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L’ultima Rivoluzione Di Ferran Adrià: Comprender Para Crear

di:
Alessandra Meldolesi
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È un’ardita sfida intellettuale quella che Ferran Adrià sferrerà nei prossimi anni, con tre progetti che cambieranno la ristorazione per sempre

La Storia

La Storia di Ferran Adrià


Il primo a passarci è stato Marco Pierre White, archetipo dello star chef contemporaneo: che fare una volta scalata la vetta? Dilemma dal sapore freudiano (perché si può anche “soccombere” al successo, causa di frustrazione e sofferenza), che uno dopo l’altro sembra toccare un po’ tutti i top player. Lo chef inglese si è ritirato dalla cucina, restituendo le tre stelle; René Redzepi è alle prese con il suo nuovo ristorante. Mentre di Ferran Adrià, primo cuoco dell’era contemporanea, si vanno delineando sempre meglio le exit strategies: un’impresa intellettuale titanica, che fa apparire il ristorante più importante di sempre come l’antefatto di una rivoluzione culturale.

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Sarebbe riduttivo travestire lo chef catalano da Escoffier 3.0, per quanto l’ambizione alla sistematizzazione accomuni due personalità storiche fuori dal comune. Qui si va oltre, non solo per i limiti storici, quindi tecnologici e sciovinistici dello chef des rois: in ballo c’è la trasformazione della gastronomia in sapere, come realizzazione della sua essenza esplorata lungamente a tavola. Nessuno prima di Adrià aveva enucleato con pari concentrazione di pixel-idee la dimensione concettuale della cucina, nel senso della meta-cucina, ovvero di una cucina intesa come discorso sulla cucina stessa, la cosiddetta destrutturazione, e della costante interrogazione su qualsiasi elemento del piatto. Cosicché oggi la frontiera è superata verso il sapere puro: dalla cucina all’ultracucina, fino alla non cucina, verrebbe da dire parafrasando il lessico crociano dell’arte e non arte, che corrisponde a opere dell’ingegno dove prevalgono tendenze logiche o filosofiche, diversamente dall’anti-arte, negazione di intuizione ed espressione spirituale.

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L’antefatto è l’esaurimento della spinta propulsiva della cucina cucinata a elBulli. “Non potevamo più andare oltre”, ha sempre detto Ferran. Un po’ per il numero dei piatti nel menu, che non poteva più aumentare, un po’ per lo sfondamento ormai conclamato verso la performance art e per l’avanzamento inesorabile della soglia di sorpresa verso livelli inattingibili. “Dopo la mousse di fumo, datata 1997, cosa può ancora stupire? Viviamo in tempi in cui Trump e la Brexit sembrano normali. Nessuno si scandalizza più di niente e questo è un grande problema per chi cerca di fare innovazione”.

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Bob Noto è passato da qui quattro o cinque volte: ha vissuto l’evoluzione dei luoghi, come aveva vissuto elBulli fin dai primi anni ’90, quelli di El sabor del Mediterraneo, quando facevamo chilometro zero, prima del Giappone, prima della sferificazione. È sempre stato il migliore feed-back possibile per me, sulla cucina e nella vita. E mentre ci attaccavano, era l’unico che ci difendeva. Perché ci vuole tempo per capire certe cose. Compreso quello che stiamo facendo da sei anni a questa parte. Solo per spiegarlo avrei bisogno di tre giorni”, dice Ferran di fronte a una lavagna multimediale su cui scorrono filmati. Gli spazi sono quelli spogli di Bulligrafia, open-space barcellonese dove ha preso residenza l’intelligenza gastronomica del terzo millennio, fra pannelli, archivi e scrivanie gremite di giovani studiosi.

I Progetti

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Foto di Francesc Guillamet



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Foto di Francesc Guillamet



Sto facendo il Signore degli Anelli, numero 1, 2, 3, 4, 5… tanti capitoli diversi insieme alla mia équipe e a Lluis Garcia, già direttore di elBulli. Il progetto principale è Sapiens, in collaborazione con il MIT e l’università di Harvard, fra gli altri; quello gastronomico va di conseguenza. Per ospitarli stiamo cercando spazi più ampi, almeno doppi, in modo da avere da una parte elBulli, dall’altra la creatività. Mantenendo sempre la cucina come linguaggio, ma chiamando esperti di varie discipline a collaborare.  Poi c’è Cala Montjoi, che diventerà una postazione in fieri, con un lab e un’équipe sull’innovazione. Lì tornerò in parte alla cucina cucinata, nelle vesti di direttore creativo. Perché non ho niente a che spartire con i ristoranti di mio fratello Albert, dove al massimo mangio e do qualche consiglio”.

