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Antonino Cannavacciuolo, da Sud a Nord unisce l’Italia: la famiglia è tutto. Non si può vivere senza pasta

di:
Sveva Valeria Castegnaro
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Lo chef Antonino Cannavacciuolo intervistato dalla Guida Michelin si confida, rivelando aneddoti e segreti della sua cucina e della sua famiglia.

La Storia

L’immancabile pacca sulla spalla, barba e capelli nero corvino, due semplici indizi sufficienti però a far capire che stiamo parlando di Antonino Cannavacciuolo. Dello chef partenopeo, che da giovanissimo ha lasciato Vico Equense per stabilirsi nel piccolo paese di Orta San Giulio, in Piemonte, si sa davvero molto grazie alla sua esposizione mediatica e alle numerose trasmissioni televisive che lo hanno visto e lo vedono come protagonista. Di recente in un’intervista rilasciata alla guida Michelin ha confidato qualcosa di più, sia della sua cucina, sia della sua terra natia, ma soprattutto della sua famiglia, colonna e scintilla scatenante di ogni suo progetto e decisione.


Proprio la sua terra d’origine e la famiglia gli hanno permesso di diventare l’Antonino Cannavacciuolo che tutti conosciamo. Fin da ragazzo è stato immerso nell’atmosfera della cucina dove ha respirato i profumi e i sapori della sua terra, aiutando la nonna  a spezzare le  “candele” con le mani per preparare delle perfette “Candele alla genovese”, poi in quella piemontese, grazie alla famiglia che ha costruito con Cinzia, sua moglie e braccio destro.

Le sue origini e la sua esperienza di migrante dal Sud al Nord gli hanno permesso di creare una cucina con un’identità forte e di lasciare un’impronta indelebile in tutto ciò che fa e in ogni piatto che realizza. “Itinerario da Sud a Nord Italia”, infatti, si chiama il menu storico di “Villa Crespi”, il suo ristorante: “Io credo che sia un grande onore avere avuto la fortuna di crescere e vivere in queste due splendide regioni, tra loro fortemente diverse e al tempo stesso ugualmente interessanti. Poterle rappresentare nei miei piatti è per me una grande responsabilità. Il fatto che si trovino una al Nord ed una al Sud mi garantisce la fortuna di spaziare tra materie prime e profumi diversamente rappresentativi, facendomi sentire a tutti gli effetti un ambasciatore del nostro Bel Paese, dove cucinare significa avere la fortuna di rendergli l’omaggio che merita.”


Se gli si chiede se preferisce pasta o riso confessa il suo amore per il riso, ma non riesce proprio a tradire la pasta che per lo chef è sinonimo di vita: “A casa nostra la pasta scandisce il tempo, accompagna i pranzi di famiglia, sposa il susseguirsi delle stagioni: ogni festività ha la sua pasta dedicata, la sua cottura particolare, il suo condimento in abbinamento. Non si scherza con la pasta, qui si parla di tradizione”.

La famiglia e la tradizione sono onnipresenti nei racconti e in qualsiasi risposta dello chef. Riconosce in suo padre, Andrea Cannavacciuolo, anch’egli cuoco e insegnante,  la sua più grande fonte di ispirazione sia nella vita professionale che in quella privata. Nonostante abbia cercato di dissuaderlo, quando da ragazzo ha espresso la volontà di fare il cuoco, mostrandogli l’aspetto più difficile e faticoso di questo mestiere. È stato colui che gli ha insegnato ad approcciarsi con umiltà a questa professione facendogli capire che ognuno ha i propri limiti, ma questo non deve far desistere dalla voglia di migliorare sempre.


Essere cuoco significa lavorare manipolando materie prime. La curiosità è fondamentale, e per fare questo lavoro si deve viaggiare, bisogna avere la valigia in mano e sporcarsi le mani. Conoscere ingredienti diversi e la loro lavorazione aiuta ad arricchire il proprio bagaglio personale. Più materie prime si conoscono, più si cresce. Lo consiglio sempre ai miei ragazzi di viaggiare, di avvicinarsi il più possibile alle diverse filosofie di cucina, perché il cibo è cultura, è un’enciclopedia in continuo movimento, dove più si legge più si impara”.

