Il ristorante Barbieri 23, situato tra il Ghetto e Campo de’ Fiori, offre una cucina internazionale di alta qualità senza fuochi e piastre ad induzione. Un modello e una promesse de bonheur.
La Storia
Da dicembre scorso, ha aperto a Roma il ristorante Barbieri 23, un piccolo e affascinante angolo gastronomico, elegante e dall’aspetto mondano, incastonato nell’edificio del Teatro Argentina, tra i più antichi della Capitale. La traversa dove si trova il locale, via dei Barbieri, stretta e antica come la restante area adiacente, consente di raggiungere da Largo di Torre Argentina altre piccole strade che, tra svolte e sinuosità si aprono, su Campo de’ Fiori. La piazza di Giordano Bruno, per intenderci, nel senso che vi fu bruciato da Papa Clemente VIII Aldobrandini, e che oggi ospita un famoso mercato rionale, tanti ristoranti, bar, pub, librerie e negozi di moda. Insomma un distretto turistico in piena regola, commerciale, ristorativo e residenziale, dove è possibile trovare anche i romani a fare shopping. Questo perché il Teatro Argentina attrae tanti appassionati che, prima o dopo lo spettacolo, si riversano nel piccolo quartiere per un aperitivo o un dopo cena a corredo dello spettacolo.Lo chef e patron di Barbieri 23 è Giorgio Baldari che ha una lunga esperienza alle spalle. Formatosi alla scuola alberghiera, ha lavorato da giovanissimo nei catering romani e come aiuto nei ristoranti di Antonello Colonna e di Gianfranco Vissani, quando ancora non si usavano gli stage in cucina. Parliamo della fine degli anni 80 e dell’inizio degli anni 90. Baldari ricorda con piacere il suo impegno in cucina nello Zio d’America a Talenti, sotto la consulenza appunto di Vissani. Uno dei primi ristoranti di ricerca e di territorio decentrato, rispetto alle direttrici più in voga allora nella Capitale. Poi, a metà di quella decade, l’America si è davvero concretizzata nella vita di Baldari, che ha aperto in Florida il ristorante Esco Pazzo e successivamente il Bocca di Rosa, che hanno ottenuto segnalazioni sulle principali riviste e guide americane, portando Baldari nella Top Fifty statunitense.
Finite le esperienze americane, lo chef è tornato in Europa, prima a Monte Carlo, facendo sue le suggestioni della cucina frontaliera, fusion per necessità, che gli ha dischiuso i segreti della nobile gastronomia francese. Poi a Madrid, con un altro ristorante solo in parte italiano. Questa serie di esperienze lo hanno allontanato dai campanilismi o dai condizionamenti territoriali, lasciandogli l’idea che la cucina è globale. «Per questo amo cucinare anche con la panna, quando serve. Non è un tabù per me. Alla francese intendo, e i piatti vengono bene». Nei primi anni duemila si è avvicinato al movimento Slow Food e oggi è un cuoco Terra Madre, attento ai presidi e alle materie prime regionali italiane, che rischiano di sparire e che non solo fanno parte della nostra tradizione, ma hanno anche un alto valore in termini di gusto e di identità. Insomma, come si dice oggi, è glocal; e forse mai definizione migliore poteva essere spesa, per spiegare un termine usato e abusato nelle conversazioni, ma spesso a sproposito e mai veramente compreso.
Negli ultimi anni Giorgio Baldari si è dedicato alle consulenze per le aperture di nuovi locali, o per dare svolte ai menù di ristoranti già avviati, ma bisognosi di appeal. Con Barbieri 23 è stato diverso. Chiamato inizialmente per una consulenza, alla fine è stato quasi costretto a prenderne in mano le redini in qualità di socio con la libertà assoluta di creare e di gestire a piacimento il ristorante. E qui ha portato tutta la sua esperienza pluriennale e le sue capacità, dando vita ad un luogo di tendenza che traccia un solco per tutti quei locali che non possiedono una cucina vera e propria, ma che comunque potrebbero grazie alle tecniche e alle tecnologie odierne mettere su bistrot e moderne osterie.
Il Ristorante
Tecnica e passione sono i principali ingredienti per un ristorante che nasce con un tale handicap: privo di canna fumaria non può cucinare a fuoco vivo e nemmeno per induzione. In teoria potrebbe offrire solo pietanze fredde, taglieri o altro. Le capacità e le conoscenze di Giorgio Baldari sono tali invece che il menù presenta una cucina internazionale di alta qualità. Una cucina rigenerativa, come ama definirla lo chef, che accanto ai crudi di salmone canadese mette anche le lasagne e la pasta fatta in casa, la cacciagione, il tataki di tonno e via dicendo.«L’importante è saper strutturare il percorso più adeguato per servire in tavola una bella lasagna calda, nonostante l’handicap - spiega Giorgio Baldari -. Riqualifico una cucina senza fuoco, rigenerativa appunto. Uso tutti gli strumenti a mia disposizione, forno a convenzione, roner, microonde, e faccio dalla pasta allo stinco d’agnello cotto 19 ore, alla terrina d’anatra, al pesce tataki. Il mio è un riappropriarsi della cucina di stampo industriale che non è vero che sia senza anima. In passato ho prestato la mia esperienza per il lancio dei ristoranti di Giovanni Rana, anche quella è una cucina rigenerativa. Però se declinata con attenzione può avere una dignità e riservare delle belle sorprese».
