Da pelapatate sulle navi a chef stellato e imprenditore di successo, 6 locali, un catering e un centinaio di dipendenti. Ecco Giancarlo Morelli
La Storia
La Storia Di Giancarlo Morelli
Locanda del Pomiroeu, Pomiroeu Marrakech, Phi Beach, Trattoria Trombetta, Bulk e Morelli, al netto di consulenze e firme varie. La mela non cade mai lontano dall’albero, recita la saggezza popolare; eppure i semi del Pomiroeu si sono sparpagliati qua e là, in Italia e non solo, dando frutti diversi. Un piccolo impero della ristorazione che oggi offre lavoro a un centinaio di persone e ne sfama 12mila l’anno. Senza fare rumore, come piace a Giancarlo Morelli, lo chef pacato dagli occhiali stravaganti, uno tondo, l’altro quadrato. Dissimili come gli stili della sua ristorazione.

“Bisnonno, nonno, papà erano tutti fattori. Sono cresciuto in campagna, avvinghiato alla natura. Qualcosa che mi ha perseguitato nel tempo, perché il green è rimasto il mio pallino”, racconta. “Un giorno papà si è improvvisato imprenditore e mi sognava ingegnere; io però fin dai 12 anni sapevo bene cosa volevo fare. Perché nella casa di Ghisalba c’erano sempre tanti ospiti a tavola e ogni sera si cucinava qualcosa per il giorno dopo. Così è nata la passione: durante una vacanza mi sono infilato nella prima cucina che ho trovato, quella dell’hotel Storile di Sondalo, ed ero felicissimo di lavare pentole e pelare patate. Il tutto col consenso di papà, che pensava di dissuadermi, invece alla fine si è convinto pure lui. Ed è stato con il suo sostegno anche economico che mi sono formato”.

“Dopo l’alberghiero di San Pellegrino Terme sono partito per gli Stati Uniti, perché da ragazzi sognavamo tutti l’America; ho lavorato sulle navi, come la Pacific Princess; soprattutto ho fatto due anni in Francia. Prima Bernard Loiseau, per cui esisteva solo la cucina. Mi ha fatto capire qual è l’unico modo per arrivare a certi risultati. Era così determinato a diventare uno dei migliori al mondo, che entrava per primo e usciva per ultimo. Anzi a volte non se ne andava proprio. Ricordo quando una mattina lo trovammo addormentato sul passe, dopo che si era fermato a fare alcune prove. Poi i Troisgros, una famiglia incredibile, che mi ha circondato di attenzioni. E per finire Roger Vergé, il più vicino alla cucina italiana, che mi ha trasmesso il rigore, l’organizzazione, l’intransigenza sulla materia prima. Il mio capo partita si chiamava Alain Ducasse, un mostro di rigore e precisione, già allora si capiva che aveva una marcia in più”.

“Tornato in Italia ho avuto la fortuna di imbattermi in Angelo Paracucchi, un uomo fantastico e buonissimo, avanti anni luce. Era un maniaco della materia prima, che andava a cercare presso il singolo produttore. Ad Ameglia mi sono fermato un anno e sono tornato a più riprese per brevi stages e lezioni di cucina dopo essermi messo in proprio. Nel 1983 ho iniziato a gestire il golf club di Monticello; poi nel 1992 ho comprato il Pomiroeu, osteria fondata nel 1840, per cui era passata la storia della cucina brianzola. Dove una volta c’era il bar si trova ancora una piccola fessura, su cui la gente batteva col bastone per chiamare la signora Narca, ultima discendente in linea diretta dei primi gestori, che a quel punto apriva lo spioncino e scendeva. Quest’anno festeggiamo 25 anni di resistenza, perché non è stato facile portare in zona un concetto di cucina diverso. Anche se non ho mai avuto la tentazione di prevalere sulla storia, anzi ho voluto mantenere l’allure di un locale, che trasmette un sentimento di serenità, come se uno ci fosse già stato mille volte. Perché un ristorante deve essere una casa aperta, non un luogo di irreggimentazione”.

Il nome veniva dai meli selvatici che l’accerchiavano, prima che il paese e poi l’hinterland milanese accorciassero il passo. “Io però venendo dalla Francia avevo il sogno di piantare più bandierine possibile, come già allora usava oltralpe. Così nel 1988 è nato il catering della Locanda Pomiroeu, nel 2009, contemporaneamente alla stella, è stata la volta del Pomiroeu Marrakech, nel 2012 del Phi Beach di Baia Sardinia; nel 2015 ho aperto a Milano la trattoria Trombetta, che incarna la mia visione della trattoria oggi, con una cucina della tradizione agilizzata, il bar e il bancone con il cuoco e il barman, il tavolo conviviale e i tavolini; l’anno successivo il Bulk, mixology bar sotto il segno della libertà totale, e il Morelli, che incarna il sogno di un ristorante legato alla mia crescita, fine, gourmet. Su una lavagna scriviamo temi, colori, espressioni da ricercare nella stagione, io do il la e poi lavoriamo tutti insieme”.
Il Ristorante