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Foto di Francesc Guillamet



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Foto di Francesc Guillamet



Sapiens’ quindi è la prima sfida: riguarda la metodologia dell’innovazione, quel circolo di ordine e conoscenza in base al quale è possibile comprendere e innovare sulla base di categorie condivise. Qualcosa di assai più vasto della cucina, che considera le modalità di funzionamento del cervello in qualsiasi campo di attività umana. “Vuol dire comprender para crear:  in questo periodo non lavoro a nuove tecniche o ricette; quel che voglio è studiare la creazione e l’innovazione in modo olistico, per condividere i risultati ottenuti”.

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Dopo la pubblicazione del catalogo generale di elBulli, la Bullipedia è una summa del sapere gastronomico articolata in 35 libri accademici, di cui due, relativi alle bevande e al cominciamento della cucina, sono già usciti; prossimamente sarà la volta di altri temi, dal vino ai prodotti, elaborati o meno, dai cocktail agli stili di cucina. Sono destinati prima alla carta, in spagnolo o in inglese, poi al web, ma solo quando i traduttori simultanei avranno compiuto significativi progressi; in modo da colmare il vuoto in un settore dove ancora mancano riferimenti solidi.

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Foto di Francesc Guillamet



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Foto di Francesc Guillamet



E proprio a stabilire punti fermi servono gli archivi assemblati in questi anni. Quelli che danno una collocazione certa a elBulli nella storia della ristorazione, con i faldoni relativi agli eventi (fra cui il primo congresso gastronomico in assoluto, tenuto a Madrid nel 1997) e le riviste che ne datano lo sviluppo passo dopo passo, contro le approssimazioni e il sentito dire. “La migliore definizione della mia cucina? È ‘nueva nouvelle cuisine’”, dice Adrià indicando una vecchia copertina. Eppure non ha avuto successo, preferivano tutti ‘tecnoemozionale’ oppure ‘molecolare’. Rispetto molto Marchesi e compagnia, anche se è stata una rivoluzione edipica, che ha ucciso il padre e rinnegato il passato, al contrario della nostra. Io non ho mai parlato male di nessuno. Ma non è da lì che arriva la voga della cucina giapponese, oltre sushi e sashimi: basta sfogliare uno storico numero del Gambero Rosso per scoprire che risale al 2002-2003. Perché se è vero che Bocuse aveva un ristorante a Tokyo negli anni ’70, era la sua cucina che vi proponeva. E nemmeno Marchesi ne fa cenno nei suoi primi libri”.

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Foto di Francesc Guillamet



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Foto di Francesc Guillamet



Materiali che nel giro di un paio d’anni saranno a disposizione del pubblico, insieme ai 20mila oggetti censiti di elBulli, al centro di un’esposizione permanente dall’ubicazione ancora incerta. “All’inizio della nostra storia compravamo stoviglie e suppellettili, come tutti. Poi nel 1997 abbiamo intrapreso la collaborazione fra cuochi e designer, perché l’importante non è arrivare primi, visto che tutto è già stato inventato, ma fare qualcosa che funzioni e contestualizzarlo. Prendiamo le pinze: in Giappone usano le bacchette perché sarebbe barbarico violare l’ingrediente, noi volevamo la stessa sensibilità senza essere etichettati come giap. Adesso in quanti le usano?

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Foto di Francesc Guillamet



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Foto di Francesc Guillamet



Poi c’è la biblioteca: riunisce 700 volumi, non tutta l’editoria gastronomica, ma l’imprescindibile per un cuoco. Jacques Le Divellec, per dire, è stato un genio anche se nessuno ne parla”. Nelle sue teche si affiancano il manifesto della nouvelle cuisine di Gault & Millau (“ma non è quello di internet”) e una ricetta di Glace de crème aux truffes datata 1768 (“la mia ispirazione per fare cucina con il mondo del gelato salato”); c’è addirittura un’esposizione di attrezzi della cucina paleolitica, per il genoma delle tecniche di cucina. “Lo status quo della ristorazione e della cucina. Studiare è qualcosa di nuovo per i cuochi. Ma la conoscenza è il futuro”.

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