Yotam Ottolenghi riflette sul “concetto vuoto” di chef- celebrità: l’obiettivo è cucinare, non avere molti followers su Instagram. E poi: “Mi sono accorto che si può essere felici senza inseguire forsennatamente il successo”. L’intervista.
L'intervista
Libri che sono diventati dei veri e propri best seller, programmi televisivi, sette ristoranti a Londra e uno che presto verrà inaugurato a Parigi, ma soprattutto una cucina che è un vero e proprio intreccio di culture e sapori, che ha cambiato il modo di mangiare dei londinesi; nonostante ciò (e molto altro) Yotam Ottolenghi non ama essere classificato come celebrità.
“Molte persone mi ritengono famoso, ma se ci pensi, cosa significa essere una celebrità? Oggi tutti possono esserlo, se hanno molti follower sui social media. La mia vita quotidiana invece è cucinare, pensare, sperimentare, essere ospitale. La nozione di ‘chef famoso’ è vuota, superficiale. Quello che credo è che gli chef si stiano gradualmente avvicinando ad altri temi come la cultura o l'ambiente. Ma questa è un'altra storia”, racconta Yotam a La Vanguardia. Una visione che lo chef, naturalizzato britannico ma di origine israeliana, ha fatto sua ancor più dopo il covid. Da allora, infatti, Yotam ha compreso l'importanza di prendersi il proprio spazio e dedicare tempo alla famiglia.
“Il tempo libero che ho lo passo con i miei figli, che hanno un'età in cui già si può fare qualcosa insieme; mi piace anche giocare con loro al Nintendo Switch, ma perdo quasi ogni volta, tranne tre giorni fa. Sono molto competitivo; tuttavia, mi sono accorto che si può essere sereni senza inseguire forsennatamente il successo. Non avrei mai pensato di poter trascorrere alcune settimane facendo meno attività del solito, invece ora mi sento come se mi fossi liberato: so che potrei essere abbastanza soddisfatto anche con meno notorietà. E’ una bella sensazione. Prima ero probabilmente vittima di quel meccanismo”; raccontava qualche tempo fa a Cook.
Nonostante dedichi più tempo a se stesso e agli affetti, Yotam non ha assolutamente distolto il suo impegno e la sua dedizione dalla cucina, dove protagoniste indiscusse sono verdure, spezie e legumi mixati e combinati in piatti che rappresentano un elogio alla tradizione mediterranea e all’incontro delle culture parte del suo DNA. Quindi Israele, Italia, Francia e Mediterraneo. Se l’ingrediente e il suo rispetto sono due concetti fondamentali per Ottolenghi, non lo è di meno l’estetica del piatto. “Il mio ruolo è provare, immaginare, combinare e avere una squadra potente che fornisca idee migliori di quelle di una sola persona. Quando creo il piatto, prima di realizzarlo penso molto e mi piace cimentarmi nella presentazione, perché sono affascinato dal suo aspetto. A volte ho l'immagine ideale nella mia testa molto prima di arrivarci. Non mi ritengo un artista, ma la verità è che l’arte influenza tutto, compreso il cibo, ovviamente”.