Prosegue il progetto di gastronomia libertaria di Matias Perdomo, contro la “dittatura del gusto”: a cadere questa volta è l’orologio dal polso dei cuochi
La Storia
Exit Strategy: il subcomandante Perdomo contro “la dittatura del gusto”
Molte cose sono cambiate da quel gennaio zero, quando le saracinesche del chiosco di piazza Erculea hanno svelato una mercanzia diversa dalle consuete pile di carta condita all’inchiostro. Quattro mesi spremuti fino all’ultimo istante per precisare un concept che si configura come Exit strategy della ristorazione quotidiana. Con l’apertura prolungata dalle 8 a mezzanotte e il numero di coperti in crescita continua, sempre più spalmati sull’intero arco solare.
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“L’apertura è stata soft, per vedere come rispondeva la gente e rodare la brigata sui ritmi giusti, con l’intenzione di restare aperti fino alle 21. Ma nell’aria sentivamo la voglia di un posto diverso, dove incontrarsi senza restare impastoiati nella calca. Così abbiamo deciso di aprire anche a cena. E stiamo facendo fino a 70 coperti a mezzogiorno e 40 di sera; fra una settimana, se tutto va bene, poggeremo qualche tavolino fuori aumentando la capienza di altre 20 unità. Stiamo potenziando anche la squadra, nonostante resti qualche ora un po’ morta. Non è facile trasmettere il messaggio che si può mangiare a tutte le ore; se uno è appena sceso dall’aereo, ha il jet lag o ha finito una riunione importante, può togliersi qualsiasi voglia. Basta organizzarsi. Perché il futuro è la massima libertà, senza restrizioni”, commenta il subcomandante Perdomo.
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Il Ristorante
<“Non esiste un modello per tutto questo, tranne qualche suggestione. I baracchini angolari dove a qualsiasi ora del giorno è possibile farsi aprire qualche ostrica come i punti gourmet all’interno dei mercati spagnoli, in un contesto prettamente urbano. Oppure il Clandestino di Moreno Cedroni, che per me è il posto più figo del mondo. Soprattutto mi sono ispirato alla passione e ho studiato il mercato. Milano sta diventando una capitale della gastronomia mondiale: sono in arrivo Perbellini, Robuchon, Beck, Alajmo. Ma non avrebbe senso tenere aperto il Contraste, sogno cui mi consacro al 99%, anche a pranzo: Milano non è come Modena, dove il gourmet si prende la giornata per andare a mangiare alla Francescana. Manca il mercato per il pranzo gourmet. Senza scendere a compromessi si può pensare a qualcos’altro. E si tratta di un format replicabile senza investimenti sanguinosi: abbiamo allo studio 3 o 4 progetti, senza fotocopie da franchising, perché le persone e i luoghi sono unici. Non avrebbe senso aprire dieci Exit tutti uguali. Piuttosto ci piace l’idea di valorizzare giovani che sono espatriati e poi rientrano in Italia, fra i migliori paesi al mondo per un cuoco, lavorando su due punti di sviluppo: la creazione di cultura e la condivisione di momenti, attraverso l’unione di vendita prodotto ed elaborazione.”
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In spazi così ristretti, tanti coperti richiedono soprattutto organizzazione. Della ventina scarsa di proposte in carta, quasi la metà sono mero prodotto: ostriche, jamon iberico, acciughe cantabriche, formaggi Dicecca. “Perché il progetto iniziale era una tavola fredda e col cambio di SCIA abbiamo messo a frutto l’esplorazione compiuta: i fornitori fanno parte della squadra”. In cucina c’è Claudio Rovai, trentatreenne lucchese passato per 6 mesi al Contraste dopo esperienze in Australia e Inghilterra. Gli spazi risicati di stoccaggio lo costringono a lavorare principalmente il fresco con forniture quotidiane e una mise en place che inizia ogni mattina alle 8. Il risultato è un menu settimanale esteso a un paio di fuori carta: viene assaggiato in anteprima da Perdomo e Simon Press, coi quali sono scelti anche i prodotti stagionali da utilizzare. “Ma io non credo nella dittatura del gusto: ognuno fa la sua cucina. Questo è un progetto più importante di noi, ciò che conta è condividerne la filosofia”, puntualizza Perdomo.
I Piatti
<Fra le new entries firmate Rovai ci sono gli scampi crudi con stracciatella pugliese, crema di ortiche per l’erbaceo, croccante di taralli e aria di ricci di mare a regolare la sapidità; Thomas Piras li abbina a un Riesling Spätlese 2015 di Thomas Haag Schloss Lieser, per esaltare lo iodio: “mare e zucchero, come nel piatto”.
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Oppure lo sgombro passato sotto la salamandra e poi fiammeggiato al cannello per l’effetto griglia, non troppo cotto ma neppure asciutto, con una salsa di anguilla affumicata e i friggitelli al forno. Qui il bicchiere ideale è un Fiano di Avellino Vigna della Congregazione 2000, il cui principio di ossidazione secondo Piras “rende più intrigante il metallico del pesce azzurro”.
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Eleganza e pulizia anche nella spalla di agnello a bassa temperatura con cavolo nero croccante e salsa di pecorino, la cui grassezza chiama un Barolo fresco e moderno quale Cascina Fontana 2012. Come nel dessert di colomba sifonata con gelée di Sherry e mandorla amara, su cui bere un Vino Santo 2001 di Gino Pedrotti.
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Tutte referenze presenti nella carta dei vini da oltre 120 etichette studiata da Thomas Piras, che evita ancora una volta qualsiasi forma di imposizione: la forchetta dei prezzi ha rebbi larghi, da 20 a 600 euro per un grande Champagne da sposare al caviale, in una piazzetta di metà primavera a Milano.
Indirizzo
EXIT-MILANOPiazza Erculea n 2 - 20122 Milano MI
Tel. (info): +39 02.35999080
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