Dopo un anno in Toscana in cui ha dato prova di saper leggere un territorio con eleganza e profondità, Enrico Marmo torna nelle Langhe natie.
La Storia
La notizia è saltata alle cronache enogastronomiche ai primi di maggio creando curiosità e aspettative. Dopo un anno in Toscana in cui ha dato prova di saper leggere un territorio con eleganza e profondità, Enrico Marmo torna nelle Langhe natie dopo essere stato corteggiato dallo chef Andrea Ribaldone, già executive dell’Osteria Arborina. Ed è stato così che è avvenuto il passaggio di testimone, forte anche del fatto che la proprietà del Relais di cui il ristorante fa parte, ne ha acquisito la gestione totale.Il relais merita un piccolo inciso, perché è un vero gioiello di architettura contemporanea immerso tra le vigne del re nebbiolo, inaugurato nel 2015 come piccola oasi di lusso in cui godere la “barolo experience”. Dieci camere concepite come mini appartamenti, arredati come si confà a un boutique hotel con personalizzazioni artistiche e un arredamento contemporaneo minimal dai toni neutri che non rubino la scena agli splendidi affacci sulle colline e vigneti circostanti; una piscina che in inverno viene riscaldata, una spa con percorsi e rituali tailor made. Qui tutto è volto a garantire un’esperienza di unicità legata al benessere e alla bellezza del luogo, e l’argomento vigna è cruciale sin dal nome del resort: Arborina in piemontese significa “germoglio”, la nuova piantina che sta nascendo dalla pianta madre. E questo animo femminile, fecondo, è quello che permette di sentirsi accolti in questo luogo come in un abbraccio, senza distanza né formalità.
Così, tra l’entusiasmo di Rossana De Gaspari che da 5 anni conduce la struttura con eleganza e una forte personalità femminile, e lo chef Ribaldone che lo ha fortemente voluto, Enrico Marmo ha trovato un alveo e un approdo fecondi per poter ingaggiare una ricerca sul territorio e le materie prime per comporre un menu al meglio delle sue capacità.
Sì, perché non bisogna dimenticare che Marmo è originario di Canelli, nel Monferrato, e in queste zone ha lavorato felicemente a fianco di Davide Palluda all’Enoteca di Canale, e dopo tre anni ai Balzi Rossi di Ventimiglia e uno al Contrada in Chianti, torna nelle Langhe con un buon bagaglio di esperienza ma soprattutto la maturità di uno sguardo che gli permette di centrare un circuito virtuoso di piccoli produttori che ha subito abbracciato.
“Non faccio il cuoco per inventare, faccio il cuoco per cucinare e dare da mangiare alle persone. I miei piedi sono nel territorio in cui mi trovo e che amo, poi aggiungo lavorazioni mie, a partire da materie prime che indago e spingo in fermentazioni, garum, aceti” sostiene Marmo, che ci ha già abituati a una filosofia di cucina che altrove abbiamo definito a T, ossia che interseca una ricerca verticale sulla storia dei luoghi, e quella orizzontale sul territorio attraverso i produttori più espressivi e autentici, in modo da configurare la propria cucina come il racconto di una terra dalla forte valenza enogastronomica e storica.
Il ristorante ha aperto i primissimi giorni di giugno ubicandosi al primo piano della resede immersa nel giardino, sulla terrazza con il panorama a 360 gradi sulle colline langarole – mentre il piano terra, dove si situava prima il gastronomico ora c’è la sala colazioni del relais, a sancire la continuità armonica di tutta la struttura – ed è aperto sia a pranzo che a cena, riscuotendo fin da subito moltissimo successo e registrando forti presenze anche dei locali, con incipiente e rinnovato vigore del turismo straniero post-covid.
Nella grande sala a vetri che in estate si aprono per un’immersione multisensoriale in vigna, la cucina è a vista, cosicché chef Marmo e il suo sous-chef Jacopo Rosti – suo fido braccio destro da ormai diverse stagioni e sempre più appassionato di lievitazioni e fermentazioni – lavorano in totale interazione con gli ospiti, con un rimando alla sensazione casalinga di cucinare e mangiare nello stesso ambiente, senza cesure.
