Sessant’anni di tradizione trasformati in un gioiello di eleganza montana: a un quarto d’ora da Cortina D’Ampezzo, un abile chef trentenne mette in tavola la sua cucina “italiana contemporanea” dall’approccio conviviale. Alla scoperta di Baita Piè Tofana, la “creatura gourmet” di Michel Oberhammer.
Baita Piè Tofana
La storia
Rumerlo, partenza della seggiovia Piè Tofana – Duca d’Aosta: Cortina d’Ampezzo e il suo cospicuo bagaglio di alta mondanità sono a poco meno di un quarto d’ora d’auto. Da qui si arriva a piste leggendarie come la Labirinti o la Vertigine Bianca e proprio qui c’è anche Baita Piè Tofana. Sessant’anni di tradizione che Michel Oberhammer ha voluto ricreare a sua immagine e somiglianza, con una profonda ristrutturazione che ha reso questo posto un vero e proprio gioiello e un ambiente di informale eleganza montana, tutto foderato in legno.
Per non parlare di una cantina (vedremo poco più avanti perché) davvero molto ricca. “Il progetto parte dalla mia voglia di mettermi in gioco. Lavoro da tanto tempo nel mondo del vino, un ambito che non c’entra niente con quelle che erano le mie radici: vengo dall’Embassy (celeberrima pasticceria cortinese, n.d.r.), quindi sono cresciuto facendo il gelataio e il pasticciere. A 21 anni ho conosciuto un personaggio che mi ha avvicinato al mondo del vino e mi ha cambiato la vita. Dopo tre mesi ho capito che con gelateria e pasticceria non c’entravo niente, mi piacevano il vino, la convivialità e tutto quello che ci gira attorno. La generosità del prodotto, il fatto che ogni territorio ti fa scoprire sempre qualcosa di nuovo.
Col vino ho ricominciato a studiare anche se non sono mai stato uno studente modello e ho imparato tantissimo di modi di vivere e tradizioni differenti. Così mi sono detto: ‘voglio un posto dove poter vendere il mio vino’. I gestori precedenti di Baita Piè Tofana erano miei clienti e avevano deciso di cedere l’attività. Io avevo già avuto un’enoteca in centro e mi ero fatto conoscere. In realtà ho deciso di buttarmi: non era il mio lavoro ma qualcosa mi sarei inventato.” L’inizio non è semplice, le persone reclutate non sono subito quelle giuste, fino a quando Michel incontra Federico Rovacchi ed Elisa Prudente, si parlano, si piacciono e soprattutto si capiscono.
“È stato poco prima del Covid. Io avevo bisogno di qualcuno che mi indirizzasse bene, sul vino sono una cintura nera ma a livello di ristorazione l’approccio che hanno questi ragazzi è diverso ed è quello che serve. Sei mesi per comunicare al vecchio staff che non ci sarebbe stata continuità e il progetto riparte. Abbiamo iniziato un passo alla volta, facendo conoscenza di quelle che erano le attitudini dell’uno e i limiti dell’altro e viceversa. Ci siamo confrontati e continuiamo a farlo ogni giorno, cercando di capire le dinamiche di questo posto che è un rifugio ma è anche un ristorante in alta montagna in cui si mangia in un certo modo.
Tentando di individuare chi è il nostro cliente giusto e chi non lo è, insomma facendo una selezione naturale. Abbiamo festeggiato un anno con questo nuovo gruppo aggiungendo anche nuovi tasselli in cucina e sono molto soddisfatto: lui (Federico, lo chef) fa ricerca continua, così anche quando ha trovato il prodotto perfetto ne cerca uno ancora più buono il giorno dopo. E poi sa tenere la sua squadra.”
La cucina
Lo staff, qui a Baita Piè Tofana, è tendenzialmente al completo. Questo vuol dire che le persone stanno bene, come conferma anche Rovacchi, trentenne emiliano di Reggio innamorato del suo mestiere: “Vengo da una famiglia nell’ambito della ristorazione, ho fatto l’istituto alberghiero e da lì ho iniziato dalla trattoria fino ad arrivare a un tre stelle Michelin.” Da Cà Matilde con Andrea Incerti Vezzani al Magnolia di Cesenatico prima della seconda stella, non manca un passaggio ad Alba a Piazza Duomo: “Forse Enrico Crippa è il cuoco tecnicamente più bravo che abbia mai visto, un mostro”. Ma l’esperienza più significativa è quella in Val Badia.
“I miei grandi maestri sono stati Norbert e Michele Lazzarini: ho passato lì 6 anni della mia vita a partire da quando ne avevo 23. Il St Hubertus mi ha formato moltissimo, soprattutto a livello di cucina di montagna”. Anche Elisa Prudente, fidanzata di Federico e attuale maître, lavorava al St Hubertus: è stata lei che gli ha fatto conoscere Oberhammer. Continua Federico: “Abbiamo deciso di venire insieme a Baita Piè Tofana, Michel aveva questo bel progetto e voleva delle persone che lo aiutassero a svilupparlo nel modo migliore. E poi lui crede nei giovani, come ad esempio Nicole Groff, sous chef e Lisa Fiorentin chef de rang.”
