Il “magic trio” de La Ciambella Bar à Vin è riuscito a stampare sul piatto una nuova cartolina: quella dell’Urbe che cresce e non sta ferma, perché vorrà sempre essere ricordata, ma ha ancora tante cose da dire (e cucinare).
*Foto di Andrea Di Lorenzo
"Mamma Roma" ha un problema atavico, che puntualmente torna ad affliggere in egual modo cittadini e buongustai di passaggio: i posti da cartolina sono una vera e propria incognita gastronomica, dove scovare l'indirizzo giusto per mangiare un boccone diventa un remake di Fast and furious, con tanto di slalom acrobatici tra la folla e l'"aggravante sampietrino" a movimentare la forsennata ricerca del tavolo libero. Trastevere, via del Corso o Fontana di Trevi? Alla fine conviene lanciar la monetina: l'impresa sarà ardua e la vittoria tutt'altro che scontata.
Neanche a dirlo, Piazza Navona ci mette del suo, piena com'è 365 giorni l'anno (in barba ai fenomeni meteorologici e alla curva discendente dei "mesi morti" invernali). Ma, se capitate da quelle parti per prendere una boccata d'aria mista agli aromi di friggitoria, intrufolandovi poi in un vicolo defilato dalla calca del Pantheon, con un pizzico di fortuna potreste scorgere il timido ingresso della Ciambella Bar à Vin, così diverso dalla malcelata esuberanza dei locali "tourist trap". Bene, fermatevi, perché probabilmente avete svoltato la serata in pochi passi.
A dispetto del posizionamento fuori radar, qui il sentire popolare è fulcro della cena, nel senso che nulla di ciò che assaggerete stonerà con l'ambientazione. Eppure, ogni cosa vi apparirà diversa dall'idea di tipicità prestampata che abita i soliti menu.
La storia
Due gesti riuniti in un'insegna; una mano tesa in un saluto gentile e l'altra a mantecare con vigore i tonnarelli al dente. Sono così Mirka Guberti e Francesca Ciucci, complici a distanza con la stessa sciolta sincronia.
La prima emiliana, un lieve volteggio in sala perfezionato con anni di esercizio presso Glass Hostaria e Pascucci Al Porticciolo, dopo i viaggi esteri e il naturale approdo francese pro-formazione; la seconda autoctona di natali e d'intenti, complice una famiglia avvinghiata al mito delle origini, nonché fondatrice della prima fraschetta nel centro storico dell'Urbe.
È proprio da questo mosaico di radici e caratteri assortiti che prende forma il "Ciambella-pensiero": una teoria non scritta fatta di grazia nell'accoglienza e identità nel cibo, perché Roma vuole essere ricordata, ma ha ancora tanto da raccontare oltre la walk of fame di gricie e di supplì. E infatti Francesca, più che mettere in teca reperti gastronomici, imposta l'esperienza come un tour fra strade e quartieri, lucidando i monumenti del gusto disseminati per la via.
Il locale e il menu
Interni color panna, tendaggi e specchi da antiquarium, cucina a vista con una brigata ridotta all'osso: si inizia così e ci si perde dietro le tracce di sapori intersecati, esplorando ciò che una banale mappa non riuscirebbe forse a mostrare.
Se chiedi "prosciutto e fichi", ti appariranno entrambi su un piatto di fusilloni fumanti: da inserti della pizza bianca a topping di una pasta out of rules; la vignarola, invece, diventa il ripieno erbaceo del Coniglio Leprino della Tuscia, mentre sul Petto d'anatra compare nientemeno che il caffè.
Giochi assistiti da un controllo quasi algebrico di cotture e dosaggi, che in bocca garantisce limpidezza senza inganno: sai sempre esattamente cosa stai mangiando. Per tutto il resto c'è Radion Girleanu, valida spalla del cliente curioso, che a meno di trent'anni, insieme a Mirka, giostra il servizio con quelle palpabili accortezze capaci di far la differenza in un luogo votato (anche) all'intrattenimento fra una portata e l'altra.