Fotografie di Lido Vannucchi
I Piatti
Aperti a pranzo e a cena, l’Osteria Arborina propone due menu degustazione, Menu Langa a 60 euro, e Menu Arborina a 75 euro, oltre alla carta, in cui è forte l’impronta personale di chef Marmo a braccetto con i sapori dalla forte identità piemontese.Il benvenuto arriva in tavola con un focus sul pane, quale manifesto di un pensiero che riassume etica e gusto: delle cialde di pane raffermo soffiato – zero waste – reidratato in acqua per 45 minuti con farina di riso e katsuoboshi e quindi essiccato, focaccia e pane integrali tipo 2 con farina del Molino Sobrino di La Morra, con 30% di grani antichi. Nella cialda il katsuoboshi in bocca dà quella sapidità che ricorda una patatina, gola pura, con il plus di poter riutilizzare del pane che altrimenti andrebbe buttato.
L’Insalata di erbe selvatiche, midollo e nocciole è un antipasto del menu Arborina in cui domina il vegetale, arrotondato dal midollo usato in emulsione, cotto in padella a fettine, con salvia, qualche cucchiaio di aceto, quindi frullato e di nuovo liquefatto con il calore. Il gusto del midollo arrostito in commistione con le nocciole che rimandano al burro fuso, e le erbe, ora amare, ora dolci ora balsamiche – e sono erbe che crescono tra le vigne che Enrico raccoglie ogni giorno – creano in bocca un ottimo inizio e prepara ai piatti successivi. Un intingolo che rimanda al fondo di arrosto, per un piatto che potrebbe posizionarsi non solo tra gli antipasti, ma anche tra i secondi o persino un predessert per le note fresche che sprigionano certe foglioline.
Passione per il vegetale e gioco con la tradizione sono gli spunti da cui prende le mosse la Tartare di cuore di bue, in cui la polpa del pomodoro è un vero trompe l’œil, e per assurgere al turgore della carne viene dapprima condito in insalata e poi messo ad asciugare, quindi ridotto in tartare. Marmo qui ha giocato con gli abbinamenti della steak tartare, quindi ha aggiunto un olio al cipollotto, una finta maionese di latte di soia e bottarga per dare un tono più deciso e ha accentuato la freschezza con delle scorze di limone fermentate e candite, e infine semi di girasole per la croccantezza.
La colatura di pomodoro della tartare non viene gettata, naturalmente, ma confluisce nella maionese che va a completare l’antipasto successivo, gamberi e zucchine trombetta. I gamberi di Sanremo vengono cotti al piatto, un metodo semplice il cui calore indiretto cuoce la carne senza indurirne la fibra e mantenendone l’integrità, e in cui la testa viene spremuta per dare incisività di sapore. La zucchina trombetta si sdoppia in una crema all’olio soda, e bollita, a completare un piatto in cui la semplicità è la risultante di un equilibrio millimetrico di sapori, nella massima esaltazione delle materie prime e gusti originari.
Il lavoro sul territorio resta un cardine imprescindibile, non solo nella ricerca di prodotti, ma anche nello scavare tra gesti e costumi, per questo uno dei piatti più rappresentativi del pensiero dello chef è la Tagliatella al ragù – dal menu tradizionale, a partire da un trito iniziale come faceva sua nonna, pancetta sedano carota cipolla e funghi secchi reidratati. Crea un intingolo con le ossa della faraona in cui poi mettere la polpa a cuocere in forno – sua nonna lo faceva così con gli animali da cortile per il suo ragù. L’aggiunta finale è una sorta di salsa albufera – a base di fegatini e durelli stufati con cipolla, sfumati con Porto e frullati con un po’ di panna – con l’aggiunta di cuore fricassato e ridotto a pezzettini, che non si mischiano nella cottura del ragù, a condire le tagliatelle con farina integrale di grani antichi per il 50%, quindi più rustiche anche nel morso.
Tra i secondi, le Animelle arrosto, insalata di tarassaco e prugne, del menu Arborina, hanno la classica cottura in latte e acqua, con fondo classico leggero, che trovano un’ottima spalla nel vegetale crudo. Il connubio tarassaco-prugna è un’usanza antica di queste parti, dolce-amaro, con il trait d’union di una polvere di prugna che ha la stessa sensazione di un pomodoro essiccato, per la concentrazione degli zuccheri. Un contrasto eccezionale tra frutto e vegetale che aiuta a dare pulizia, con l’animella sullo sfondo che smussa i picchi, per questo l’eleganza di chef Marmo è sempre giocare sulla scacchiera degli opposti portandoli a un’armonia globale che non stanca, ma in cui ogni ingrediente è un assolo in una compagine più ampia, completamente calata in un territorio, senza imbonimenti o compromessi esterofili.
