Nata come wine bar newyorkese nel 1994, si è subito trasformata in un’osteria moderna, attenta fin dagli inizi ai piccoli presidi e alla qualità delle materie prime.
La Storia
Piazza di Pietra è un luogo magico. Già solo il nome evoca sensazioni piacevoli, di solidità. Rimanda a qualcosa di perenne, duraturo e quindi anche di familiare. Si trova a Roma. in pieno centro. Una svolta e sei al Pantheon. Un’altra e ti trovi davanti l’imponente chiesa di Sant’Ignazio con le messe di guarigione e le atmosfere barocche. Un’ansa appena e sei nel flusso incontrollato dello shopping con le vetrine di abbigliamento addobbate per Natale già ai primi di Novembre. Così vuole la vita frenetica del nuovo Millennio. E così sia. Qui, in questa piazzetta che la sera è più tranquilla e meno caotica di altre, con le sue piccole e calde enoteche, si trova l’Osteria dell’Ingegno di Giacomo Nitti. Aperta dal settembre 1994. Da 25 anni. Perenne anche questa, negli arredi e nel tipo di cucina (ma ci arrivo), se si prendono a comparazione le mode di oggi. Il suo ideatore e gestore ha un passato movimentato ed è da sempre nel campo della ristorazione, attività iniziata fin dai tempi dell’università in agraria. Professione in effetti mai esercitata.Il suo percorso inizia nel 1979, a Perugia, con l’amico Jean François Daridon, che è stato per anni lo chef dell’Hotel Raphael di Roma e prima ancora della Tour D’Argent a Parigi, gli ha svelato le tecniche e i segreti della cucina. Con lui ha lavorato fino al 1982 al ristorante del Circolo del Golf. Successivamente si è spostato in città per aprire in società l’enoteca Himon, moderna per i tempi. E poi sono arrivate le esperienze americane, perché nel 1985 è stato chiamato a New York dall’amico Daridon, per aiutarlo ad aprire il secondo locale di Buitoni Pasta and Dreams nella First Avenue, l’altro era a Broadway.
Per dieci anni, quindi è rimasto sul suolo americano e ne ha viste di cotte e di crude. E per un cuoco è un bel vedere! È entrato nel team di Remi Antonucci, spostandosi dalla Grande Mela fino all’altro locale di Los Angeles. Ha conosciuto e lavorato per la mamma di Joe Bastianich e, di rientro a New York, si è sistemato nella Trump Tower, dove in più occasioni si è occupato personalmente delle cene per lui, quando lui non era ancora neanche un Apprentice. In una decade ci sono stati anche momenti più prosaici, come da Mezzaluna un ristorante-pizzeria italiano, attento però alle materie prime. Rientrato in Italia nel 1994 con un po’ di budget da parte (a settimana come cuoco guadagnava fino a 2 milioni e mezzo di lire), ha curato l’avvio dei ristoranti Cremonini Chef Express di Roma Termini e di Venezia. Infine, trovato un angolo affascinante a Piazza di Pietra, la sua Osteria.
«L’idea era quella di aprire un wine bar alla newyorkese, qualcosa che fosse al di fuori degli schemi con piatti della tradizione regionale italiana e non solo laziali. Ho voluto bandire il solito quinto quarto e le paste romane, in favore di un menù più ricco, più vario, più divertente anche per il cliente, in modo da poterci giocare sopra. Partita nell’idea come una enoteca si è in breve tempo trasformata in una moderna trattoria con piatti semplici, ma ricercati negli impiattamenti. Anche la carta dei vini, quando siamo partiti, è stata subito una dichiarazione di indipendenza da Roma. Avevamo oltre 700 etichette con vini pregiati e internazionali», racconta Giacomo Nitti.
Inoltre, ben prima di Terra Madre e degli Osti dell’Alleanza, si è dichiarato vicino al Movimento Slow Food e alla filosofia di Petrini, lavorando sulle materie prime, sui piccoli presidi, sulla qualità della filiera agricola e delle carni e sulle aste del pesce. Non è stato certamente il primo, ma era uno dei pochi nel 1994. La formula ha funzionato e il locale è subito decollato. Merito della posizione e dell’offerta della cucina che Giacomo Nitti ha diretto personalmente per sei anni, portando nella piccola e accogliente piazza di Pietra la sua esperienza americana; anche in fatto di mise en place.