Barbieri 23 affascina sul fronte degli arredi e degli allestimenti interni. Piccolino con un massimo 20 sedute e una mise en place da moderno bistrot, senza tovagliato, è giocato su toni color terra. Sedie e sgabelli rialzati in pelle, eleganti e confortevoli soprattutto. Un pavimento che si fa notare in mattoncini grigi con pareti alte, sinuose come un collo alla Modigliani. Il progetto e gli arredi sono dello Studio Morq. L’ingresso si divide in una parte di bancone sociale e in tavolini, che proseguono nel piccolo e appartato corridoio, dove l’illuminazione discreta e avvolgente consente il giusto grado di intimità, che sollecita le confidenze e spesso rivela una promesse de bonheur. Se volete fare colpo è qui che dovete portare la vostra lei o il vostro lui.
L’obiettivo dello chef patron è far fare un’esperienza ai clienti. Il menù è stagionale e presenta sia carne che pesce, oltre che le paste. Per sua stessa ammissione qui è possibile trovare la summa di tutte le sue passate esperienze, dal catering alla cucina americana a quella di frontiera e francese a quella madrilena, con l’aggiunta della ricerca delle materie prime. Il suo è uno sguardo mondiale. Il rispetto nei confronti delle materie prime si declina in quattro menù stagionali e in un costo finale per il cliente che si aggira intorno alle 50/70 € per una cena completa bevande escluse.
Il locale non è solo è un bistrot. Consente di passare un pomeriggio con the, tisane e dolci e di ingannare l’attesa del teatro con un bicchiere di vino o un aperitivo. Ha una lista di circa 70 etichette a cui si aggiungono le birre artigianali e una piccola drink list di liquori e cocktail infusi. Tanto per non far mancare le novità. È aperto sette giorni su sette e ci lavorano due cuochi e due camerieri, più lo chef patron che sta in sala. «Devo fare l’ambasciatore di me stesso, per cui con delicatezza, in sala, cerco di spiegare il menù e i piatti che proponiamo. La nostra lasagna ad esempio è in bianco e noi l’abbiamo chiamata White Album in ricordo dell’uscita dell’album dei Beatles. Di cose ne ho da raccontare».
I Piatti
Prima di scendere nel dettaglio di alcuni piatti è bene anticipare che a breve il locale aprirà anche dalle 8 alle 12 per le colazioni, mentre adesso è aperto tutti i giorni dalle 18 alle 24. «Sarà una colazione seduta, servita al tavolo e di respiro internazionale con tutte le declinazioni delle uova al centro del menù, senza dimenticare i salmoni, il pastrami. È nostra intenzione fare qualcosa di originale e di inedito», sottolinea lo chef.
Baldari inizia a parlarci del Brenno, che di fatto è un tagliere composto da: salame dell’antica ricetta del ghetto di Venezia, ossia di salame d’oca in pelle di collo d’oca; dal petto d’anatra affumicato; dal torchon di fegato grasso fatto nella cucina del locale con Calvados e Vin Santo; e dalla terrina d’anatra, anche questa prodotta in casa. È un piatto che declina più ingredienti affini. Ogni assaggio è accompagnato da una salsa che viene realizzata internamente. Oltre al Brenno ci sono altri taglieri particolari che declinano invece un solo elemento, come il Boreale che presenta ai clienti alcuni salmoni di alta qualità di origine differente, e i Dodici tagli di bovino, che viene realizzato direttamente al bancone.
La Transumanza invece è un primo. Si tratta di ravioli ripieni di ricotta di latte nobile, ottenuto cioè da vacche alimentate solo con prodotti naturali, che viene prodotta dalla Cooperativa Cibo Agricolo Libero del Carcere di Rebibbia. Il pastaio Mauro Secondi, uno dei più seguiti a Roma per l’alta qualità della pasta fresca, realizza i ravioli appositamente per Barbieri 23. Vengono serviti con cipolla, sedano, carota e un sugo di pomodori pera d’Abruzzo. Un piatto semplice ma allo stesso tempo realizzato con materie prime uniche.
Cacio e unto è la genitrice di tutte le paste. Lo chef usa conchiglie di grano duro all’uovo con bergamino di bufala di Amaseno e stravecchio del Passo del Tonale di Brescia e con una cuvée (un mix) di pepi differenti, oltre alla pancetta bovina del ghetto romano. L’unto non è dato quindi dal maiale ma dal bovino. «Una scelta che ho deciso di fare anche per la vicinanza al ghetto», dice lo chef Baldari.
L’Ad baculum, abbacchio alla latina, è di fatto una spalla di agnello Igp del Lazio che viene condizionato sotto vuoto con grasso d’oca, aglio, vino dealcolizzato, un fondo bruno d’agnello, rosmarino e mentuccia. La busta viene immersa in acqua ad una temperatura di 68 gradi per 19 ore. Viene poi ripassato al forno con carciofi e patate e lo chef consiglia, quando è stagione, di abbinarci anche le puntarelle romane.
Editto papale infine è una torta di ricotte e visciole e nasce per ricordare la legge che vietava l’utilizzo nel ghetto di prodotti caseari. La ricetta naque per ovviare all’editto papale appunto e commerciare comunque la ricotta, nascosta però sotto un denso strato di visciole.
Indirizzo
Barbieri 23 – Enoteca e LaboratorioVia dei Barbieri 23 - Roma
Tel. 06 68 80 70 47 / info@barbieri23.it
Il sito web