A Firenze, la Trattoria da Burde e i Fratelli Gori raccontano la storia centenaria dell’autentico buon ristoro toscano.
Risale al 1901 l’anno di nascita dell’ultrasecolare Trattoria da Burde. Oggi i padroni di casa sono i fratelli Andrea e Paolo Gori che, rispettivamente in sala e in cucina, danno vita ad una danza armoniosa che esprime il principio più antico della ristorazione: il ristoro del corpo e dell’anima.
La storia
Da Burde le pareti dei primi del ‘900 sono intrise di racconti, aneddoti e profumi, tanti profumi. È il regno della toscanità nel suo senso più profondo. La posizione dell’insegna era, già dai primissimi tempi, snodo cruciale di barrocciai e renaioli (a pochi passi infatti scorre il fiume Arno). Bottega, pizzicheria e poi trattoria, era questo quella che ai tempi, per via di un grande albero lì davanti, veniva chiamata “Trattoria dell’Alberone”.
Burde invece è stata un’evoluzione naturale del soprannome “Burdél” dato a Egiziano Barducci - soprannome che si usava dare ai ragazzi in Romagna, toscanizzato poi in Burde – ed è proprio a lui e a sua moglie Giulia Gori che risale l’inizio di questa storia ultracentenaria. Ben quattro generazioni di famiglia si sono susseguite nel tempo con la stessa intensa passione, rendendo Trattoria da Burde una bolla impenetrabile dove il tempo non ha trovato spazio per insinuarsi e stravolgere questo piccolo tempio del buon ristoro. Non solo una semplice trattoria ma un modo di vivere la toscanità, dalla tavola alla bottega.
Sì, perché Trattoria da Burde era ed è tutt’ora l’esempio più classico e incontaminato di bottega. Oggi si trovano varie ricette in vaso create da Paolo, prodotte poi da Luciano Savini e distribuite infine da Savini Tartufi. Esposte tutte in bella vista di fronte al bancone dei salumi e formaggi: acciugata, carabaccia, ragù bianco, trippa alla fiorentina, peposo, spalmabile di mele all’alchermes, crostino nero toscano.
Dicevamo, qui oggi si trovano i due fratelli Andrea e Paolo Gori. Quest’ultimo è ormai agli occhi di tutti una sorta di ambasciatore della tradizione gastronomica toscana, quella di casa e delle zuppe antiche, dei piatti casalinghi, figli a volte di influenze più o meno lontane.
La cucina
Non solo fiorentine (Andrea in sala sconsiglia di ordinarle non perché non siano buone – tra l’altro risultano essere tra le più rinomate della zona – ma perché “noi le cuociamo sulla brace, il merito però non è nostro ma dell’allevatore e del macellaio che ce le fornisce” dice).
Il menu invece, come in ogni casa, cambia ogni giorno ma rispettando sempre la stessa ciclicità: “Il lunedì si mangia la francesina, martedì le polpette, mercoledì o il pollo alla cacciatora o le braciole fritte con patate in umido, giovedì o trippa o il pollo alla cacciatora se non si è mangiato il mercoledì, venerdì il baccalà con i ceci” ricorda Andrea, che nell’illustrare il calendario della cucina non mostra titubanza o confusione alcuna, proprio come quando si preparano talune pietanze rispettandone sempre ricorrenze e usi.
Ma cosa propone la cucina di Paolo Gori? Minestre, sughi, carni e una selezione di quinto quarto, tutto preparato seguendo fedelmente le ricette storiche. Si parte con i tradizionalissimi crostini di fegatini di pollo, secondo la ricetta storica realizzata giornalmente in trattoria con capperi, acciughe e burro, sfumati però al vinsanto e accompagnati ad un suo sorso. La tavola poi viene imbandita con calde e avvolgenti zuppe tra cui la farinata, tipica di Firenze ma che sulla costa toscana prende il nome di bordatino. C’è poi la ribollita con pane raffermo, farro e fagioli, che racconta l’ingegno degli strati sociali più poveri nel periodo medioevale.
