Ventotto anni di vita per un’insegna che ha messo Modena sulla mappa del mondo, ampliando gli orizzonti della gastronomia tout court. Massimo Bottura condensa l’italianità in un menu che va oltre il semplice concetto di cucina.
We are here: il futuro di Osteria Francescana
Nella mia stanza a Casa Maria Luigia, la "casa lontano da casa" di Massimo Bottura e sua moglie Lara Gilmore, c'è un libro chiamato "Rebel Talent: Perché bisogna rompere le regole". Il titolo sembra perfetto per inquadrare lo chef modenese, che fa esattamente questo da quando ha aperto l' Osteria Francescana nel 1995, sfidando l’idea stessa di cosa sia – o cosa debba essere, o cosa ci si aspetti che sia - la cucina italiana, ribaltandone il concetto e - talvolta letteralmente, come in "Oops, mi è caduta la crostatina al limone" - infrangendolo.
Ventotto anni dopo, Osteria Francescana è uno dei templi della gastronomia mondiale, il ristorante con tre stelle Michelin incoronato due volte migliore del mondo (nel 2016 e nel 2018) e ora annoverato tra i Best of the Best, il tipo di posto che prospera in gran parte perché Bottura è diventato più grande del suo stesso ruolo, un simbolo, uno chef-celebrità e un visionario che cita la storia e l'arte moderna -persino Bob Dylan- quando spiega i piatti. Piatti che, quasi di regola, continuano a rompere gli schemi.
Ad esempio, Tortellini o ravioli?: una variazione su un classico italiano, i tortellini, ma ispirato all'Asia e modellato come una sorta di ibrido tra un raviolo cinese e un wonton, servito in un brodo di pollo dall'elegante sapidità con un pizzico di alghe. In effetti, tortellini o ravioli? Immagino che alcuni “tradizionalisti italiani convinti” avrebbero qualcosa da obiettare, ma essendo una scrittrice nata in Slovenia non ho preconcetti, quindi per me è stata una rivelazione.
Un altro si chiama La patata che vuole essere un tartufo: classico abbinamento “comfort” di patata e tartufo estivo, ma composto da un pane di patate ripieno di crema di patate e tartufo.
La Caesar Salad, invece, diventa pasta attraverso un processo inverso: lo chef prende un classico americano, un piatto che probabilmente è stato riproposto in mille forme diverse, ma che nonostante ciò non è mai stato completamente eguagliato, nato, come molte delle cose più buone, nel bel mezzo di un'opera di improvvisazione (sono certa che Bottura ne sappia qualcosa).
Fu Caesar Cardini, un immigrato italiano che gestiva ristoranti a San Diego e Tijuana, a idearlo nel 1920. La leggenda vuole che, dovendo cucinare per numerosi clienti, il 4 luglio 1924 avesse esaurito le scorte in cucina; quindi, si arrangiò con ciò che riuscì a radunare: lattuga romana, crostini e un condimento a base di succo di limone, olio d'oliva, uovo, salsa Worcestershire, acciughe, aglio, senape di Digione, Parmigiano e pepe nero. Diventò popolare tra alcuni dirigenti di Hollywood, conquistò successivamente New York e, dopo, il mondo. Da Osteria Francescana non cercano di destrutturare l'insalata come tale, ma la trasformano in un classico italiano: la pasta! I ditalini verdi con un tocco fumé e una salsa realizzata con acciughe e abbondante Parmigiano Reggiano.
Un costante twist sui classici e la reinvenzione dei piatti iconoclastici di Osteria Francescana, a partire dagli amuse-bouche, piccoli omaggi alle creazioni ben note di Massimo Bottura come Normandia (nella sua forma originale, una tartare di agnello con sorbetto di sidro e acqua di ostriche), Memoria di un panino alla mortadella (destrutturato con schiuma di mortadella e briciole di pistacchio e aglio) e Un'anguilla che risale il fiume Po (anguilla con polvere di cipolla, polenta cremosa e gelatina di mele selvatiche).
Portare il passato nel presente, come accade nel Camouflage -così strettamente legato agli albori di Osteria Francescana, ma ora riproposto quale omaggio al Mediterraneo- con triglia rossa, scampi e strati di schiuma, conditi con un po' di polvere di cacciucco (brodetto di pesce) ed erbe.
Ho bruciato una sardina è ora una trota, coperta da chips bruciate composte dai ritagli del pesce e un tocco di verbena al limone, e in Grigio e Nero il riso viene ora tostato e ridotto in crema, con l'aggiunta di pezzi crudi e cotti di seppia oltre a ostriche, caviale e polvere di limone bruciato, a trasformare il piatto in un camouflage sui toni del grigio.