Il Ristorante
25 anni dopo il vernissage del locale, l’Osteria dell’Ingegno è ancora uguale a sé stessa. Ha qualche stucco decorativo in meno e ha perso l’aura da wine bar a vantaggio di un’immagine di trattoria navigata. Ma presenta la stessa struttura, gli stessi colori sui toni dell’aranciato, gli stessi finimenti in ferro antico, che all’inizio davano un tocco davvero newyorkese e internazionale al locale. I posti sono sempre 54, suddivisi in due ambienti e un piccolo ed elegante soppalco. Restano magnifici gli alti soffitti e le ampie vetrate che di giorno illuminano di gioia il ristorante. Anche il menù è fedele agli esordi con una cucina che insegue il confort, i sapori regionali e non vuole sentir parlare di gourmet, in un’epoca in cui questo aggettivo domina assoluto le occorrenze nelle pagine dei giornali. La brigata oggi è tutta la femminile e vede schierate la Chef Francesca Di Rita, la figlia Anna D’Eramo, e la sorella Lucia Di Rita. L’unico maschio in cucina è Bruno Zuccari. Aiutano in sala Sabrina De Angelis, Cristina Dragus, Maria Codrea e Giusi Di Fazio.Il clienti si suddividono in due categorie. A pranzo ci sono molti impiegati con menù alla carta, che spesso contempla e rasenta il piatto unico, e con costi che si aggirano intorno ai 20/25 euro, bevande incluse. La sera invece il menù si aggira intorno ai 40 euro, bevande sempre incluse. Il locale è comunque aperto ininterrottamente 7 giorni su 7 dalle 12 alle 24, per accogliere i tanti turisti che passano in zona e che si siedono al tavolo a qualsiasi ora. C’è anche la possibilità di fare merenda con the e pasticcini oppure un aperitivo, non dimenticando di essere stato agli inizi un wine bar. La cantina si è un po’ ristretta. Da 700 referenze si è passati a 300, scegliendo di mettere in degustazione anche i grandi cru italiani, alcune etichette laziali e pochi esemplari di vini naturali. Il sommelier è Paolo Latina.
Una parola va spesa sulle materie prime, perché la ricerca nel tempo si è un po’ contratta ma non ha perso la voglia di trovare presidi di qualità nella ricca e variegata offerta distributiva. Le carni sono di Feroci e di Orme, una piccola e specializzata azienda di carni biologiche e di selvaggina. Il pescato del giorno viene dalle aste. Pane, pasticceria e pasta fresca sono fatti in casa e le farine provengono dal Mulino Pedrini di Foligno. La pasta secca invece è del Pastificio Lagano di Pomezia.
I Piatti
Polpette di trippa con pomodoretto e menta. Questo antipasto è una rivisitazione della classica trippa alla romana. La trippa viene sbollentata con sedano, carota, alloro, chiodi di garofano e sale. Cotta sotto vuoto a bassa temperatura e infine tagliata a pezzettini piccoli e amalgamata con uovo, pecorino, parmigiano, sale, pepe e scorza di limone grattato. Il composto viene impastato e si formano delle piccole polpette che sono fritte nell’olio d’oliva e servite con un sugo di pomodoro. Sopra viene messa la menta e il pecorino. Gli ingredienti sono tutti quelli della trippa tradizionale.La melanzana a beccafico è una ricetta alla siciliana. Si utilizzano le melanzane viola, lunghe, che vengono scavate e riempite con l’interno della melanzana, il caciocavallo podalico, l’uvetta e i pinoli. Vengono così messe al forno, arrostite e quando sono cotte ci si mette sopra delle alici marinate al pesto.
I Pici integrali vengono conditi sia con i pomodori datterini gialli e un misto di parmigiano e pecorino, oppure alla gricia con i carciofi e la pancetta saltata in padella. I carciofi sono tagliati sottili, scottati e poi ripassati con rosmarino e sale e con questi si condisce la pasta quando è cotta.
La Busiata è una pasta di origine siciliana, una specie di fusillo molto lungo, che viene fatto al ragù di scorfano, realizzato come se fosse un ragù di carne con cipolla, sedano, carota, e sfumato con del vino rosso, chiodi di garofano e pomodoro.
Un secondo vegetariano sono i muffin salati con zucchine, punte di asparagi, zucca. I muffin sono realizzati con uova, latte e farina. Le verdure vengono saltate in padella separatamente con erbe aromatiche e inserite nel composto del muffin. Una volta estratto dallo stampino, viene servito con una fonduta di pecorino dolce.
Il calamaro ripieno di calamaro. La sacca del calamaro viene riempita con i tentacoli e il resto dell’animale che è stato precedentemente trifolato, saltato in padella come se fosse una farcia di un polpettone, a cui si aggiunge il formaggio caciocavallo podalico, uovo, prezzemolo, buccia di arancio e pan grattato. Il calamaro viene servito in un piatto con il ragù nero, che è fatto facendo soffriggere le vesciche del calamaro con cipolla tagliata sottile, a cui viene aggiunto il nero.
La Tarte tatin non c’entra niente con la cucina regionale italiana, ed è un omaggio allo Chef Daridon. È una torta di mele fatta al contrario. Si scioglie lo zucchero e lo si fa caramellare, mettendoci alla fine del processo le mele tagliate a metà e ben pressate. Si aggiunge poi la pasta brisé. Quando la cottura è ultimata si gira la torta e le mele restano sopra. Si brucia con un ferro incandescente dello zucchero integrale e si disegna una sorta di griglia. Si serve con della panna acida oppure con un gelato di cannella.
Indirizzo
Osteria dell’IngegnoPiazza di Pietra n 45 - Roma
Tel. +39 06 6780662
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