Fermo restando che chi volesse "mangiar con le mani" troverà un menu interamente dedicato (sorta di street food al tavolo in 5 atti a 50€), noi abbiamo scelto -e vi racconteremo- l'itinerario "Roma, la tradizione a nostro modo" (più articolato, al prezzo di 85€); altrettanto ricche le alternative à la carte, con focus interessanti sul quinto quarto e le paste fresche/secche.
I piatti
Fraschetta, dicevamo. Fraschetta a ruota libera, frammenti di passato che si saldano l'uno all'altro grazie a un collante tecnico new generation. Il benvenuto è un po' il ritratto scomposto di Francesca: impari pian piano a conoscerla, un giro alla volta.
Quindi c'è la porchetta, sgrassata prontamente dalla salsa yogurt e resa finger da un taco all'italiana; c'è la coda alla vaccinara, calata nel little black dress di un tartufino da pasticceria che per l'occasione vira sul salato; c'è il bignè, però con burro e alici, e la coppietta leggermente gummy da spezzare a morsi mentre già stai afferrando i grissini stirati.
Nell'attesa che si liberi la presa arriva Mirka con Leclisse, Lambrusco di Sorbara Doc "Cru" di Paltrinieri: il pairing che avresti voluto senza saperlo; frizzante crossover regionale al netto del campanilismo capitolino.
Proprio quando l'aperitivo pare aver fatto il suo corso, ecco una focaccina all'olio con fossette di rito, più la "fake trippa" che fa impazzire gli avventori stranieri: una semplice frittata condita con pomodoro, pecorino e mentuccia, a evocare l'"ingegno monastico" delle massaie in tempi di magra.
In questo caso, e anche a seguire, l'alimento "povero" resta se stesso: niente svolte fantascentifiche per disfare la tela della tradizione. Così l'Animella scampa al sottovuoto grazie a una precisa rosolatura old school, che croccantizza l'esterno marcando il contrasto con l'interno tenero. La sfiora appena un'ombra di pecorino per spezzare la rotondità della salsa di brie, incalzata dai toni piccanti della cicoria.
Scelte "ruffiane"? Non pervenute. Francesca la Gricia la rilegge dal principio, ed osa il tonnarello per mutare il finale: "Credo che la pasta all'uovo sia scritta nel DNA romano. Quindi mi completa la ricetta, col suo innesto di parmigiano e pecorino sul guanciale fatto sfrigolare in padella". L'esito è un gomitolo denso pronto a srotolarsi lentamente sotto i denti; gli inserti carnosi che scoppiettano a intervalli, festeggiando l'exploit della cremina.
Due piatti diversi, una freccia scagliata dallo stesso punto: Mirka colpisce il bersaglio con la Vitovska Vodopivec 2019, macerata per 6 mesi sulle bucce e evoluta in anfore di terracotta; profonda e insieme briosa per lo iodio che affiora in chiusura.
Onnipresente dal debutto fino ad oggi, nello "storico" de La Ciambella è ormai di casa la Quaglia ripiena, giunta a maturità grazie a una crescita progressiva. "Sono partita dalla versione base, con la carne stufata a fuoco basso nella canonica pentola di ghisa insieme a spezie e un goccio di Marsala; in seguito ho aggiunto albicocche disidratate per la freschezza della farcia, topinambur cotto nel latte al posto del solito purè e infine polvere di liquirizia" - quella virgola aromatica che dà ritmo al resto, quasi fosse l'interpunzione che mancava.
Al momento del dessert strappa un sorriso la domanda: "Maritozzo dolce o salato"? Il dubbio è lecito, tra comfort zone e fame di sorpresa. La chef li offre entrambi con un impasto equilibrato da agrumi e sale Maldon, per alleggerirne l'anima burrosa. Nel primo panna rigorosamente non zuccherata, schietta e sincera; nel secondo la solida coppia burro&alici, oppure cosciotto d'agnello alla cacciatora. Noi l'abbiamo chiesto in purezza: semplicità hardcore. E quando ci ripensi la mattina dopo a colazione, realizzi che sì -hai proprio trovato un posto in cui tornare.
Indirizzo
La Ciambella Bar à Vin
Via dell'Arco della Ciambella, 20, 00186 Roma RM
Tel: 06 683 2930