Una tavola rotonda della ristorazione stellata Milanese e non, imprenditori, addetti al settore e giornalisti, condividono punti di vista e idee al riguardo, per discutere di soluzioni su come salvare il salvabile.
La Notizia
Gli italiani non vedono l’ora (nel senso letterale del termine) di tornare a vivere fisicamente un aperitivo e a godersi la tanto amata cena al ristorante. Ormai, dopo un mese e mezzo di quarantena, con la totalità delle attività commerciali legate alla ristorazione chiuse, l’andare a cena fuori più che un acceso desiderio pare un miraggio.Secondo l’Osservatorio Lockdown di Nomisma (società che lavora su ricerche di mercato e consulenze) realizzato in collaborazione con CRIF, ciò che più manca ai nostri concittadini è il ristorante. La prima rilevazione effettuata mette in luce che il 74% degli italiani ritiene giusto (anche se tardivo) il “blocco” nazionale e il 41% si aspetta un ritorno alle prime forme di normalità a maggio, per il 27% degli italiani, invece, bisognerà attendere giugno. Quando l’emergenza sarà finita tra i desideri più forti, dopo quello di riabbracciare i propri cari (dichiarato dal 49% delle famiglie), compare l’andare a cena fuori (importante per il 43%) e viaggiare (desiderio espresso da 1 italiano su 3).
L’indagine settimanale prende in esame parametri come lo stato d’animo, i consumi, le abitudini da quarantena e i desideri degli italiani. Ma a far ripartire l’economia falciata di un paese non bastano aspettative e volontà.
La tavola rotonda online (appena conclusasi) organizzata da Paolo Pojano, titolare di PJ Food, ha raggruppato alcuni dei protagonisti della ristorazione stellata Milanese e non, imprenditori, addetti al settore e giornalisti, per condividere punti di vista e idee al riguardo, per discutere di soluzioni su come salvare il salvabile.
Emerge sopra ogni cosa la necessità di ritrovare un barlume di normalità ma in che modo?
Il problema è che non si ha minimamente idea di cosa si potrà o non si potrà fare, Roberto Di Pinto del ristorante milanese Sine: “sono d’accordo con il riaprire il prima possibile ma nelle migliori delle ipotesi riusciremo a fare solo il 50% del fatturato rispetto a prima, in più dobbiamo dimezzare lo staff, ritrattare gli affitti (bisognerebbe agire all’unanimità su questo aspetto), gestire i costi di riapertura con investimenti molto alti…non posso pensare di pianificare tutto questo per una dozzina di clienti che verranno al ristorante, perchè tanti saranno e non di più. Bisogna creare una voce unica e farla sentire al governo per farci tutelare”.
Secondo Thomas Piras di Contraste si deve imparare a convivere con questo virus, “inevitabilmente avremo degli introiti più bassi ma se ci danno la possibilità di aprire dobbiamo coglierla! E riguardo gli standard di ogni ristorante, bisognerà mirare si alla semplicità, ma fino ad un certo punto, ogni ristorante deve comunque fare di tutto per mantenere la propria identità!”.
Felix Lo Basso accenna al tema della sicurezza, “sicuramente bisogna garantirla ai clienti ma per chi lavora in cucina invece? Dovremo indossare le mascherine e mantenere la distanza l’uno dall’altra anche mentre siamo ai fornelli? Come si può? E di conseguenza in che modo il cliente potrà avere la sicurezza che si stia operando secondo legge e buon senso?"
Tanti i temi affrontati, tra cui la tipologia d’offerta da prevedere verso i clienti, secondo Vincenzo Butticè de Il Moro a Monza, “bisogna essere capaci di tradurre le competenze di ognuno con gli assunti della domanda, capire e soddisfare il bisogno dei propri clienti in questo difficile momento, con tutte le costrizioni del caso e dalla domanda che sarà ovviamente contratta”. È intervenuto anche Marcello Meregalli, CEO dell’omonimo gruppo di distribuzione vini, che esorta a non fermarsi: “non abbiamo certezza di come andranno le cose ma bisogna continuare, riguardo i vini è consigliabile comprare poco evitando di riempire le cantine dei ristoranti. In questo momento dobbiamo mettere da parte la passione e mirare alla concretezza, quindi concentrarci più su bottiglie maggiormente vendibili rispetto alle etichette d’appeal”.
