I clienti come tele da dipingere è la nuova, sorprendente poetica dello chef Massimo Viglietti: «Non si può emozionare con una amatriciana o una carbonara. Per me, fare cucina a certi livelli è un darsi».
L'intervista
Il terzo tempo di Massimo Viglietti, pluristellato chef della Riviera di Ponente Ligure, il cui lavoro è stato molto apprezzato all’Enoteca Achilli al Parlamento, è oggi uno spazio mentale molto simile ad un palcoscenico, che getta un bellissimo ponte tra Oriente e Occidente. In attesa di esercitare per intero e senza limiti la sua innata creatività, applicata alla cucina, nel nuovo spazio del Taki Off, per il momento ha creato un laboratorio di idee e di reinterpretazioni fusion nello spazio kaiten del locale di Yukari e Onorio Vitti, arredato da eleganti bonsai e con un bancone di soli 15 posti, pensato per garantire la distanza di sicurezza. Qui, in questo luogo ancora indefinito e ricco di possibilità, Massimo Viglietti sta mettendo in scena la sua nuova rinascita e, come una crisalide, prende coscienza delle sue ali di farfalla; ossia, fuor di metafora, delle nuove possibilità che può generare tra consistenze, sapori e giochi di colori e accostamenti inediti. Anche se Viglietti preferisce paragonarsi ad una Fenice.«I clienti vivranno un’esperienza immersiva, ogni sera ci sarà una performance differente, con la mia musica di sottofondo. Nei piatti troverete gli ingredienti giapponesi ma non solo, perché ho pensato a delle proposte senza frontiere», dice lo chef. In effetti i quadri che dipinge per il cliente (o sul cliente) spiazzano, come l'amuse bouche a base di patè di quinto quarto in sfoglia croccante. Una delicata delizia che si frantuma e si scioglie in bocca in modo armonioso. Oppure l’antipasto fresco che presenta un’insalata croccante di verdure, baccalà e foie gras, in cui i sapori ben separati e contrastanti del paté di fegato d’oca e del baccalà si fondono annullandosi tra di loro. Altro piatto che merita di essere provato, tra gli altri in menù degustazione, è la Tartare di manzo con gambero e umori della sua testa, spremuti a freddo a tavola direttamente dallo chef, un finissage in sala che dona alla carne gli umori del mare. Insomma, questa nuova rinascita porta con sé una nuova poetica gastronomica tutta da scoprire. Abbiamo intervistato in esclusiva chef Massimo Viglietti per Reporter Gourmet.
Massimo parlaci di questo nuovo progetto che è in fieri.
Il progetto Taki Off vuole essere una fusion tra Oriente e Ponente, visto che io sono della riviera di Ponente Ligure. Abbiamo creato una sorta di gioco tra le parti in questa area di Taki, che nel complesso è una struttura che si sviluppa da via Marianna Dionigi fino a Piazza Cavour, in tre parti distinte, diciamo tre anime: il Keiten, il Classico e l’Off. Io mi occuperò di Taki Off, che dovrebbe essere pronto per la fine di settembre, e nel frattempo mi sto divertendo con Taki Labò, un temporary restaurant nello spazio Keiten.
Che cosa ti affascina di questa avventura?
Chi mi conosce sa che è una scommessa. La scommessa di un ragazzino che entra in un negozio di giocattoli e rimane ammaliato. Io quando vedo certe cose non vedo l’ora di provarle. Per chi non mi conosce è una sorta di rinascita, come essere una fenice che rinasce dalle proprie ceneri. Si fa sempre un gradino alla volta per arrivare a nuovi valori di conoscenza, perché altrimenti ci sarebbe la routine, che a me proprio non piace.
È difficile riuscire ad aggiornarsi sempre o trovare continuamente nuovi stimoli?
Non saprei come rispondere a questa domanda. Ho la fortuna di essere figlio d’arte e, tra l’altro, nipote d’arte. Quindi nella ristorazione, prima di mio padre e mia madre, ci sono stati mio nonno e mia nonna; e quando ce l’hai nel DNA è tutto più facile. Per me è il mio lavoro e la mia vita. Non so in che scala tu preferisca leggerla, per me le cose arrivano naturali. Non è che ci sono arrivato per scelte o altro, ci sono arrivato perché ce l’avevo nel sangue.
Come possiamo definire di preciso questo tuo nuovo momento?
È divertente, perché alle volte neanche io riesco a dare una definizione. Diciamo che è la “parte n. 3” della mia vita, dopo il Palma che ha consacrato me e la mia famiglia agli onori della critica. Poi è arrivata la mia prima rinascita qui a Roma, all’Enoteca Achilli al Parlamento. Adesso c’è questa terza rinascita da Taki.
Hai detto che la cucina può essere tante cose differenti, per te ha anche un aspetto ludico. Mentre adesso si sente dire da chef stellati che bisogna tornare a una cucina di tradizione. A me ha colpito questa tua attenzione all’aspetto ludico e il fatto che per te la cucina non debba essere solo nutrimento, ma anche divertimento.