I servi a corte inzuppavano pezzi di pane nelle mense dei ricchi signori, poi vi aggiungevano le verdure per dar sapore. Un piatto che richiede più di un giorno di preparazione: è necessario infatti che i vari processi di fermentazione degli ortaggi diventino l’ingrediente principale capace di donare poi rotondità al piatto. Infine, il cacciucco di ceci con soffritto di olio, acciuga e bietola. Un piatto, quest’ultimo, risultato di una storia di transumanza che porta con sé una nota piccante non propriamente di appartenenza dell’entroterra, quanto più della costa nei dintorni di Piombino, zone in cui le influenze arabe a un certo punto avevano preso il sopravvento anche nelle ricette. In trattoria si fanno spazio poi preparazioni a base di pasta toscana (spaghettoni del Chianti) e pici freschi, ideali per il pranzo dei tanti clienti abituali che si fermano da Burde in pausa pranzo e che possono contare su un menu del giorno sempre nuovo.
È il momento del peposo con carne di razza Calvana, un piatto a metà strada tra uno spezzatino e uno stufato. La carne viene cotta lentamente, avvolta da un calore costante. Proprio come in passato facevano inconsapevolmente gli operai che, nel riutilizzare gli scarti meno pregiati, portavano in fabbrica i pezzi di carne e li riponevano alla bocca dei forni di modo che, col passare delle ore, anche le parti più dure risultavano poi più morbide e tenere.
Prima di consumarlo veniva insaporito con aglio, vino e pepe in grani. Reminiscenze di usi antichi, di forse qualche leggenda, ma certamente di una Toscana che è sempre stata una finestra sul mondo e che pur rimanendo ben salda alle proprie tradizioni ha concesso qualche piccola intromissione culturale e culinaria proprio come con la zuppa inglese servitaci a fine pasto. “Firenze era abitata da tanti inglesi, per lo più ricche famiglie, i cui figli venivano accuditi dalle badanti fiorentine che per mettere a letto i bambini davano loro questo dolce bagnato con il liquore all’alchermes” racconta Andrea.
La cucina parla insomma la lingua del passato, quella della nonna di Andrea e Paolo. Proprio Paolo Gori, dopo una laurea in Scienze Politiche si è ritrovato nella cucina di casa di sua Nonna Irene, incredibile cuoca e massaia proveniente da Ponte Buggianese e che viveva proprio sopra la trattoria. Di quella cucina, legata visceralmente alla terra, Paolo ha cambiato poco o nulla perché il passato è prezioso, e Paolo Gori lo sa bene. Lo dimostra con coerenza proponendo piatti che rispettano la cucina popolare pur non stigmatizzando l’innovazione. In fondo anche la ribollita sarà stata innovativa un tempo.
La cantina
Trattoria Da Burde è anche vino, raro, di tendenza e pregiatissimo così come preziose sono le spiegazioni di Andrea Gori - giornalista, scrittore, organizzatore di eventi in giro per l’Italia seppur con un inizio da biologo. In sala, nel consigliare l’abbinamento giusto, fa trapelare la sua passione sconfinata.
Dall’informatica alla comunicazione fino alla scrittura, Andrea ama sapere e raccontare. Coinvolge e incuriosisce, ma senza mostrarsi troppo. Sommelier ma anche padrone di casa, in sala passa dal raccontare la storia degli stemmi delle nobili famiglie fiorentine raffigurati sulle pareti, fino a guidare il giro (d’obbligo) in cantina. Un vero e proprio caveau dove viene custodita la più grande collezione al mondo di Chianti Classico e una delle più grandi rappresentanze della Toscana con oltre 700 referenze regionali. Pinot nero, Syrah, vini della Borgogna e i Super Tuscan, Sangiovese in tutte le sue espressioni e Champagne. Poi anche vini naturali, biologici e biodinamici.
CONTATTI
Trattoria Da Burde
Via Pistoiese 154 (6r) - 50145 Firenze
Tel. 055 317206