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Puglia a soqquadro: Le Giare anarchiche di Antonio Bufi e Lucia Della Guardia

di:
Alessandra Meldolesi
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ristorante le giare bufi

Fermentazioni, scarto zero e vegetale sono le direttrici lungo le quali avanza la creatività di un cuoco sovversivo, forgiato da una gavetta diligente fino al limite del romanzesco. Dai peggiori bar di Jakarta fino ai tre stelle.

La Storia

La Storia dello chef Antonio Bufi


Non fatevi trarre in inganno. Lo stradone moderno, il giardino dell’albergo, l’ingresso un po’ anonimo: non sono queste le coordinate delle Giare. Per quelle bisogna aspettare che esca di cucina Antonio Bufi, chef barbuto come un rivoluzionario anarchico, istrionico nella gestualità e nei modi scanzonati, spontaneo come i batteri dei vasetti che nasconde nel suo antro di fermentazione. Il cui sguardo triste un giorno si è posato sulla grazia chagalliana di Lucia Della Guardia, ballerina sul filo del sogno, in un felice paradosso amoroso.

Antonio Bufi
Conducono il loro ristorante, variabile impazzita della scena barese, da 4 anni. Ma dietro l’improvvisazione permanente c’è una gavetta ligia, fino al limite del romanzesco; dietro la passione lo studio. Antonio è nato a Molfetta, come un plotone di altri chef: sui banchi vicini all’alberghiero sedevano Maurizio Bufi e Fabio Pisani, Fabio Abbattista e Felice Lo Basso. Poi la solita trafila di ristorantini durante e dopo la scuola; il Grand Hotel e il Majestic di Roma, uno al mattino, l’altro di sera; giri in Francia e Svizzera, Inghilterra e Spagna. I nomi più insigni sul curriculum sono quelli di Gualtiero Marchesi (ai tempi di Fabrizio Molteni), Georges Blanc e Michel Chabran. Ma a incorniciare le esperienze precedenti è stato Moreno Cedroni, alter ego per 7 anni dal Clandestino alla Madonnina, passando per qualche nuova apertura. Con lui, stilisticamente, un solo trait-d’union: il mal d’Asia.

chef Bufi
Amo la Puglia e per questo ho lasciato Senigallia. Ma ho sempre sentito una forte attrazione per l’Oriente, dove mi sono recato per imparare sapori e colori. Ho lavorato nelle bettole in Cina e in Cambogia, Indonesia e Vietnam. A Jakarta ho mangiato la scimmia, come Indiana Jones, e il serpente, che è un po’ come l’anguilla. Ma prima devi bere una roba che sembra sangue e non la puoi sputare, perché si offenderebbero a morte. Soprattutto ho fatto incetta di umanità, generosità e serenità”.

Lucia
A Bari si apriva in quel periodo Eataly: una bella occasione durata troppo poco. “Ed è stato allora che ho conosciuto Lucia, che è laureata in giurisprudenza e ha una formazione da ballerina classica, ma ha sempre amato cucinare, quindi lavoricchiava qua e là. Amici comuni ci hanno messo in contatto e ho subito apprezzato la passione e la mano. Con me ha fatto tutta la trafila del commis: mesi a tagliare le verdure, poi a lavorare le uova, che affinano la sensibilità del cuoco. Infine è passata in sala, perché avevamo bisogno di una presenza dotata di cognizione di piatto”.

 antonio bufi
Da Eataly Lucia si occupava di tutto ciò che è vegetale. Ed è un lavoro che abbiamo approfondito sempre più. René Redzepi ha ripescato le fermentazioni, ma le conserve nelle case si sono sempre fatte. Sotto sale, sott’olio, sott’aceto: un modo per resuscitare alimenti che altrimenti morirebbero, per così dire salvandoli. Ed è qualcosa di estremamente complesso, perché si entra in simbiosi con ciò che si sta trasformando. Magari ha qualche difetto, invece diventa bellissimo”.

