Lo chef argentino Marcos Nieto ha trascorso 10 anni con Paco Perez e altri 8 con i fratelli Roca. Una dura gavetta, che mette a frutto da Cañabota, uno dei due stellati di Siviglia: solo pesce e frutti di mare, ricchi e poveri, valorizzati nella loro interezza.
L'opinione
In tutta Siviglia, città che pure attira frotte di turisti, brillano appena due stelle Michelin. Una di queste appartiene a Marcos Nieto, chef nato a Buenos Aires nel 1980 e arrivato in Spagna intorno al 2000. Vanta maestri eccellenti: per dieci anni Paco Perez a Barcellona e per altri 8 i fratelli Roca da Roca Moo. “Non si è trattato solo di lavorare in un ambiente tanto speciale ed esclusivo, ma anche di un modo di intendere la cucina", ha raccontato al Diario de Sevilla in una recente intervista.
"A volta scoppiavo a piangere quando mi correggevano e mi davano una lezione, ma stavano cercando di trasmettermi la loro visione di ciò che va bene, cosa che con le nuove generazioni si complica. Perché appena le critichi, non capiscono che in fondo è per il loro bene, in modo che gli errori non si ripetano”. Era il 2011 quando è arrivato a Siviglia e ha aperto insieme a Juanlu Fernandez il Cañabota, singolare ristorante di pesce e frutti di mare, stellato dal 2021, dove la cucina è aperta e il feed-back con gli ospiti immediato: basta guardarli in faccia.
Qui tutto è speciale, dal concept, con un secondo chef al bancone, alla materia prima andalusa, che arriva da un socio del ristorante, Eduardo Guardiola di Tribeca, fino all’estetica total white, ispirata a un’hamburgeria croata. Già escludere la carne dalla carta era una mossa azzardata per la città, ma lo stesso assetto dei mobili, ad altezze inconsuete, ha fatto alzare parecchi sopraccigli.
Il cuore del progetto, tuttavia, è sempre stata la cucina. “La gente si è stupita subito. Era abituata a ricevere solo il filetto, ma del pesce si mangia tutto: la testa, il collo, le branchie. Della cernia, che è il nostro pesce feticcio, usiamo perfino la spina dorsale, che è piena di grasso e di collagene, come una costina di agnello. Abbiamo imparato che del pesce non si butta via nulla. Il nostro messaggio è che nel mondo si getta troppo cibo. La terrina di testa di cinghiale, per dire, io la faccio col pesce. Ci sono varietà che si usano solo da queste parti. Altrove sono scarti, qui le lavoriamo”.
“Utilizziamo solo pesce selvaggio e la sua rarefazione colpisce tanto i pescatori che l’ecosistema. C’è troppo inquinamento nei mari, la gente compie devastazioni con lo strascico. Per di più il cambiamento climatico altera le correnti marine insieme alla stagionalità delle catture per le diverse tipologie. Quindi bisogna adattarsi a ciò che dà il mare. Sta a noi cambiare”.