Chef

Iginio Massari: “Vedo troppi panettoni artigianali che non sono preparati con ingredienti top”. Come distinguerli?

di:
Alessandra Meldolesi
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Iginio Massari sorprende per la simpatia non meno che per l’acume e il senso critico, oltre il suo palato leggendario. Ed è a colpi di fioretto che apre la grande torta del tormentone natalizio per antonomasia.

L'intervista

Non è solo la massima autorità della pasticceria italiana: Iginio Massari sorprende per la simpatia non meno che per l’acume e il senso critico, oltre il suo palato leggendario. Ed è a colpi di fioretto che apre la grande torta del tormentone natalizio per antonomasia.



  • Iginio Massari, il panettone artigianale continua a imperversare. Manca poco e lo venderanno anche i cinesi sotto casa. È un bene?


Mi fa una domanda abbastanza complessa, perché vede, quando ci sono tanti campionati del mondo, alla fine non valgono più nulla. L’eccesso di titoli equivale a zero titoli. Che i ristoranti, i pizzaioli, i panettieri si mettano a fare i panettoni, non è un problema. Io so che se devo andare dal medico, scelgo quello che sulla carta è il migliore. Ma un medico è un professionista riconosciuto dallo stato, mentre il mestiere del pasticciere non lo è. Va diversamente in Francia, dove i MOF passano un concorso equivalente a una laurea. Quando il ministro e il segretario consegnano i colletti, dicono: “Tu sei il migliore artigiano del 2020 e puoi rappresentare la Francia in tutto il mondo”. È un onore. Da 15 anni cerco di promuovere questo concetto in Italia, dialogando con i vari governi che si sono succeduti, ma non interessa. Avevo trovato un ministro disponibile, ma è rimasto troppo poco e ogni volta devo ricominciare da capo. Non si intitolerebbe Meilleur Ouvrier d’Italie, perché sarebbe la fotocopia, ma Migliore Artigiano Pasticciere Italiano.

  • Quando assaggia i panettoni in giro, che impressione ne ricava?


Premetto che chi non assaggia è un presuntuoso. Resta ai vertici soltanto chi sa fare autocritica, interrogandosi su cosa sia buono, non buono e perché. I difetti che riscontro più frequentemente sono eccesso di umidità, mancanza di frutta e carenza di tuorli d’uovo. Spesso manca un’identità ben precisa con un aroma corretto. Parlo anche di pasticcieri: nessuno è stato vaccinato per fare solo cose buone. Il titolo va conquistato e mantenuto. Di recente ho assaggiato panettoni da forno di un buon livello, ma poi ho capito che dietro c’era un consulente pasticciere, come succede spesso nei ristoranti. Quindi preferisco non parlarne. Ho visto in giro un panettone alla ‘nduja, ma non sono contrario. Dico sempre che la fantasia è un salvagente, anche se forse non bisognerebbe chiamarlo “panettone”. Un po’ come i dolci senza zucchero al ristorante, meglio definirli “dessert”.  Per quanto riguarda i pasticcieri, ce ne sono parecchi di buon livello, ma non sono così tanti. Se lei è di Bologna, Gino Fabbri. Altri sono stelle cadenti che fanno fatica a rialzarsi.



  • Il suo panettone da cosa si distingue?


Ognuno riconoscerebbe suo figlio, anche se non lo vede da 20 anni. Io lo faccio tutto l’anno, come il pandoro, come la bussolà, specialità a forma di ciambella tipica delle mie zone. Sto studiando un dolce particolare per Milano, che sarà pronto a inizio 2021, in funzione beneaugurale. Attualmente il nostro canale di vendita principale è l’online, tutti parlano della crisi della ristorazione, ma il nostro comparto soffre. Contiamo di meno perché non abbiamo lo stesso indotto, da noi si consuma una pasta, non argenteria e vini, per non parlare della banchettistica.

  • Come sono cambiati i panettoni nel tempo?


Non sono più quelli di 5 anni fa: cambiano le farine, perfino lo zucchero e il burro sono sempre in evoluzione, poi ci sono la sanificazione dell’uvetta e la qualità dei canditi, perché quelli buoni li fa solo un’azienda. Adesso sono tutte divinità, la concorrenza aumenta, le ricette non sono più segrete. Ma bisogna guardare bene gli ingredienti, perché un cioccolato da 30 euro è diverso da uno che ne costa 4, e lo stesso vale per il miele e i canditi. Vedo troppi panettoni artigianali che non sono preparati con ingredienti top.



  • Il panettone è diventata una specie di bandiera per la nostra scuola di pasticceria.


Ma in realtà la nazione che ne produce di più è il Brasile; anche Pierre Hermé ne fa uno buonissimo. Perché è un vero professionista, il Ducasse della pasticceria. Per il resto il dolce più conosciuto al mondo è la Nutella, il secondo è il tiramisù e il terzo, appunto, il panettone.

  • Il pandoro in tutto questo sembra un po’ schiacciato.


In realtà non è così, perché i consumi non sono molto lontani. Ma è più complesso farlo bene e conservarlo nel tempo, visto che lo stampo di metallo ne condiziona la qualità, non è possibile capovolgerlo quindi manca un appoggio di anticollassamento e occorre limitare tuorli, burro e zucchero. La stella è simbolo del Natale, ma basterebbe uno stampo a cono per farlo diventare un prodotto da formula 1.



  • Poi ci sono i dolci regionali, come la bussolà appunto. Possono emergere?


Tutti i dolci di cui parliamo sono partiti dalle case. Quale mamma non ha sbattuto un tuorlo con caffè o Marsala e aggiunto qualche biscotto, se il figlio era malato? “Mangia questo che ti tira su”, in tutti i sensi. Poi è diventato noto quando hanno inserito il mascarpone, ma originariamente era a base di cioccolato. Mi piace pensare che sia il dolce di ogni famiglia italiana. Per quanto riguarda le specialità regionali di Natale, probabilmente riscuoterebbero un grande favore, ma potrebbero diventare note solo attraverso la pubblicità industriale. La meringata si è fatta conoscere così, sebbene sia buonissima per tutti tranne che per i meridionali, che non amano la meringa cotta.

  • Sulle sue tavole cosa ci sarà? Panettone o pandoro?


Entrambi: quando sono ben fatti, sono straordinari, specie se abbinati a un buon Moscato d’Asti alla giusta temperatura. Creme o zabaione mai, però. È come una bella donna acqua e sapone, che truccata al massimo può diventare quasi bella. Imbastarditi da una salsa, sarebbero solo quasi buoni.

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