La tradizione ha tante maschere - scriveva Cocteau - per non farsi riconoscere. Compresa l'avanguardia carsica dell'ultimo Canto di Paolo Lopriore.
La Storia
Dove sta andando Paolo Lopriore?
Lo chef forse più divisivo del panorama italiano, osannato dalla critica per il suo stile tagliente, capofila di una generazione di giovani disobbedienti, obiettori del déjà-vu e del conformismo gustativo, non è il primo nome illustre che sia finito impallinato dalla recessione economica, falce impietosa di talenti ribelli.

Qualche curva di PIL più addietro, la mente corre lesta all’entusiasmo dei ragazzi del Trigabolo, ai battenti chiusi con mandata crudele in via Bonvesin de la Riva come a Parigi, davanti a Gualtiero Marchesi e a Pierre Gagnaire.

Niente di nuovo sotto il sole gastronomico, insomma. Al massimo qualche foglietto di calendario finito accartocciato nel cestino dei rimpianti prima dell’abbrivio verso una nuova avventura.


I gastronomi mainstream però hanno subito intonato il de profundis per l’avanguardia italiana, lacrime di inchiostro, o forse di coccodrillo, che si sono velocemente asciugate.

Quasi che l’allievo prediletto di Gualtiero Marchesi, che conta una trentina di stelle michelin sul suo CV, già autore con Enrico Crippa di un indimenticato Menu Oggi all’Albereta, in servizio da due lustri nella splendida Certosa di Maggiano (relais et château ricavato negli spazi di un monastero trecentesco, arredati come un’architettura da camera dallo scenografo di Zeffirelli, Lorenzo Mongiardino), fosse destinato a mettere finalmente la testa a posto. Un equivoco che lo stesso Lopriore ha alimentato con le sue dichiarazioni sibilline su un presunto “ritorno alla tradizione”.
I Piatti

L’unico modo per verificare quanto Lopriore abbia in testa è andare a visitarlo, visto che il nuovo Canto, o forse Controcanto, ha riaperto nel mese di marzo, con lo stesso chef al comando. Una permanenza probabilmente a termine, volta a impostare la cucina del ristorante d’albergo su nuove linee, forse più consone all’atmosfera delle belle sale, sicuramente congruenti con le aspettative di una clientela prevalentemente internazionale, curiosa di mettere sotto i denti qualche pezzo succulento di Chiantishire. Papabili persino dalla Michelin, da sempre insofferente all’intransigenza della casa.

La firma dello chef tuttavia continua a leggersi, seppure scritta con l’inchiostro simpatico e senza calcare troppo la penna, che per i Latini era pur sempre stilus, il bastoncino appuntito sulla tavoletta molle dei sensi.

Certo la tradizione, che non è mai mancata, si è spostata dallo sfondo sull’orlo del proscenio, fino a zompare oltre la nostra arcata dentaria. Protagonista assoluta piuttosto che cellula generativa (e contrappunto) per giochi gustativi estremi, come nel recente passato.

Ad intrigare Lopriore in questo momento sono soprattutto gli intingoli, spuntati fuori dalle cantine misteriose e traboccanti della Certosa sotto forma di enormi pentole di coccio. Che rappresentano un po’ la brace alla Etxebarri su cui si voltola la sua svolta culinaria: come Victor Arguinzoniz aveva saputo piegare a svolgimenti avanguardisti un antico mucchietto di carboni fumanti, in una originale archeologia del futuro, anche da quel sobbollire uterino in un recipiente organico (che sembra richiamare le anfore dei vini ancestrali prediletti da Paolo) potrebbe generarsi qualche nuovo contrasto.

“Quello che mi interessa di più in questo momento è rifondare la mia cucina su basi italiane, percorrendo un cammino opposto rispetto a Marchesi, che l’ha fatta evolvere su basi francesi. Per esempio recuperando la cultura dell’intingolo, il nostro fondo di cottura, cui in passato si è rifatto anche Vissani. Lo uso come un jus, ma italiano: mi piacciono la dolcezza della cottura a bassissima temperatura, alternativa alla cultura dominante delle preparazioni espresse, i tempi lunghi, la reazione di Maillard al rallentatore, che non vira sull’amaro ma sviluppa intensità”. Inzuppati in quel profluvio di profumi finiscono brandelli alveolati di professionismo e di personalissimo stile. Una scarpetta goduriosa e dall’appeal universale.

È il caso del coniglio di giornata (“perché i vecchi cuochi dicevano che è una carne da mangiare entro le 24 ore, sennò non può stare sulle ossa”), dove il carré e gli anteriori finiscono nel crogiolo nicciano dell’intingolo (in tutto e per tutto un jus all’italiana, aromatizzato con le carote selvatiche che crescono attorno alla Certosa e lasciato crogiolare per 4 ore sul lato del fourneau), mentre i filetti, il rognoncino e i fegatini sono cotti rosati o al sangue, come vuole il sapere professionale. Come guarnizione asparagi, fave, piselli spadellati e fiori di aglio, sempre colti nei prati tutt’intorno. “Perché la natura dà la stagionalità esatta, che non è quella dei prodotti coltivati”.

Un piatto esemplificativo del nuovo corso che Lopriore lascerà in eredità al suo successore: concentrato di professionalità diverse di stampo ducassiano, ma evoluto e finissimo, autenticamente italiano (al contrario delle frequenti storpiature del francese), francamente irresistibile.

Ma in carta ci sono anche il petto di anatra nel tradizionale dolceforte toscano e persino i pici fatti in casa con una selezione di farine alloctone vagamente bigie, conditi con cacio e pepe centrifugato, spezia liquida che per un istante ci riporta al passato.
Il fegatino di anatra rosato con cicoria e dolceforte, cavalcata lunghissima di gusti amari e soprattutto ferrosi, avvinghiati in una sinergia entusiasmante, martellante, gustativamente scorretta.
La lasagna verde aperta in omaggio al celebre raviolo di Marchesi, esemplare di una cucina che rifiuta gli infingimenti e insinua un provvidenziale grimaldello nelle cerniere incriccate della memoria. “Aperta” nell’accezione popperiana di quanto dà campo libero al gioco delle soggettività e alla critica delle grandi narrazioni.


La tradizione sì, quindi, ma come punto di domanda. Anche sul futuro di uno dei più grandi cuochi italiani.
Indirizzo
Ristorante Il Canto presso Hotel Certosa di MaggianoStrada di Certosa, 82/86 - 53100 Siena
Tel + 39 0577 288180
Mail: info@certosadimaggiano.it
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