Alta cucina

Il ristorante più antico del mondo riapre: non aveva mai chiuso in 300 anni e il suo forno non si è mai spento

di:
Massimiliano Bianconcini
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casa botin 2023 05 08 08 03 47

Il vero “spirito” del ristorante è il forno, dove si preparano il maialino da latte, l'agnello, la trippa madrilena, alcuni dei piatti tipici della casa. Se paragonati al pre-covid, gli incassi sono ridicoli.

La Notizia

Dal 1725 il Ristorante Casa Botín, in Calle de Cuchilleros 17, a pochi passi da Plaza May, a Madrid, non aveva mai chiuso al pubblico, fino a quando la pandemia non ha costretto a farlo. Un record spezzato solo dal covid-19. Per fortuna, lo scorso 1° luglio l’attuale famiglia titolare del locale è riuscita a riaprire il ristorante più antico del mondo, secondo il Guinness dei Primati, dove Goya, Pérez Galdós e Hemingway si recavano per mangiare il celebre maialino da latte. Una decisione, quella di chiudere, che è costata molto a José González, la terza generazione di proprietari, avvenuta lo stesso giorno in cui è stato decretato lo stato di allarme: "Erano passati tre secoli senza che mai si chiudesse e, non sapendo quanto fosse grave la crisi, abbiamo deciso di chiudere per non rischiare" confessa al magazine “Comer - La Vanguardia”.


Il vero “spirito” del ristorante è il forno, realizzato in granito e mattoni refrattari, ciascuno dei quali lungo trenta centimetri, che ormai non vengono più fabbricati, che aiuta a mantenere meglio il calore. Questa qualità lo rende unico nella preparazione di qualsiasi tipo di cibo e, in Casa Botín , lo alimentano solo «con legno di quercia come combustibile», afferma González. Il forno è rimasto sempre acceso come una «sporca fiamma olimpica», come lo definisce il proprietario, grazie a Marcos Espasandín, da cinque anni nella brigata di cucina, che si è offerto di prendersi cura del forno, abitando vicino al ristorante. A sua volta, González andava al ristorante ogni tre giorni per assicurarsi che tutto fosse in regola.


Anche così, la chiusura è stata un momento difficile come per tutti gli altri ristoranti. Un locale che è stato aperto per quasi tre secoli ha dovuto sospendere l’attività, bloccando anche il lavoro dei 68 dipendenti. La prima cosa da fare è stata affrontare le bollette. Il mese di marzo è stato pagato per intero allo staff. «Abbiamo adempiuto scrupolosamente ai nostri obblighi nei confronti del personale. Fino ad aprile siamo stati in Erte (l’equivalente della Cig straordinaria in Italia) e ora stiamo lentamente iniziando a ripartire con il servizio», sottolinea José González. Al momento hanno quattro persone in cucina, due maître de sal, due camerieri e due assistenti.


Le perdite, anche se non accuratamente contabilizzate, sono state ingenti e pari a migliaia di euro. Come detto, nonostante il ristorante fosse chiuso, il forno è rimasto acceso per consentire anche la realizzazione di pasti di solidarietà che sono stati distribuiti ai servizi sanitari cittadini. La riapertura, avvenuta ormai da qualche settimana è un pianto. «Se paragonati alla situazione pre-covid, gli incassi sono ridicoli ma speriamo che a poco a poco le abitudini si ristabilizzino», confessa, mentre dà un sorriso di benvenuto alle poche persone che attraversano la porta del ristorante. Il giorno della riapertura hanno allestito 15 tavoli, su un totale di 50, distribuiti in due sale, rendendosi disponibili ad accogliere chi voleva provare i nuovi arrosti; o chi preferiva anche solo bere qualcosa, nonostante il ristorante non abbia un bar. Una miseria se si pensa ai 230 posti che praticamente erano coperti ogni giorno. Nel frattempo, hanno adottato una serie di misure per garantire la sicurezza ai clienti, come l'insaccamento e la sterilizzazione delle posate. Inoltre, i dipendenti hanno ricevuto una formazione particolare per seguire meticolosamente i protocolli di sicurezza, imposti dal Ministero della Salute.


Ora il management sta aspettando che il Consiglio Comunale dia loro il via libera, per montare una piccola terrazza esterna. Inoltre, hanno richiesto un aiuto speciale all'Associazione delle taverne e dei ristoranti centenari della Comunità di Madrid, alla quale appartiene insieme ad altri 11 locali, che a tutt’oggi continuano ad assicurare la stessa esperienza di cucina ai clienti. Il maialino da latte, l'agnello, la trippa madrilena e le crocchette di Prosciutto sono alcuni dei piatti tipici di Casa Botín, anche se non più aspettano il loro turno di essere messi in forno in piatti di terracotta adagiati sugli scaffali della cucina in lunghe fila.


Il locale è considerato uno dei 10 migliori ristoranti classici del pianeta secondo “Forbes” ed ha attratto nel corso del tempo personaggi famosi. Attraversare le sue porte è come fare un viaggio nel passato. Le sale hanno assistito ad incontri di politici e diplomatici e, al suo interno, letterati artisti e scienziati si sono lasciati attrarre dal fascino di un piatto della tradizione di Madrid. La cantina di Casa Botín risale addirittura alla fine del XVI secolo ed è ancora aperta. Il ristorante è passato alla famiglia di González, quando i nonni Emilio e Amparo rilevarono l'azienda direttamente dalla famiglia Remis nel 1930, che era stata proprietaria unica dal XVIII secolo. Un retaggio che sarà portato avanti dal nipote di José González, la quarta generazione della famiglia, con un futuro davanti di almeno «altri tre secoli di attività», si augura l’attuale titolare.

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