Dal 2014 Iacopo Di Bugno, Tommaso Martelli, Ruggero Baronti, Ernesto Della Santa e Damiano Donati,portano avanti il loro progetto di trattoria contemporanea
La Storia
La Storia di Damiano Donati
La semplicità di un nome, che si presta a numerosi giochi di parole, versatile e sull’orlo costante di un’apparente banalizzazione, è sempre più lo specchio della concezione che ne caratterizza l’essenza. Punto, punto fermo, punto d’incontro, punto d’appoggio, punto d’inizio e fine di un gruppo di ragazzi, affiatati come non mai, una famiglia quella di Iacopo Di Bugno, Tommaso Martelli, Ruggero Baronti, Ernesto Della Santa e Damiano Donati, che dal 2014 portano avanti il loro progetto di trattoria contemporanea – prima ancora che diventasse un fenomeno di grido e di maniera.
E, ancora, giocando con questa parola che continua a far capolino, una realtà che è ormai un punto fermo nel panorama nazionale verso cui convergono le linee della tradizione e della contemporaneità, espressione abusata ormai, quella dell’incontro tra passato e presente, lo si sa, un’espressione che vuol giustificare i guizzi creativi che venano i capisaldi della cucina riportandoli in auge con una foggia più adatta all’epoca attuale – rivisitazioni che alleggeriscono, che vogliono divertire e talvolta stupire – pur nell’alveo rassicurante di un sentiero esemplare già tracciato.
Quindi sì, un’atmosfera informale, un ambiente scarno che non distolga l’attenzione, tutta incentrata sul calore, sulla presenza, sulle persone, senza mezze misure. Dritti al punto – di nuovo. Non c’è estasi estetica, né stasi, qui tutto è giocato sull’etica: i tavoli diversi uno dall’altro provengono da altre storie, da altre vite, ogni dettaglio della sala ha subìto un processo di metempsicosi, e nell’incontro con altri materiali – pietra e ferro – trovano nuova energia e significato. È materia antica e viva, testimone di un passato da non dimenticare e che si fa perno di un ideale di semplicità e integrità.
Eppure in tre anni i cambiamenti ci sono stati. Oltre all’apertura di Puntino nel 2016 – costola della trattoria dedicata al momento dell’aperitivo con cocktail e piccoli piattini, ma che può diventare cena e dopo cena – un continuo susseguirsi di menu che, cambiando ogni mese, si sono affastellati a raccontare la concezione e la mente di un cuoco, tanto che Eco potrebbe annoverarli tra le sue famose liste tracciandone un profilo di coerenza e unicità.
Damiano pare aver raggiunto una serenità e un entusiasmo di chi veleggia placido, forte di una brigata unita insieme al suo braccio destro Ernesto: Damiano, viaggiatore curioso, col passato tatuato sulla pelle e scolpito nella mente, una mente aperta e sempre più matura. Trent’anni, l’arrivo di un bambino, una nuova consapevolezza: “Faccio un lavoro che per me è passione e vita, e il momento del viaggio è certo un modo per staccare, ma anche per arricchirmi e integrare le mie conoscenze. Ma è una dimensione che assorbo e che matura nel tempo, le giuste influenze richiedono di essere metabolizzate, di assestarsi. Nel 2016 ad esempio ho compiuto un viaggio in Sri Lanka, ma i suoi richiami orientali (soprattutto indiani) si stanno ripresentando ora, come mi aveva predetto Riccardo Camanini, unendo la filosofia della loro cucina ricca di legumi e proteine vegetali alla mia, una cucina salutare e nutriente, che ha alla base il vegetale”.
Eh già, perché la direttrice di Damiano si muove sempre più felicemente verso la valorizzazione della terra e dei suoi frutti. “Gli ortaggi mi regalano sempre più soddisfazioni, in primis perché adoro mangiare verdure, ma anche perché trovo giusto dare importanza al sacrificio del lavorare la terra, che non tutti conoscono realmente. Avendo in passato lavorato nell’azienda agricola Cerreta, e parlando quotidianamente con Federico Martinelli di Nico Bio (produttore agricolo biodinamico della provincia di Lucca, nonché fornitore e amico di Damiano, ndr) mi accorgo che il contadino, il coltivatore conduce una lotta costante per resistere contro la produzione industriale ma anche contro la natura che non è sempre generosa”.
I Piatti
Così, tra gli antipasti del menu che sarà in corsa ancora per qualche settimana, trionfa la melanzana, protagonista dell’estate, che il cuoco non manca mai di esaltare e che quest’anno ha deciso di proporre in una nuova veste, dopo la splendida parmigiana dello scorso anno. L’idea resta quella di partire dal vegetale intero, cotto in forno a 230°, quindi spellato, a cui accompagnare un tofu di mandorle, già in precedenza usato per un dessert. “Ho provato a unire i due elementi, l’abbinamento funzionava, mi è bastato aggiungere quindi della polvere di liquirizia per l’umami, ma mi mancava ancora la parte acida a dare pulizia e sgrassare la rotondità della mandorla”. Cercare la nota acida è per Damiano sempre stimolante, come un musicista jazz che si lascia guidare dall’armonia verso quella nota caratterizzante che sfugga a ogni scala. “La risposta me l’ha data la frutta, ovviamente. In questo periodo le mele iniziano a maturare, e ho cercato di valorizzarne la componente acida realizzando una composta di mele acerbe e anice stellato”, a completamento dell’equilibrio del piatto che risulta così fresco e decisamente fuori da ogni schema.
