Sedersi all’Imbuto di Lucca affascina e attrae per il suo essere sempre misterioso e nuovo con piatti eccellenti che giungono al tavolo senza nome
La Storia
La Storia di Cristiano Tomei
Cristiano Tomei sta tornando. Dalla sua cucina dell’Imbuto (e di Satura), a Lucca, direttamente in TV, di nuovo. Dal 13 novembre partirà la trasmissione Cuochi d’Italia, su TV8 per Sky, insieme ad Alessandro Borghese e Gennaro Esposito per un format ancora top secret nei dettagli, ma in cui i 3 chef saranno giudici di una sfida tra 20 cuochi da tutta Italia che per la prima volta si confronteranno sulla cucina tradizionale regionale.

Ed è un format in cui Tomei si sente particolarmente a proprio agio, visto che la sua cucina prende ancora le mosse dalle usanze di casa per farsi altra – non ditegli che è gourmet, ché per lui il cibo è buono o cattivo, non alto o basso.

Certo, Tomei ci ha abituati a tanti colpi di scena, con le sue provocazioni e i suoi modi di fare rabelaisiani e carnascialeschi – ma d’altra parte da buon versiliese il Carnevale è parte del suo DNA - ma dietro questi atteggiamenti roboanti si cela un pensiero profondo che lo accompagna da sempre, un senso di grande concretezza e una ricerca tutta volta allo scandaglio dell’identità e della storia del proprio territorio. E quando si nasconde in cucina non ha proprio nulla di scherzoso. Da istrionico intrattenitore e oratore che fa leva sull’umorismo del dir la verità burlando, ai fornelli ripara in una dimensione intima fatta di recupero della tradizione, di auscultazione personalissima della materia prima in un processo creativo difficile da indagare e che lui minimizza sempre.

Sedersi all’Imbuto è ormai un blind date che affascina e attrae per il suo essere sempre misterioso e nuovo. Il cuoco Tomei porta i piatti in tavola, semplicemente dice: “Mangialo”, poi scompare dietro le quinte in cucina, salvo far capolino furtivo di quando in quando per sbirciare le reazioni dei suoi commensali e alla fine torna in scena, svelando prosaicamente il contenuto del piatto e chiosando sovente: “Me lo sono sognato stanotte, che ci vuole a farlo”, per poi scomparire di nuovo.

A tutta prima tale atteggiamento potrebbe essere spiegato attraverso la definizione che Monicelli dà del genio nel celeberrimo Amici miei: “Fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione”, e certo questa calza perfettamente al modus del cuoco. Ma c’è dell’altro. Esperienza, supportata da una quotidiana ricerca diretta alla materia prima e allo scandaglio del ricordo dei pranzi in famiglia, in un processo che è in primis mentale, un processo creativo paragonabile alla capacità compositiva di un Beethoven che, ormai completamente sordo, ha scritto la Nona Sinfonia.

È una questione di sensibilità, ma anche di grande rispetto, perché al di là di tutto non dimentica mai che la propria missione è far da mangiare e far star bene le persone: “Sono fortunato perché non sono solo un cuoco, ma anche un ristoratore, e ogni giorno ho l’opportunità di accogliere le persone nel loro momento migliore, nel momento cioè in cui vengono al ristorante per rilassarsi, il che mi permette di interagire con loro su un livello umano e scoprire aspetti personali che con la patina del quotidiano non appaiono. Io condivido con loro un’idea, un’emozione, un’alchimia, in questo mi sento privilegiato”.
I Piatti

Tra i piatti che quest’autunno sta ispirando in Tomei, può capitare di imbattersi nelle Radici, una composizione di tuberi, rape e carote cotte nella camomilla, le barbe di prete cotte sotto sale, e condite con ginepro di duna, sparnocchi e burro di pinoli. Un piatto che racconta della sua Versilia in una mappatura di sapori che intrecciano a doppio filo la terra e il mare, con l’amaro del ginepro e la burrosità del pinolo a illustrare la macchia mediterranea, e lo sparnocchio - usato qui come condimento - a fare da collante tra il mare e la terra intensa.

La Triglia sporca è definita da Tomei stesso un “atto d’amore verso l’umanità”, con la cottura nel burro e il condimento di fichi e fegati di seppia, una salsa potente che amplifica il mare e che completa il piatto in un’alternanza serrata di dolce-amaro che è come uno yin e uno yang al palato.


Pane cipolla e ostriche è un amarcord dell’antipasto italiano, con la crema di pane fermentato che in abbinamento alla cipolla rossa la rende agrodolce. Un pane e cipolle di una volta in cui l’ostrica fritta in pastella con estratto di rosmarino funge da condimento, come veniva anticamente usata, in cui si attua un rovesciamento, una desacralizzazione del cibo oggi considerato aristocratico in favore di un ingrediente quale la cipolla che si a protagonista con l’ostrica a farle da spalla.

I Ravioli fanno il verso ai tipici ricotta e spinaci, ma giocano su tre ingredienti che lo rendono un piatto profondo. Il ripieno è a base di alga wakame imbevuta e rinvenuta nel latte di mandorle amare e dolci che ne salta la nota affumicata, mentre la spolverata finale delle interiora di calamaro essiccate danno la sensazione di umami del Parmigiano.

Magnifiche le Tagliatelle verdi a base di albume, farina e polvere di alloro, condite con scampi crudi, strutto di maiale romagnolo. L’alloro protagonista è lungo e balsamico, e anche qui vediamo in atto il rovesciamento come sopra, il vegetale si impone sulla carne che funge da amplificatore, rendendolo morbido goloso, a braccetto con lo scampo.



E c’è senso di convivialità e condivisione nel Coccio di fagiano che arriva in tavola fumante e che viene posto al centro, a ricordare il pranzo della domenica. La carne cotta nel burro, insieme a portulaca, mostarda di bucce di limone, chicchi di caffè ed estratto di rosmarino, in una ricostruzione dell’habitat del volatile, è gustosa e confortante.


Il fine pasto imbutiano è di nuovo una piacevole sorpresa, la chiusura di un cerchio, la conclusione di un viaggio terrestre che culmina con lo Spaghetto, condito con olio di pinoli, elicriso e parmigiano 30 mesi, in un equilibrio perfetto di sapori di grande pulizia e leggerezza.


E il dessert? È come partire di nuovo, è un nuovo biglietto di andata e ritorno per un viaggio al centro della Toscana, con un bocconcino di torta a base di lampredotto ed estratto di pepe nero su una brisée di parmigiano, per poi passare al Mascarpone con pop corn caramellato e polvere di liquirizia, con il formaggio reso acido dalla nota citrica dello yuzu che lo maschera da yogurt, delicato ed etereo.

Non ci si abitua mai ad andare a mangiare all’Imbuto, ogni volta è una sorpresa, come una prima visione al cinema con il regista in sala.
Fotografie di Lido Vannucchi
Indirizzo
Ristorante L’ImbutoVia della Fratta n 36 - 55100 Lucca
Tel. +39 3405758092
Mail ristoranteimbuto@hotmail.it
Il sito web