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Intere categorie spazzate via: come sarà la nuova rivoluzione gastronomica innescata dalla pandemia

di:
Alessandra Meldolesi
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3 Experimental Gastronomy Kathrin Koschitzki

Crisi, dal greco krinein, decidere. Le crisi al loro termine si rivelano formidabili induttori e acceleratori di cambiamenti. Per la ristorazione, il settore più colpito col turismo e lo sport a livello globale, si profilano sfide ambiziose.

La Notizia

Crisi, dal greco krinein, decidere. Le crisi al loro termine si rivelano formidabili induttori e acceleratori di cambiamenti. Ed è probabile che quella pandemica non farà eccezione, non solo sotto il profilo climatico e ambientale. Per la ristorazione, il settore più colpito col turismo e lo sport a livello globale, si profilano sfide ambiziose. Un geroglifico di possibilità che qualcuno sta iniziando a decifrare, tratteggiando luci e ombre di un chiaroscuro non privo di contraddizioni.

 

Il fine dining dell’1%


Il processo di polarizzazione delle ricchezze era già galoppante negli ultimi decenni. Da questa pandemia usciranno vincitori e vinti, con la cancellazione di intere categorie professionali, la strage della classe media e una distribuzione delle risorse ancora più iniqua del passato, che non potrà non riflettersi sull’offerta gastronomica, la cui geografia verrà completamente ridisegnata. Il fine dining si adeguerà probabilmente a quell’1% di cui parlava Gore Vidal, da cui lo slogan “we are the 99%” di Occupy Wall Street. Va in questo senso il successo di locali che interpretano la cucina come wagneriana opera d’arte totale, da Ultraviolet ad Alchemist.

 

La lezione della diversificazione

I business della gastronomia sono tanti: a uscire ammaccati dall’emergenza sono innanzitutto coloro che ne hanno cavalcato uno solo. Fine dining, ristorazione quotidiana, catering e banqueting, eventi, delivery, asporto, rosticcerie gourmet, selezione di materie prime, cucina a domicilio, ospitalità… a essere premianti sono innanzitutto la flessibilità e la capacità imprenditoriale del cuoco. Fino al probabile flirt con l’industria.

 

Il valore della sostenibilità

Nella rivoluzione dei valori che si sta inesorabilmente innescando, la sensibilità ambientale acquisirà un protagonismo ancor più marcato. Se già la Michelin aveva anticipato il trend con le sue stelle verdi, è probabile che queste non resteranno un gagliardetto usa e getta, a scapito forse di certa cucina “chimica”.

 

Locale è bello


È il corollario del punto precedente. Locale è bello negli approvvigionamenti, ma anche e soprattutto nella clientela, fondamento per la solidità dell’istituzione ristorante. A dispetto di tutte le zone interamente dipendenti dal turismo internazionale. È anche vero, tuttavia, che a rafforzarsi è stata innanzitutto l’industria alimentare con i circuiti della GDO.

 

Mangiare h 24

Tramontate le pause pranzo, a causa dello smart working, è probabile che gli orari diventino ancor più destrutturati, come già era prassi all’estero. Abbiamo visto sui nostri schermi merende di bollito alle 6 e cene luculliane in orario da tè.

 

Il rinnovamento degli esercizi

Chiusure, riaperture, azzeramento delle rendite di posizione. I grandi Maestri hanno infinite possibilità di reinventarsi, all’occorrenza atteggiandosi da testimonial o firmando surgelati. Moltissimi altri potrebbero essere costretti a chiudere, innescando un ricambio diffuso della proprietà. Da qui il punto successivo.

 

La democratizzazione di un nuovo “street-food”

È il punto più stimolante, tratteggiato su La Vanguardia da Toni Segarra con qualche accento sciovinista di troppo. Il paragone storico è con la rivoluzione francese, quando la ghigliottina sulla vita di corte sguinzagliò per le strade un piccolo esercito di cuochi disoccupati, che come tutti sanno inventarono il ristorante moderno. Fattispecie questa della più generale democratizzazione di servizi precedentemente destinati agli happy few e trasformati in industrie, con inevitabili ricadute sugli svolgimenti artigianali. Ebbene la situazione ante covid era quella di un fine dining ormai diffuso in maniera capillare nei paesi europei grazie alla sovrapproduzione di giovani talenti da parte di grandi maestri, le cui prodezze erano tuttavia riservate a un pubblico ristretto.


“I ragazzi e le ragazze che soffriranno il peggio di questa catastrofe hanno ereditato l’attitudine anticonformista alla ricerca permanente e lo sforzo naturale verso la perfezione assoluta. Quando come i cuochi dei palazzi della nobiltà decapitata, si ritroveranno per strada, cercheranno il sostentamento in piccoli locali periferici che il terremoto avrà reso più accessibili. E porteranno in ogni angolo a tutte le persone curiose lo spirito di questa ristorazione prodigiosa, di cui solo le élite hanno beneficiato. Crescendo fin dove, chissà. È qualcosa che sta già accadendo. Il virus in qualche mese ci ha trasportato nel 2030, ma non ha inventato nulla. Siamo avanzati a tutta velocità e accelerando processi che erano in marcia, ma con un altro ritmo. E la velocità abitua a rompere, a lasciare indietro i più lenti, quelli che stavano a guardare, ma non volevano correre… Da tutte queste cucine straordinarie guidate da cuochi straordinari sorgerà il talento che porterà uno spirito nuovo sulle tavole della grande maggioranza, propagato dal vento distruttivo della malattia. La prima grande rivoluzione della gastronomia spagnola è stata elitista e intensiva, la seconda sarà estesa e popolare. Un’ondata di felicità quotidiana nascerà dalla profonda tristezza di questi giorni di nebbia”.

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