Se posso parlare senza freni ti dico che chi sostiene questo (tornare ad una cucina di tradizione, n.d.A.) sono persone dall’anima commerciale, che vogliono solo riempire il locale e fare soldi. Io dico che ognuno di noi ha dentro la voglia di tirare fuori qualcosa, almeno quelli che io conosco, quelli che amano questo tipo di lavoro. Quello che tu hai dentro devi darlo, è inutile stare lì a guardare agli aspetti pratici. Se tu hai consapevolezza di quello che è il tuo background, cerchi di portarlo avanti. Per me questo lavoro è darsi e avere la voglia e la volontà di migliorarsi. A me questa ricerca di situazioni banali o altro, per far capire che la cucina è tradizione, va bene fino ad un certo punto. La cucina è tradizione perché tu ce l’hai nel tuo background familiare, che hai appreso dai tuoi genitori. Ma non si può emozionare un cliente con una amatriciana o una carbonara.
Tu hai anche detto che nella tua cucina uno più uno può fare due, ma alle volte può fare anche zero.
Certo, le performance devono essere date da quello che è la personalità, la follia, il genio, la ricerca, altrimenti si è sempre catalogati. Se si fanno sempre le stesse cose, non riesci a uscire dagli schemi. E se non esci dagli schemi non sei libero. Ecco perché trovi aggettivi che ti fanno dire delle cose, che ti fanno fare delle cose, che non è quello che hai dentro e che vuoi dimostrare.
L’ambiente del Taki Kaiten è molto particolare e il viaggio che proponi ai clienti è accompagnato anche da una splendida colonna sonora che tu hai scelto personalmente.
Rispecchia il mio modo di vedere la ristorazione. Per come la intendo io è una sorta di comunicazione, di teatro. Si può pensare agli artisti che fanno tutte le sere dei concerti dal vivo; quindi ad una performance, e come tale deve emozionare le persone che vengono a mangiare da te. Gli stimoli per me sono sempre gli stessi: riuscire a creare, con quello che ho dentro, delle situazioni godibili. Da me oggi non c’è più lo spazio per passare una cenetta intima o romantica, dove il cameriere o il maître escono e chiedono se va tutto bene e alla fine arriva lo chef per i complimenti di rito. Da me è tutto il contrario! Sono io che devo fare i complimenti al cliente, perché è stato bravo, ha ascoltato la musica e ha mangiato quello che gli è stato proposto. Perché ha accettato di fare parte di quello che è stato uno spettacolo che mi ha permesso di esprimermi. Secondo me i clienti devono essere delle tele da dipingere. Non devono essere delle persone da ammansire.
Nell’aspetto ludico, che tu hai messo bene in evidenza, mi pare che ci sia per il cliente lo spazio per sperimentare e provare da solo nuove vie del gusto con sapori che si trasformano in bocca, dando vita a sensazioni multiple, o che si annullano nell’armonia degli opposti. Lo Yin e Yang di questo tuo nuovo momento creativo. Correggimi se sbaglio.
Questo sicuramente fa parte dell’aspetto della mia cucina, della mia formazione. Io ormai ho un’età che è diversa da quella di tanti miei colleghi. In teoria io oggi non ho nulla da dimostrare, mi voglio solo divertire e il fatto che ci sono persone che possono entrare nel mio meccanismo, nella mia testa, che ci possono essere determinati matrimoni, o determinate temperature di servizio, o contrasti, o altro mi fa piacere. Mi fa capire che la gente inizia a comprendere quello che ho in testa. Per il resto, lo ripeto, nessuno nasce critico, ma tutti lo vogliono essere. Il problema è che per essere critici bisogna essere persone con alle spalle un’esperienza notevole e in questo settore, oggi, di esperienza notevole non ce n’è. Tutti vogliono ascoltare la solita musica dalle sette note e quando tu fai delle musiche alternative, suonando quelle stesse sette note, la gente rimane spiazzata. Ecco, io riesco a spiazzare le persone, vuoi per il mio aspetto, vuoi che siano le situazioni che mi creo. Però, per me, fare cucina a certi livelli è un darsi, dare tutto me stesso. Che mi si capisca o no non mi interessa. Questo mi permette di esprimermi. Per me la cucina è una forma di espressione importantissima.
Potevi arrivarci prima a questo stato, come dici tu, in cui non ti interessa più il giudizio degli altri ma solo darti agli altri, guardando poi con curiosità come ti accolgono? Oppure era giusto fare il percorso che hai fatto, arrivandoci a questa età?
Ma guarda io ti dico che il passato non conta, è solo tanto fieno in cascina. Il passato è servito per quello, per guardare con un occhio diverso quello che sta capitando nel presente e che vuoi che ti capiti: creare sempre nuove situazioni, senza avere recriminazioni o altro su quello che è stato. Secondo me i km. da percorrere sono ancora tanti, è inutile guardare quello che hai fatto, c’è ancora tanto da fare.
Qual è il cantante o la band che ti piace mettere come musica di sottofondo in questo periodo?
Più che gli autori mi piacciono molto i progetti che si avvicinano a musiche etniche differenti, anche moderne o concettuali, come Humanist di Rob Marshall. O Unkle, con musicisti molto in gamba. Se mi chiedi quali siano i gruppi che preferisco, ho sempre avuto un occhio di riguardo per gli Einstürzende Neubauten, tra i più originali innovatori del genere rock sperimentale tedesco.
Foto di Alberto Blasetti
Indirizzo
Taki Ristorante GiapponeseVia Marianna Dionigi, 54-62, 00193 Roma RM
Tel +39 06 320 1750