Due stelle Michelin conquistate in pochissimi anni, una cucina strabiliante quella di Björn Frantzén. Nel suo ristorante a Stocccolma solo 19 ambitissimi posti e 30 portate ogni giorno diverse, così l’esclusività incentrata sull’ospite diviene lusso.
La Storia
Lo stile di Björn Frantzén
Svedese, creativo e ambizioso, una macchina da guerra gourmet. Parlare di Björn Frantzén è facile e astruso allo stesso tempo, poiché la sua propensione allo stupire culinario ben si amalgama alla semplicità con cui il commensale si trova a suo agio.

Una cucina strabiliante, fatta di infinite combinazioni tecniche e d'ingredienti, e un ambiente magicamente surreale, come un habitat cinematografico di Lynch o Cronenberg o un quadro di Hopper, ammorbidiscono insieme i neuroni dei 19 clienti di ogni sera. Due stelle Michelin, tabacco snus sempre in bocca, matita sull'orecchio, occhi concentrati, furbi e visionari, uno degli chef più importanti del pianeta: ma chi è veramente Björn Frantzén?

Il suo primo lavoro da cuoco viene ottenuto nell'esercito svedese, poi si trasferisce a Londra e di nuovo nella terra madre. Da sempre in compagnia del socio Daniel Lindeberg, si separa da lui solo un paio d'anni per lavorare con Martin Blunos al Restaurant Lettonie a Bath in Inghilterra e con Alain Passard a L'Arpège di Parigi. Ma l'apprendistato finisce e, di nuovo insieme al suo amico e compare di idee gastronomiche Lindeberg, nel 2008 apre il luogo d'avanguardia Frantzén/Lindeberg a Stoccolma, nell'isolotto del re Gamla Stan.

In due santissimi anni cavalca il consenso della rossa Michelin e come un carroarmato della Svenska armén conquista la prima e poi la seconda stella in pochissimo tempo. La cosa non sorprende, notando lo stile eclettico e impeccabile del Nordisk mat, satollo di artifizi e realismo magico delle pietanze. Björn Frantzén trucida gli stereotipi ed edifica nuove realtà nella cucina contemporanea.

Quando un commensale giunge davanti alla piccola porta del ristorante, un doorman in stile newyorchese lo chiama per nome, lo accoglie con un aplomb tardo ottocentesco e lo spinge cautamente a entrare nel minuscolo Frantzén/Lindeberg. Per chi ha la fortuna di essere al bancone, di fronte allo chef e ai suoi fidi maniscalchi, può intuire fin da subito che potrà accadere davvero di tutto.
I Piatti


Come prima cosa plana volteggiando una busta sigillata con cera lacca, il famoso menu segreto e personale che viene consegnato a inizio cena, a ciascun tavolo e scritto a mano la mattina stessa, in base agli arrivi giornalieri da tutto il pianeta Terra. E poi non c'è alcuna lista dei vini, ma solo tre sommelier diabolici e angelici che versano chicche alcoliche da ingurgitare col cervello. Il resto vien da sè, lo show ha inizio quando lo chef Frantzén saluta e ringrazia, e racconta il menu della serata. Che la cornucopia d'orgasmi prenda il volo!


Licheni croccanti con carne cruda di manzo Wagyu dal Giappone, sorbetto di carote con pepe rosa e olio di betulla, maiale allo spiedo con aragosta e zafferano, e poi tartufo dalla Tasmania, fegato di rana pescatrice, granchio alla birra e aneto, insalate dell'orto con 46 elementi (ricorda quelle di Enrico Crippa?)… Trenta portate che ogni giorno cambiano, magari non nella tecnica, ma di sicuro negli ingredienti, o viceversa.


Dapprima il percorso salato, in cui lo chef e il suo bravissimo sous chef scaldano pietre per cuocere live l'agnello, realizzano pancake di sangue, lavorano code di maiale, fondono ostriche e succo di sambuco. Aspettando ovviamente il piatto "Catch of the day", ovvero il piatto unico e irripetibile della serata.


Poi inizia invece l'itinerario dolce, prima a cura del socio Daniel Lindeberg (da qualche mese non più socio perché in pausa di riflessione…), ora completamente nelle mani di Björn Frantzén: mille varietà di bacche artiche, timo selvatico e cioccolato bianco, rapa rossa e lavanda con un aceto balsamico tradizionale di 100 anni, crisantemo affumicato e caramelle all'aglio nero. Un baccanale vichingo.


Herr Frantzén è di sicuro uno chef illuminato e illuminante ai confini del circolo polare artico. La sua bravura emerge anche dal fatto che nemmeno i suoi concittadini stoccolmesi riescono a trovare posto al ristorante, nonostante i prezzi siano elevati (prezzo unico intorno ai 400 euro, cucina e vini compresi).

La sua formula s'innesta in quel mondo di riservatezza, unicità, lusso, costruzioni labirintiche di centinaia di piatti tutti lontani dall'omologazione, una bistronomia più complessa e Michelin (si cucina quello che arriva la mattina, ma solo quegli ingredienti che sono rari e paradisiaci).

Lo stile ricorda quello di Les Créations de Narisawa a Tokyo, in cui i clienti appaiono come illustri ospiti di un'elitaria cena nobiliare. Qualcuno potrebbe obiettare che così agendo il gioco è facile perché il vero cuoco è colui che improvvisa la fatica, la tecnica, la fantasia e la concentrazione quando c'è un numero indefinito di commensali ai tavoli: è dunque più comodo cucinare già sapendo esattamente quante persone mangeranno nel proprio ristorante? Dubito clamorosamente, checchè se ne sbraiti a squarciagola.

Prima di lanciarsi in superficiali accuse, è forse il caso di provare questa cucina eccelsa e d'avanguardia pura. Prima però bisogna conquistare il tavolo, e non è per niente facile.
La foto di copertina è di Cristian Parravicini