguarda l’innovazione del mondo culinario. A differenziarlo è proprio il suo approccio, una tendenza che mira a riflettere la vita reale, riportando le esperienze emotive all’interno di ogni piatto e conducendo l’ospite in un viaggio tra paesi, passato e presente, situazioni politiche e sociali. Cifra stilistica? Sicuramente, ma anche quasi una missione, che parte dal cibo per ispirare e trasmettere storie di vita vissuta.