Il Ristorante

Finché non è capitata l’occasione delle Giare nel 2014. La fucina di una ristorazione fuori dagli schemi, che non sopporta regole, fertile nell’immaginazione e nell’entusiasmo, da disciplinare forse con un pizzico di ponderazione. I piatti sul menu sono una quindicina, senza suddivisioni in antipasti, primi e secondi. Si compongono di materie quasi esclusivamente locali, con sporadiche eccezioni come uno straordinario abalone con melanzane grigliate, poi marinate al mirin e sakè, mammola, cetriolo alla griglia, acqua di funghi, infuso di katsuobushi ed eucalipto. “Qui intorno ci sono ragazzi che sono tornati a lavorare la terra: uno fa i pomodori, l’altro i cavoli o le zucche.

sala ristorante le giare sala ristorante le giare
Magari ha una sovrapproduzione e io l’acquisto per metterla tutta in conserva e variare il mio gioco, che resta stagionale. Per le carni ci rivolgiamo a Michele Varvara, cui chiediamo esemplari maturi e grass fed; anche il pescato è pugliese”. I menu, denominati Anarkie, reggono inalterati per un mese. Comprendono formule di degustazione da 3, 5 o 7 portate a sorpresa, rispettivamente a 35, 60 o 70 euro, con frequenti fuori carta e lo strategico filtro di Lucia in sala. Mentre della carta dei vini, che privilegia il territorio, i naturali e le birre artigianali, per un totale di 350 referenze, si occupa Antonio Mangialardo, autore di un degustazione chiamato “Anarkia del sommelier”. Lucia segue invece i sakè, abbinamento elettivo della cucina per gentilezza e variabilità sottile.

I Piatti

radici... le mie radici sono su di me
Alcuni piatti nel tempo di sono decantati in classici. Per esempio: Radici? Le mie radici sono su di me. Si tratta di topinambur, pastinaca di Tiggiano, scorzonera, cicoria e bieta, ma anche lampascioni passati nello zucchero e fritti e mandorle fresche di Toritto macerate nell’assenzio. Un piatto che cambia nel corso dell’anno, per sprofondare nel territorio pugliese. Un po’ viaggio nel tempo, un po’ esplosione di sorprese.

PUNTA DI PETTO
Ma è un signature anche la punta di petto di vitello da latte, marinata, cotta a bassa temperatura e rosolata in padella, servita con salse “Mac” ai pomodori regina di Torre Canne, rossi e gialli, emulsione di prezzemolo, polvere di bottarga fatta in casa, scorza di arancia a capperi, a volte cipolla al cartoccio o porro alla soia, secondo la stagione. Un piatto colorato e immediato.


Un’altra passione è il riso. Vedi quello rosso germinato con crema di topinambur bruciato, mosto cotto di fichi, senape di fragole fermentate e uva apirene sottaceto. “Dove la germinazione rende il riso più digeribile, oltre a cambiarne il sapore. Bisogna masticarlo a lungo e questo propizia una diversa evoluzione dei sapori, dal tubero amarotico, cha sa quasi di castagna alla brace, alla spinta fresca e acida dell’uva. In bocca è un flipper, ma anche un piatto completamente probiotico”.


Oppure il risotto con trippa di baccalà, pepe Sancho, germogli di borragine e gel di succo di limone fermentato. Dove la frattaglia di pesce è fritta alla maniera del vitello, per una sensazione che devia, fra terra e mare; il riso è mantecato all’olio e cotto con un fumetto di ombrina. Per un risultato soave. “Non è scontato, ma facciamo tutti i fondi, perché vengo dal classico. Utilizziamo gli scarti, che altrove fungono da ingredienti del piatto, vedi i semi di cetriolo disidratati del risotto psichedelico, cosparso di polvere di tutte le bucce, nocciole, nespole eccetera. Ma anche i liquori e gli aceti”.


I dessert sono in continuità col salato. Vedi la bavarese all’extravergine da cultivar coratina con emulsione di rucola “del ciuccio”, selvatica e piccante, sablé bretone, polvere di cicoria, gommoso di olio e olive di Gaeta candite, messa a punto con il secondo Livio Improta.

Indirizzo

Ristorante Le Giare

Corso Alcide De Gasperi, 308f – 70125, Bari

Tel. +39 080 5011383

Mail info@legiareristorante.it

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