Quando si parla della regina delle Dolomiti la questione gastronomica si fa sempre un po’ particolare: “È un anno che siamo quassù e adesso stiamo proponendo quello che a Cortina normalmente non si fa; non è semplice trovare ad esempio elementi come animelle e anguilla: vogliamo proporre una cucina un po’ più personale. Ad ogni modo cerchiamo di accontentare tutti i palati, anche se abbiamo un menu non facilissimo. Gli ingredienti non arrivano solo del territorio: ci siamo resi conto che in genere chi viene la prima volta vuole tornare e per noi questa è una gran cosa. Soprattutto gli ampezzani e non è facile, non sono abituati a mangiare questo genere di piatti ma reagiscono molto bene alla proposta che facciamo.”
Rovacchi definisce il suo stile di cucina “italiano contemporaneo, rubando il termine a Enrico Bartolini. Proviamo a proporre quello che pensiamo noi di ciò che l’Italia può esprimere in questo momento. A livello sia di cucina sia di sala cerchiamo di avere un approccio conviviale, per far sentire gli ospiti sempre a loro agio. Dobbiamo metterci a disposizione, perché secondo me il futuro è riuscire a far stare sempre meglio le persone, con meno portate di una volta, con leggerezza.”
Si tratta di una cucina che potremmo senza dubbio definire felice, basata molto sulle carni alla brace e su materie prime rispetto alle quali Rovacchi non intende transigere perché “fanno almeno il 50/60% del lavoro”, su cotture espresse lente in cui si utilizzano il Josper Combo e gli affumicatori. E in casa si producono molti salumi, tra i quali la squisita coppa di testa che arriva come benvenuto, guanciali e lardi.
I piatti
Se il pane è pericolosamente buono, gli aperitivi preannunciano l’alta qualità dell’offerta e richiamano le origini dello chef, a partire dalla tartelletta come un erbazzone e da quella di pasta matta con ripieno di bietole e spinaci, crème fraîche, guanciale croccante e Parmigiano Reggiano.
Il percorso inizia con la squisita animella di vitello arrostita con salsa choron, pioppini sott’olio e cavolo riccio. Cotta nella padella in ghisa “che fa la differenza perché crea quella bella crosticina, fuori è croccante e dentro resta morbida”, nappata nel burro, viene abbinata alla salsa choron che è una sorta di bernese al pomodoro. I funghi portano una giusta dose di acidità al piatto e il cavolo riccio regala freschezza e consistenza.
Altro grande piatto, le lumache cotte al verde con crema di patate e tartufo nero, aglio orsino, schiuma di kefir e whisky, pensato come racconta Rovacchi “con elementi che andassero sulla terrosità e sul minerale per richiamare la lumaca”. Alla base una crema di patate, tartufo nero e topinambur. La lumaca è cotta dolcemente in pentola di ghisa e poi mantecata all’aglio orsino con abbondante burro. Sopra il guanciale ad aggiungere sapidità. Tutto intorno – e questa è la trovata che rende l’idea gastronomica irresistibile - il kefir che fa da parte sgrassante e acida del piatto. Infine, il cerfoglio a rinfrescare con la sua nota verde.
Terzo antipasto, terzo piccolo capolavoro, il coniglio grigio di Carmagnola in fricassea con verza, olive, funghi e salsa foie gras. “L’abbiamo realizzato pensando a una fricassea. Utilizziamo tutte le parti dell’animale, le passiamo in padella e sfumiamo con il Marsala, cercando di replicare l’effetto di una cottura lunga ma che sia espressa per mantenere le carni soffici e morbide. La fricassea alla fine è uno stufato che va legato con l’uovo per creare la crema, noi al posto di quello ci mettiamo una bernese normale, poi aggiungiamo olive, carciofini e funghi per dare l’idea dell’umido. Chiudiamo la carne in una foglia di verza e condiamo con salsa al foie gras, il fondo del coniglio e olio all’erba cipollina.”
Si prosegue con somma soddisfazione, con i bottoni ripieni topinambur alla brace, cervo crudo e salsa civet. Per ottenere il ripieno il vegetale viene passato al forno in modo da togliere l’acqua, poi viene posto sulla brace e infine sfumato con vino bianco e saltato al burro. La salsa civet è realizzata con le carcasse di selvaggina e al piatto vengono aggiunti del cervo crudo un po’ di topinambur affumicato; una goccia d’olio al prezzemolo per finire un piatto di grande gola.
Buonissimo il maiale grigio del casentino in tre diverse versioni: “Utilizziamo quello di Paolo Landi. Il carré lo passiamo alla brace; creiamo una base di salsa romesco con nocciole, mandorle, acqua di pomodoro a cui aggiungiamo anche paprika e ‘nduja. Con le parti delle spalle facciamo un chorizo piccante che abbiniamo al broccolo fiolaro, per giocare su salsiccia e friarielli. Infine il pulled pork, per il quale utilizziamo la pancia: lo andiamo a cuocere quando la brace alla sera ha finito la sua forza e rimane solo il calore residuo, la carne rimane lì tutta la notte e si affumica; poi la tiriamo fuori e condiamo con una salsa speziata al curry e riso soffiato e infine chiudiamo nella foglia di insalata come fosse un barbecue alla coreana”.
Il dolce è tradizionale, confortevole e classico: una serie di meravigliosi bocconi di mela fritta speziata, accompagnata da un ottimo gelato alla vaniglia. La tavola rivelazione di Cortina, da tener d’occhio con grande attenzione.
Indirizzo
Baita Piè Tofana
Località Rumerlo, 32043 Cortina d'Ampezzo BL
Tel: 0436 4258
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