Un’elegante istituzione gastronomica nata 50 anni fa e presto insignita del doppio macaron, che ha conservato intatto fino ad oggi. Al San Domenico va in tavola la cucina di Massimiliano Mascia, chef e imprenditore pronto a riservare sempre nuove sorprese.
San Domenico
Il ristorante
Storia è un termine di cui spesso si abusa, quasi sempre in buona fede. Del resto, si può dire che ogni aspetto dell’esistenza ne abbia una sua. È la dimensione a fare la differenza, però, specie in un mondo come quello della ristorazione, nel quale capita che l’effimero prenda piede in troppe circostanze. Poi esistono i luoghi che sanno cambiare, adattandosi al tempo senza perdere il loro spirito originario, mantenendo la loro aura intatta e creandosi attorno la dimensione del mito.
Accade a Imola, al San Domenico, uno di quei ristoranti che hanno visto passare letteralmente il mondo, anche grazie al lungo legame con l’Autodromo Enzo e Dino Ferrari, a partire dal 1980 con il primo Gran Premio di Formula 1: va da sé che nel periodo della gara passassero di là personaggi famosi in arrivo da ogni continente. Il San Domenico prende vita nel marzo del 1970, figlio del sogno di Gianluigi Morini di creare un luogo d’accoglienza nel quale gli ospiti potessero godere della grande cucina italiana in un ambiente caldo e curato in ogni dettaglio.
Ai fornelli due anni dopo arriva Nino Bergese, definito da Luigi Veronelli “il cuoco dei re, il re dei cuochi”, convinto da Morini a ritornare in cucina dopo essere stato alla corte dei Savoia e chef personale della famiglia Agnelli e aver già conquistato le due stelle Michelin a La Santa a Genova. È questo maestro a formare un giovane Valentino Marcattilii, il quale andrà poi a imparare il mestiere anche in Francia con cuochi del calibro dei fratelli Troisgros e Fernand Point nell’epoca d’oro della Nouvelle Cuisine. È del 1975 la prima stella Michelin, la seconda arriva solo due anni dopo per essere mantenuta fino a oggi con una breve pausa in contemporanea all’apertura del ristorante gemello a New York.
Se in sala si trova ancora anche Natale (ma è il figlio Giacomo a condurre i giochi), fratello di Valentino Marcattilii, l’ultimo saluto al San Domenico del suo creatore Gianluigi Morini avviene nel dicembre 2020, a cinquant’anni dall’apertura. Il presente in cucina di questa elegante istituzione gastronomica porta il nome di Massimiliano Mascia, nipote di Valentino e Natale, il quale ha fatto il suo ingresso qui a quattordici anni.
Lo chef
Da qualche anno al timone, Massimiliano ha voluto un profondo rinnovamento della cucina, disegnandola personalmente e facendola diventare un’ultramoderna piazza d’armi: ora gli ospiti si possono accomodare al pass e osservare il febbrile brulicare di mani al lavoro gustando piccole entrate golosissime in un clima informale e niente affatto ingessato. Esattamente com’è lo chef, un quasi quarantenne saggio e sorridente che somiglia poco allo stereotipo del cuoco divo che impera di questi tempi. Da lui emergono serenità e una nonchalance che solo un grande professionista può permettersi. E poi l’intelligenza con cui ha gestito insieme a Valentino il passaggio in cucina.
“È stato lungo e graduale. Ho finito la scuola alberghiera nel 2002 poi dal 2003 al 2010 sono stato in giro per l’Italia e all’estero, fino all’esperienza con Alain Ducasse. Una volta rientrato a Imola non sono più ripartito, ma non è che tornato da Parigi mi sia permesso di pensare ‘zio, quella è la porta, arrivederci e grazie’. Non avrebbe avuto alcun senso. Soprattutto perché abbiamo le stesse idee. Certo le cose cambiano, ma non è che si invertano: il mio percorso, la mia visione di cucina e la mia identità sono quelle del San Domenico: quello che vorrei far percepire è che il San Domenico è la maglia che indossiamo. Io dirigo questa squadra, ma qui il nome non è mai stato quello di Valentino, il mio o di chi ci sarà dopo di me. Siamo tutti insieme, sala e cucina, al servizio del ristorante, rispettandone quelle che sono le sue caratteristiche e la sua filosofia e ciascuno di noi contribuisce singolarmente. E poi chi viene da noi capisce benissimo dove si trova.”
Il punto di vista di Mascia è quello di un imprenditore, lucido e pratico: “Ho un punto di vista imprenditoriale, primo perché questi anni lo richiedono di più rispetto agli anni ottanta e novanta, secondo perché anche se non sono figlio dei numeri si tratta di una mia passione. La ristorazione di questo livello non è affatto vero che non è economicamente sostenibile; nel nostro caso è addirittura super-sostenibile: ci sono i bilanci che parlano chiaro, sono pubblici, si possono leggere. Mi piace stare attento, ovviamente senza tralasciare aspetti fondamentali come materie prime e personale.” Ecco perché anche il passaggio di consegne è andato avanti a lungo.
“La nostra staffetta è durata un pochettino, perché comunque quando sono rientrato Valentino aveva 55 anni e ancora tanta carica. Io ho pensato che stare insieme ancora un po’ non sarebbe stato male, avrei continuato a imparare, ci si dividevano le responsabilità, se c’era anche un piccolo errore c’era chi te lo riusciva a coprire. Diciamo che alla fine tra il 2016 e il 2017 ho preso tutto sulle spalle, compresa la parte societaria.”