Le materie prime sono il punto di partenza di ogni sua creazione e sono fondamentali soprattutto oggi, quando il cliente, grazie alla mediatizzazione della cucina, è un cliente più consapevole ed esigente.


Lo Chef Cannavacciuolo sceglie gli ingredienti dei suoi piatti sempre dopo grande ricerca e studio con molta attenzione alla sostenibilità, al biologico e alla stagionalità. Quelli autoctoni li procura da piccoli produttori locali con i quali ha stabilito uno stretto legame di collaborazione e che sposano la sua filosofia di “trattare la materia prima il più naturalmente” possibile. “Ci sono poi quegli ingredienti che mi porto nel cuore fin dall’infanzia, e che non riesco assolutamente ad abbandonare. Anche in questo caso biologici, con origine partenopea”.

Nella dispensa di casa e della cucina Cannavacciuolo non possono mai mancare i limoni che sono profumo della sua terra e fonte di ispirazione e di illuminazione come lo erano per Eugenio Montale. “Considero i limoni una ricchezza indispensabile per l’arricchimento sia delle portate più semplici legate alla tradizione, che di quelle più elaborate, frutto di un pensiero più dettagliato. A mio avviso il limone non dovrebbe mai mancare nella dispensa di una casa, così come in quella di un ristorante”.


Se gli si chiede di scegliere tra carne o pesce, le sue origini partenopee non tradiscono il mare, con il quale ha un rapporto di amore e sfida: il pesce è senza dubbio la sua scelta. “Portare a mia mamma il pescato che poi cucinava con gli spaghetti, mi rendeva orgoglioso, mi faceva sentire responsabile della buona riuscita della cena. Sono sempre stato così. Ed ora, come allora, provo piacere nel cucinare il pesce, per i miei ospiti come per la mia famiglia per aver così modo di trasmettere anche agli altri quell’amore  per il mare che mi porto tatuato sulla pelle.”


Antonino Cannavacciuolo adora però anche i prodotti rappresentativi del Piemonte, dove vive. Spesso ritroviamo nei suoi piatti le lumache di Cherasco, i peperoni di Carmagnola, il tartufo bianco e il Gorgonzola, ma il prodotto che più l’ha stregato è il fungo Porcino. Ama dire infatti: “Un ingrediente che non conoscevo e che mi ha subito conquistato una volta approdato in Piemonte, sono i funghi porcini. Ricordo la prima volta che li ho mangiati, sono rimasto letteralmente a bocca aperta: è come se un morso dopo l’altro mi si aprisse un nuovo mondo, tutto da esplorare e conoscere. Li adoro. Da quel momento, sono per me diventati ispirazione. In autunno quando il loro profumo penetrante, misto tra terra e rugiada, invade la cucina mi sento felice”.


Il piatto che troverete sempre se avrete la fortuna di cenare a “Villa Crespi” è un piatto che unisce le sue due terre “Linguina di grano, calamaretti e salsa di pane di segale”.  “Questa portata, rappresenta la mia personale visione delle linguine, dove il sapore della pasta secca di Gragnano e il profumo del mare dei calamaretti, vengono accompagnati ad una salsa di pane di segale piemontese. Un piatto che in un sol boccone garantisce un viaggio tra il Sud e il Nord Italia e racconta parte di quello che è stato il mio percorso di vita.”


Il piatto del cuore, però rimane sempre quello: “la parmigiana di mammà” perché. “E’ un piatto che rappresenta tutto il Sud Italia, e quella di mia mamma è la migliore che io abbia mai mangiato. Non potrei che menzionare questo piatto parlando di un ricordo d’infanzia, parlando di questa portata sempre pronta e perfetta in ogni occasione. “Mamma’ ti amo” … ed ho detto tutto”.

Si può dire, quindi, che più della pacca sulla spalla e la capigliatura nero corvino la famiglia, la tradizione e la patria terra sono i veri tratti distintivi di questo grande chef.

Fonte: Guida Michelin

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