Possono capitare anche fuori menu, come nel caso del Capretto che arriva dall’azienda agricola del papà dello chef, qui proposto con collo farcito di rosmarino e limone, e spalla disossata arrosto. Una materia prima eccezionale interamente rispettata, che solo chi ha una maturità sa lavorare senza il narcisismo soverchiante di dover dimostrare di saper cucinare, la cui maestria consiste nello stare un passo dietro l’ingrediente, assecondandolo. Un capretto cresciuto in montagna, libero, non può che essere cucinato con semplicità, con un agrume che ne innalza la freschezza, ma la cui nota erbacea è solo accompagnata dall’uso dell’olio e l’abbinamento di un fagiolino al burro: forse uno chef come Cesare Giaccone o come Valeria Piccini, dall’alto della loro maturità e sensibilità saprebbero fare, senza contare che hanno il doppio degli anni di Enrico Marmo.
Da uno chef di tale spessore, che non nasconde che avrebbe voluto nascere negli anni 70, il capitolo dessert non può che essere la naturale conclusione di un pasto che mette al centro non l’autoreferenzialità di una tecnica ma l’espressione del territorio e la sua fruizione. Il carrello dei dolci è una serie di “piccole modernizzazioni di dessert classici” in chiave piemontese, ma con qualche alleggerimento che ne amplifica il gusto. Nella tortina di nocciole quindi la farina è stata sostituita con farina di avena che dà una continuità di gusto alla frutta secca, il bignè craquelin contiene una crema pasticcera alla francese con burro e mascarpone aggiunti in mantecatura, il gelato alla nocciola è realizzato con pasta di nocciole con una tostatura più spinta voluta dallo chef, cui sono stati aggiunti dei baci di dama sbriciolati per accentuarne il sapore, lo zabaione è stato alleggerito a partire da una crema inglese, su matrice “casalinga” con dosi eguali di moscato e marsala, per finire con delle ciliegie di vigna – meno dolci delle altre – sotto spirito con sciroppo al 5%, aromatizzate con scorza di limone, petali di rosa e cardamomo. Un tableau che identifica il senso del dolce in Langa, dalle usanze della campagna ai gusti più borghesi d’impronta classica.
Un capitolo a parte merita la novità introdotta da Marmo, la Merenda Sinoira, un’antica usanza della campagna piemontese per cui l’Osteria Arborina e tutta la struttura apre le proprie porte in una fascia pomeridiana dalle 18 in poi. Progenitrice dell’aperitivo, sinoira deriva da “sina”, ossia cena nel dialetto piemontese, infatti si colloca proprio tra l’orario dello spuntino pomeridiano e quello del pasto serale. I contadini, durante le giornate di lavoro estivo o in vendemmia, si prendevano una pausa tra le 17 e le 18 per rifocillarsi, con un bicchiere di vino e qualche cibo da mangiare velocemente con le mani. Quest’abitudine si è poi diffusa anche in città tra i ceti borghesi, specie nelle domeniche pomeriggio d’estate quando si allestivano buffet freddi a base di carne e zucchine in carpione, acciughe al verde e al rosso, vitello tonnato, insalata russa, capricciosa. È esattamente questo il mood con cui viene proposta oggi la Merenda Sinoira ad Arborina, per cui accanto a un calice di vino ci si trova attorno a un tavolino con una teoria di piattini da condividere, dal pane e fette di pomodoro, i salumi di Mauro Fia, i formaggi di Occelli, la focaccia a lievitazione naturale con pomodoro e origano, pane burro e acciughe. Perché essere contemporanei è non dimenticare da dove si viene, e continuare a raccontarlo con occhio attuale e personalità.
Fotografie di Lido Vannucchi
Indirizzo
Osteria ArborinaFrazione Annunziata, 27 – 12064 La Morra (CN)
Tel: +39 0173 500340
Mail: info@osteriarborina.it
Il sito web del Ristorante