Ancora, "La Vie en Rose", tenero filetto di cervo con un topping dolce-acidulo di rose e lamponi in polvere e un'ode a Edith Piaf e alla sua bellissima canzone sempreverde, mentre This little piggy went to the market, originariamente ispirato al provocatorio maiale dissezionato di Damien Hirst in formaldeide, arriva come un audace, piccolo predessert (?) con una golosa salsa di cioccolato criollo e sangue di maiale. È un dessert o una portata principale? Un altro caso in cui Bottura gioca senza seguire le regole.
In Consistenze di latte ed erba il latte e il miele sono i protagonisti, ma è anche un richiamo al famoso piatto di Osteria Francescana "Cinque stagionature di Parmigiano Reggiano in diverse consistenze e temperature", che omaggia la regione dell'Emilia-Romagna, i produttori locali di formaggio e tutto ciò che rappresenta questa terra e le persone che vi lavorano. La nuova creazione racchiude il messaggio originario, ma si concentra sul latte e sui sottoprodotti della produzione casearia, nonché sull'erba dove pascolano gli animali: ci sono gelato al siero, latte croccante, caglio e mousse di fieno, caramello e l'estrazione dell'erba tagliata spruzzata sul tavolo per un “effetto extra”.
Il pane è oro unisce tutto: la fetta servita alla fine, ripiena di zabaglione e ricoperta d'oro, per sottolineare - e non in modo sottile- il valore intrinseco dell’alimento. Il nome del piatto deriva dal libro di ricette di Bottura: vi hanno contribuito chef di grande fama, cui è stato chiesto di ideare una ricetta per comporre una pietanza a base di ingredienti avanzati o scartati; alcuni la chiamerebbero spazzatura, mentre per altri -vale a dire le persone senza fissa dimora, che Bottura supporta nei suoi Refettori- è oro.
Un menu che va oltre la cucina
"We Are Here" è un upgrade del menu "I’m not there" di Francescana, un divertente gioco di parole con riferimenti a Bob Dylan, ma soprattutto una risposta astuta e sottile a tutti quei critici che sottostimano un ristorante se *lo* chef non è presente, vista l’ascesa di talenti come Taka Kondo, Davide di Fabio e Yoji Tokuyoshi, che hanno tutti lavorato per anni sotto la guida di Massimo. Un cuoco che ospita celebrità di fama mondiale ogni giorno, un cuoco che ha collezionato ogni singolo riconoscimento che il mondo culinario possa offrire, un cuoco esperto e lodato abbastanza da non esibire falsa modestia.
Con l’espressione "I’m not there" Bottura cerca anche di illustrare il progetto in divenire dei ristoranti guidati dai suoi migliori ex collaboratori, e come dà loro modo di brillare da soli. Taka e Karime ora sono saldamente alla guida di Gucci Osteria a Firenze, Antonio Iacoviello presso Gucci Tokyo, Mattia Agazzi al Gucci Beverly Hills, Bernardo Paladini al Torno Subito (che attualmente sta aprendo una sede a Miami), Jessica Rosval a Casa Maria Luigia e la sua nuovissima apertura, Al Gatto Verde.
Ma la presenza di Bottura si fa ancora sentire molto. Proprio come la sua energia esplosiva riempie quella sala VIP quasi “spettrale” nella cantina, trasformandola in uno spettacolo a sé stante quando fa il suo ingresso, lo chef lascia un segno in tutto ciò che fa. Dopotutto, Modena sarebbe ciò che è oggi senza la sua personalità onnicomprensiva, un brand che ha superato la persona stessa?
"È una piccola città sonnolenta", mi dice un tassista calabrese mentre mi guida verso Casa Maria Luigia. "Non c'è molto da fare qui, tranne se ti piacciono la Ferrari, l'aceto balsamico e il Parmigiano." Fortuna vuole che a Bottura piacciano praticamente tutte queste cose - ed è anche attivamente coinvolto in esse -.
Il Ristorante Cavallino, parte della famiglia Francescana, trova letteralmente spazio nella “casa” della Ferrari, l'aceto balsamico di alta qualità Villa Manodori viene affinato nella cantina di Casa Maria Luigia, e per quanto riguarda il Parmigiano... tutti conosciamo la storia del salvataggio di forme e forme danneggiate durante il terremoto del 2012. È quasi come se Bottura evolvesse di più nel caos, nei piccoli contrattempi, trasformandoli in arte, proprio come la performance iconica di Ai Weiwei "Dropping a Han Dynasty Urn", in cui l'artista ha distrutto un prezioso vaso di 2.000 anni fa. Costruire qualcosa di grande e significativo attraverso la distruzione.