Visitare il San Domenico è un piacere vero, perché prima di tutto è un luogo bello, di quell’eleganza classica e senza tempo, dov’è naturale trovare arredi firmati Thonet, Frau e Cassina e opere di grandi artisti di arte contemporanea come Alberto Burri a Mario Schifano.
Capitolo a parte, una delle cantine più belle d’Italia, un caveau di cinque secoli fa dove si custodiscono quindicimila bottiglie che vengono rappresentate in una stupenda carta dei vini che conta oltre duemilaquattrocento etichette con una profondità rara: Francesco Cioria è il sommelier che governa questo spazio, dal quale sa scegliere e proporre qualunque cosa si voglia bere, grandi distillati inclusi. E quaggiù, volendo, c’è anche un bellissimo tavolo in rovere apparecchiato con tessuti di Missoni dove qualche tempo fa abbiamo avuto la possibilità di pranzare circondati da rarità enologiche da far girare la testa.
La cucina
Sul fronte della cucina, lo chef ci racconta: “I tempi sono cambiati ed è chiaro che tra gli anni ottanta e i primi novanta al ristorante non c’era bisogno dei coperti che servono oggi: c’erano meno locali e in proporzione ancora più costosi, certi prodotti non si trovavano e tutto era ancora più impegnativo e riservato a poche persone, infatti fino a un certo periodo anche il San Domenico era visto come distante. La mia sfida personale invece è stata quella di aprirlo a tutti, con intelligenza e attenzione però, perché è facile abbassare i prezzi e comprare robaccia per far venir gente. Il mio obiettivo è mantenere una materia prima eccellente e al limite alzare i prezzi pian piano in proporzione ai costi. Allo stesso tempo però, in determinate occasioni, devi inventarti qualcosa per convincere le persone a venire e poi anche a tornare.
Nel 2013 abbiamo realizzato mercoledì 70 (legato all’anno di fondazione del ristorante), un’iniziativa infrasettimanale che prevedeva per mercoledì sera un menu con abbinamento vini a 70 euro con lo scopo anche di ringiovanire la clientela. Per alcuni anni tutti i mercoledì siamo stati pieni e pieni: da noi vuol dire una cinquantina di persone. Oggi gli euro sono diventati 120 e chi è nato dal 1970 in avanti, durante la settimana, di martedì, mercoledì e giovedì può venire a fare un menu degustazione di 6 portate dove si trovano sempre l’uovo in raviolo e alcuni piatti dalla carta con i prodotti di piccoli produttori nuovi che hanno i prezzi giusti. Fare cinquanta coperti di martedì significa che sei stato chiuso il giorno prima e rifai la linea, il mercoledì sera la finisci e giovedì uguale, così arrivi al weekend è tutto è sempre fresco e abbatto i costi fissi.”
Massimiliano ha le idee molto chiare anche su quel che dev’essere l’esperienza al San Domenico: “Vivo senza ansia, faccio quello che so fare e tutti i giorni provo a fare qualcosa di più e curare i dettagli. Di certo voglio pensare che i clienti non siano tutti uguali e che debbano essere tutti pronti alle otto per iniziare la stessa degustazione. Nel nostro tipo di ristorazione possono esistere diverse anime, la carta la dobbiamo avere, se c’è un cliente abituale che chiama il sabato pomeriggio per la domenica e vuole mangiare un piatto lo si deve poter fare. Certo che sarei felice di averne venti insieme che prendono le stesse cose e spendono 400 euro a testa, ci mancherebbe. Ma non è quella la ristorazione che il San Domenico ha sempre fatto, non lo potrebbe essere nemmeno se lo volessi, perché dovrei essere talmente bravo da colmare l’80% di quelli che mi abbandonerebbero.”
I piatti
Che ci si accomodi nel nuovissimo privé (la Saletta22) vista cucina o in una delle sale, i piatti che si trovano al San Domenico sono lo specchio di una classicità senza tempo, a partire da quell’Uovo in raviolo creato da Bergese e Marcattilii e che non tramonta mai, servito con Parmigiano Reggiano, tartufo secondo stagione e burro nocciola: solo piccoli adattamenti hanno adeguato il piatto alla contemporaneità, ma il suo nucleo è quello.
E poi i grandi Tortellini fritti e biscotti di Parmigiano con mousse di mortadella, il Toast mignon, l’Arrostino di coniglio al rosmarino con crema e insalatina di funghi dell’Appenino Tosco-Romagnolo tra gli imprescindibili benvenuti. Ancora la maestria nel Raviolo di faraona e verza con crema al Marsala e tartufo nero. Oppure il Riso mantecato all’olio extra vergine con quaglia arrostita, rapa rossa e polvere di caffè.
Ma ci sono anche piatti d’acqua come le Code di mazzancolle dell’Adriatico con goletta di maiale ed emulsione di borlotti al rosmarino o, tra i secondi, le Noci di cappasanta alla plancia con riduzione di ostriche, Martini dry e vongole veraci.
Tutto è all’insegna del puro e semplice godimento e, per terminare, vale la pena farlo con un altro omaggio a Nino Bergese: la Torta Fiorentina in salsa profiterole e sorbetto di pera Williams, preparata a strati di cioccolato e realizzata per il compleanno di Umberto di Savoia nel 1926. Oppure con un dolce moderno come la Barretta al caffè con biscotto pralinato alle arachidi e gelato al rhum. In ogni caso si starà bene.
Indirizzo
San Domenico
via Gaspare Sacchi 1, Imola, Italy, 40026
Tel: 0542 29000
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