Paco Torreblanca, appena eletto miglior pasticciere del mondo, parla del riscatto della categoria, ormai fuoriuscita dal cono d’ombra dei celebrity chef, anche economicamente.
L'intervista
Quante volte, alla fine di un’esaltante cavalcata fine dining, ci è capitato di scuotere il palato. Perché la mano era cambiata, perché la tensione gustativa era calata. Non è facile trovare coerenza nelle battute finali del pasto, di solito affidate a professionisti diversi dal salato. Figli di un dio minore, il dessert, che purtuttavia mostra segni di impazienza.Non ci sta, per esempio, Paco Torreblanca, appena nominato miglior pasticciere del mondo dal IX congresso World Pastry Stars, su plebiscito di una giuria di colleghi internazionali. Il quale esorta i giovani a entrare in una branca, che non dovrebbe più nutrire complessi di inferiorità nei confronti della cucina. Per lui è il centocinquantesimo riconoscimento, contando anche le lauree honoris causa: un capitale di autorevolezza che intente sfruttare perseguendo il suo sogno di fondare un’accademia di pasticceria gratuita, indirizzata ai giovani ricchi di passione e poveri di risorse. Con la testa fra le stelle e i piedi per terra.
“La mia filosofia è non sacrificare mai il sapore all’estetica, ma mi è stato anche detto che sono di avanguardia. Ho aiutato molti pasticcieri di grandi ristoranti e le squadre di tanti chef di fama, fra cui Martin Berasategui e Ferran Adrià, sono passate da casa mia. Credo di avere creato una corrente quando in Spagna ancora non esisteva, rientrando dalla Francia. Quando mi dicevano che una torta allo zafferano con mela al vapore era una follia, io rispondevo che il cammino tracciato dai folli, poi viene percorso dai savi. Ed effettivamente dopo 25 anni è un dolce tuttora attuale in Giappone e in molti altri posti”.
“Alcuni pasticcieri vengono riconosciuti, li chiamano ‘cuochi dolci’, anche se non approvo la definizione. Quando Ferran Adrià ha portato la Spagna sul tetto del mondo, noi pasticcieri eravamo i fratelli poveri dei cuochi. Non era raro che ristoranti dalla cucina straordinaria trascurassero del tutto i dessert. Ma quando hanno guadagnato prestigio, arrivando a due o tre stelle Michelin, si sono resi conto che alle loro tavole mancava una gamba e i pasticcieri sono stati di nuovo valorizzati. Il problema odierno? Che i pochi bravi guadagnano quasi più degli chef e sono rari. Non siamo più i fratelli poveri, ma quelli esigenti. Ora i ristoratori si danno da fare per accaparrarsi i migliori professionisti e li pagano bene”.
“Un tre stelle dove i dolci siano una sciagura, è impraticabile. Per quanto il cliente possa aver mangiato bene, sono l’ultimo ricordo che resta in mente. Bisogna finire in alto e di fatto un buon pasto può essere rovinato da un dessert non all’altezza, per quanto accada raramente oggigiorno”, insiste Torreblanca. Il segreto della professione resta il lavoro: solo attraverso la dedizione e il sacrificio è possibile arrivare al successo, ma la pasticceria ha grandi potenzialità di occupazione e di fatto chi esce da un’accademia come quella di Petrer, quasi sempre è in condizione di mettersi in proprio. “I pasticcieri riconosciuti guadagnano bene. La pasticceria tradizionale tende a scomparire e trasformarsi in una più esclusiva e personalizzata. Le grandi superfici offrono una gamma di prodotti a basso prezzo dalla qualità discutibile, ma nel contempo ci sono piccole pasticcerie che personalizzano molto il lavoro e il cliente altospendente chiude il cerchio e ritorna”.
Fonte: Alicante Plaza
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