L’oriente, a ben vedere, è meno lontano di quanto si pensi, è un oriente che si intride di cultura mediterranea e che col cibo traccia una geopoetica che valica i confini territoriali. Ecco quindi che ingredienti quali le melanzane si incontrano naturalmente con le spezie nordafricane, le mandorle, perché a tavola accade la più grande koinè di cui l’uomo sia capace da secoli.
Però il ritorno a casa resta imprescindibile, e torna il ricordo delle usanze di una volta con la Carne in Bigoncia, quando la carne di maiale veniva messa in marinatura per conservarsi nel tempo. Oggi Damiano usa un girello piemontese messo a marinare nel sale per due settimane e frullato al momento del servizio, usato poi come condimento, il sale da mettere sui tre tipi di fagioli, stortino, burrino, cannellino, che sono i veri protagonisti del piatto. Ecco qui un passaggio cruciale ed emblematico della concezione rivoluzionaria di Damiano: non si ha più un piatto di carne con il contorno, bensì un piatto di verdure con la carne che diventa un condimento, laddove comunque ogni ingrediente che concorre alla bontà del piatto ha una grande importanza, sia anche solo il sale.
Per i primi piatti il processo mentale non cambia, prendono le mosse ancora dall’elemento vegetale, come nel caso del Capello d’angelo, succo di cipolla e finocchietto selvatico. La lezione di Alajmo riverbera non solo nello splendido carboidrato servito freddo, ma anche nell’abilità di saper sfruttare ciò che la natura mette a disposizione in quel preciso momento, stimolando le corde dell’ingegno e della creatività. Quindi anche una semplice cipolla, cotta intera sulla griglia e poi passata alla Greenstar per l’estrazione dei succhi, emulsionata con sale e olio, e con l’aggiunta di semi di finocchio, viene esaltata nel ricordo dei mangiari di una volta, forse nel ricordo di pane e cipolle, tanto caro anche a Romito nel suo Assoluto, inscrivendosi di nuovo in quel breviario mediterraneo che vede la cipolla presente in tutte le culture che si imbibiscono di quel mare.
Ed è un mare senza che vi sia traccia di pesce quello che si inforca nello Spaghetto, curcuma, alghe e limone. Partendo dalla deriva di un aglio olio e peperoncino, trova la salinità nell’alga e nella mantecatura dello spaghetto in acqua di cozze, con il soccorso della curcuma fresca che lo sospinge verso oriente, e la nota amara del concentrato di limone che lo riporta sulle coste nostrane – una pasta di limone ottenuta dalla cottura in forno dell’agrume intero sotto sale, e la successiva frullatura senza aggiunta di altri ingredienti.
Tra i secondi Damiano recupera pure la sua dimensione più classica eppure ludica. Dopo vari omaggi a Passard e la sua Tarte Bouquet de Rose realizzata con vari ortaggi, arriva la Ratatouille, proprio quella che può commuovere il più severo dei critici e che ci fa tornare tutti bambini. Rondelle di pomodori, melanzane e zucchine cotte in padella con la cloche a mantenerne la giusta umidità in cottura, un veloce passaggio in forno, la rifinitura della crema di peperoni confit con pimenton affumicato posta al centro, una spolverata finale di origano e pepe verde, ed è una cucina mediterranea che conforta e che celebra i sapori sinceri.
“Mi piace che i miei piatti siano fruibili da tutti, non voglio sembrare cervellotico o intellettualista, voglio risultare semplice, e anche se dietro ogni piatto c’è un processo mentale complesso, non è questo ciò che conta, chi mangia i miei piatti deve solo percepirne la bontà e provare benessere e appagamento”. Come le “stringhe”, i fagiolini serpente, immancabili nei ricettari delle cuciniere lucchesi, serviti come un nido di tagliolini, bolliti e conditi con olio, sale, pepe, pecorino grattugiato e una polvere di champignon, “perché il sapore schietto di questo fagiolino è di terra umida, e ho pensato di amplificarne il sapore con il fungo, l’essenza dell’humus”.
L’evoluzione di un punto forse è un assioma che i matematici non hanno ancora preso in considerazione, ma è un teorema perfettamente dimostrabile sedendosi a questa tavola e abbandonandosi ai suoi piaceri. Una formula che a breve riserverà delle novità che ci piace anticiparvi. I sedici piatti che compongono il menu si moltiplicheranno a diventare 20, con l’introduzione della voce “contorni”, in nome del ritorno a una tavola più imbandita e più legata alla tradizione, in cui l’intreccio e il senso di appartenenza a una terra coi suoi usi e costumi sia sempre più saldo.
Fotografie di Lido Vannucchi
Indirizzo
Ristorante PuntoVia Anfiteatro 37 - 55100 Lucca
Tel. +39 0583 058490
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