“Il Pomiroeu funge da Lab: tutti devono passarci, poi secondo le attitudini vengono spediti qua o là. Nel complesso ho un centinaio di dipendenti, fra cui collaboratori storici come il mio executive Livio Pedroncelli, Fabio Moriconi, con cui faccio foraging in montagna, il maître e sommelier Lukas Konperda, la responsabile del progetto Pomiroeu Alessandra Garavaglia, Carmelo Lo Brutto al Trombetta, Alessandro Colombo al Morelli e Ruggero Bellazzo al Bulk. L’idea è quella di creare situazioni diverse, perché il cuoco deve condividere il suo sapere con chiunque, prescindendo dalle tasche; occorre offrire qualità sempre, anche in un pasto veloce. Ciò che non può mai mancare è la dedizione e devozione nei confronti del cliente; ogni locale ha una personalità a sé stante e un menu diverso, ma condivide l’obiettivo di far star bene la gente”.

“Siamo sempre alla ricerca di nuovi prodotti: cogliendo un’erba in Val Sassina o a Montevecchia può capitare di imbattersi in un allevatore di capre, che fa assaggiare il suo latte o i suoi caprini. Così assembliamo conoscenze che poi prendono strade diverse. In comune ci sono basi quali il burro e l’olio, soprattutto i vegetali bio del mio orto senza serre a Vetralla, da cui arrivano tre carichi a settimana. La filosofia è quella di non stressare il cibo con l’aggiunta di sale, se non alla fine e in modiche quantità. Preferiamo operare per riduzione e concentrazione, facciamo tante basi, anche se è un lavoro lunghissimo, brodi vegetali di singole erbe e verdure, fondi non solo di carne e pesce, ma anche vegetali, utilizzati come esaltatori”.

La tendenza è quella dolce del nord Italia, individuata a suo tempo da Gualtiero Marchesi; il comfort la cifra di una trattoria evoluta, che sotto sembianze di semplicità cela zelo, riflessione e lo sprint dell’inquietudine contemporanea, sempre entro la soglia della provocazione. Anche il vino è una passione dello chef: la carta conta 600 referenze, con tanto nord Italia, ma anche Borgogna, Bordeaux, Riesling tedeschi e Champagne. Nel cestino la discendenza di un lievito madre cresciuto come un figlio per 20 anni: pagnotte bianche e ai 5 cereali, grissini stirati a mano, focaccine al pomodoro, focaccia classica, cracker e cecina, a base di farine bio e sfornati due volte al giorno.

I Piatti


Si comincia con i crostini di pane all’uvetta con mela cotogna e aneto e le lenticchie con ricotta di Seirass affumicata e montata e orzo soffiato. Per benvenuto un piatto nato dalle verdure dell’orto, come farebbe una mamma aprendo il frigorifero: lo strudel di verza fermentata e patate con fonduta di Bitto, ricotta affumicata, pimpinella e polvere di larice, ovvero la sommità verde delle foglie essiccata e polverizzata, che insieme al balsamico regala sapidità e senso di sorpresa. “Come un punto di domanda”.


Rassicura il carpaccio di piemontese, leggermente affumicato nel Green Egg prima della marinatura; viene servito con ceci in parte passati, cialda di Parmigiano ed erbe spontanee.

Ma i rigatoni cacio e pepe di papaia cambiano repentinamente registro: la spezia è rimpiazzata da semini di papaia asciugati e polverizzati, altrettanto aromatici ed esotici, ma meno piccanti, più una cascata di erbe matte (cicoria, pimpinella, erba noce) per il riscatto di ingredienti diversamente poveri.

“I ravioli per me sono sinonimo di casoncelli: una forma elegante, che si regge sul piatto”. Sono farciti di classico baccalà mantecato e serviti con fonduta di cipolla e pasta di salsiccia fatta in casa ogni mattina, dolce e rosa perché priva di additivi.

Razzola in un repertorio antico l’anatra al miele, con il fondo delle carcasse speziato, al Porto e succo di arancia; il petto passato nel Green Egg dentro gli scarti della pastinaca e finito al forno. Viene guarnito con purè dolce di pastinaca, cicoria matta e crema di semolino.


Anche i dessert spaziano dalla tradizione alla creatività. Da un lato la millefoglie di pasta sigaretta con sorbetto di melagrana; dall’altra il semifreddo di zucca con mousse al mandarino dentro la scorza dell’agrume, servito con una spruzzata di essenza di mandarino, gelato di tè verde e zenzero, zucca candita.
Indirizzo
Ristorante PomiroeuVia Garibaldi n 37 - 20831 – Seregno
Tel. Tel +39.0362.237973
Mail info@pomiroeu.it
Il sito web