Flavio Angiolillo (Mag Cafè a Milano), una delle principali voci del mondo mixology italiano, si è detto molto titubante: “si dice di riaprire con mascherine e guanti, se riapriamo così andremo davvero in fallimento. La gente entrerebbe nel bar, si stuferebbe nel giro di cinque minuti e andrebbe via. Io direi di aprire semmai un mese più in là ma con la totale normalità, cioè intendo dire una riapertura totale piuttosto che a metà”.
E a proposito del settore bar, la guida BlueBlazeR ha scattato una precisa fotografia della situazione attuale lavorando ad un’indagine sui cocktail bar italiani (presenti nell’edizione 2020 della stessa) di fronte alla crisi Coronavirus, secondo cui più della metà prevede una perdita superiore al 50% del proprio fatturato nel 2020, in particolare il 23% ritiene che subirà un danno superiore all’80%. L’illustrazione del drammatico quadro della situazione è chiara, la quasi totalità degli intervistati (99%) ha registrato segnali di crisi. In particolare, a preoccupare manager e proprietari, sono nell’ordine: canone di affitto delle strutture (70% degli intervistati), retribuzione del personale (67%), gestione dei fornitori (51%), oneri relativi a finanziamenti e mutui (45%).
Analizzando nel dettaglio la situazione nelle due principali città italiane, Roma e Milano, emerge che il 90% dei locali della capitale stima di avere un calo tra il 21% e l’80% del proprio fatturato. Mentre, oltre la metà (55%) dei bar del capoluogo lombardo immagina una perdita limitata fra il 21% e il 50% di fatturato. Alla domanda “quali possano essere gli interventi necessari per arginare la crisi?” la quasi totalità dei manager e proprietari dei bar trova necessario un deciso alleggerimento della pressione fiscale e un immediato accesso agevolato alla liquidità, premiando in particolare le società più virtuose o quelle che siano in grado di garantire la piena occupazione. Una delle proposte più condivise concerne la possibilità di favorire la produzione di distillati, vini, liquori e birre artigianali italiane, attraverso forme di riduzione delle imposte indirette. Un’altra delle risposte più frequenti riguarda il riordino della regolamentazione del settore, anche atto ad arginare il lavoro sommerso.
E il settore dell’ospitalità?
Parla Martino De Rosa che si occupa della sfera ristorazione di due delle realtà di maggior successo in Italia, L'Albereta Relais & Chateaux e L’Andana: “il mio pensiero vuole essere ottimista e coerente con quello che facciamo da sempre: ristorazione e ospitalità in modo adeguato al concetto di spazio e di natura. Siamo felici di essere in campagna, L’Albereta in Franciacorta e L’Andana in Maremma sono “case” dove ai nostri clienti piace trascorrere del tempo proprio per quell’atmosfera “di casa”; situazione che del resto contraddistingue il nostro stile di vita italiano e che credo si imporrà nel mondo sempre di più. Continueremo su questa strada anche per quanto riguarda i nostri progetti futuri che, nonostante succederanno con inevitabile ritardo e adeguamento, saranno sempre in linea al nostro modus operandi e quindi fedeli all’habitat in cui siamo abituati a lavorare, lontano – non troppo – dalla città e in mezzo alla natura, fonte di energia inarrestabile”.
Insomma si brancola ancora molto nel buio ma con tanta voglia di ripartire e fare squadra.
L’unica cosa certa al momento è che dopo un tramonto c’è sempre, sempre, una nuova alba…guai se ce ne dimentichiamo.