Chef

Da Thomas Keller a Ferran Adrià: come Najat Kaanache è diventata la cuoca più premiata d’Africa

di:
Sveva Valeria Castegnaro
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La chef di origini marocchine cresciuta nei Paesi Baschi nel suo libro “Najat” narra la storia della sua vita tra discriminazioni, difficoltà, tenacia e alcuni dei ristoranti più famosi al mondo.

La Notizia

Najat Kaanache è la chef più premiata d’Africa anche se quando la si intervista non ama sottolinearlo, è anche colei che è riuscita a portare la cucina delle sue origini, quelle marocchine nel circuito dell’alta gastronomia internazionale. Cresciuta nei Paesi Baschi la sua infanzia non è stata semplice date le sue origini e la condizione della sua famiglia. “Da bambina ho avuto una vita povera e questa è stata la mia ricchezza”, afferma. Nonostante la sua lunga e brillante carriera che l’ha portata ad aprire Nur, il suo ristorante a Fez, inno alla cultura gastronomica marocchina, la sua storia non è conosciuta da molti.  “La mia storia non è conosciuta e compresa da molte persone, forse solo da coloro che l'hanno vissuta con me. Ricordo che mia nonna si alzava la mattina per prendere la legna, accendere il fuoco, mungere le mucche, fare il caffè, impastare il pane… Mi ha insegnato a mangiare. Rituali che allora mi sembravano tipici di una vita povera, ma col tempo ho capito che quella era la nostra ricchezza”, dice facendo trasparire un po’ di emozione.


Come per altri chef di fama mondiale il suo “viaggio” tra i fornelli non è iniziato in maniera lineare Najat, infatti, ha esordito come attrice. “Volevo esprimermi, ma non sapevo come. Ho scelto di studiare teatro e cinema e per un po' ho recitato in una serie, ma non mi sentivo affatto in sintonia con il personaggio, così l'ho lasciato e sono andata in Olanda, dove ho iniziato a lavorare in un ristorante. La cucina mi ha salvato la vita, mi ha fatto essere me stessa, mi ha dato la libertà di esprimermi. Per me la cucina collega le anime. La cucina non è riempire lo stomaco, ma nutrire la sensibilità”. L’obiettivo di chef Kaanache non è mai stato quello di diventare la cuoca più riconosciuta d’Africa, anche perché è cresciuta nei Paesi Baschi, ma sentiva che la sua anima sarebbe stata davvero appagata solamente riconoscendo la sua coscienza e le sue origini africane a cui spesso ha dovuto rinunciare da bambina. “ Sono partita dal nulla, a poco a poco lavorando e senza vendere l’anima ho raggiunto i miei obiettivi. E’ stato molto difficile essere diversi. Conoscevo il nome di tutti a scuola, ma nessuno imparava il mio. Non voglio disconoscere il luogo dove sono cresciuta, ma è stato  così. Quando sei “l'altro” tutte le dita puntano su di te, ma devi sapere perdonare la paura della differenza che hanno le persone”, confessa. Najat é sempre stata una giovane donna ribelle che non ha mai tentennato davanti a sacrifici e difficoltà. Durante gli anni della formazione ha lottato e sofferto molto per riuscire ad arrivare a quello che è il suo curriculum oggi. “ La vita di uno stagista è dura, e non l'ho fatta per alcune settimane, ma per mesi e anni. Sono arrivata nella Napa Valley con uno zaino, senza un letto per dormire, e il giorno dopo ho iniziato da The French Laundry, miglior ristorante del mondo nel 2003 e 2004. Ho chiesto aiuto sui social network, ho dormito sui divani di molte persone, negli studi di yoga in cambio di pulirli ... Ma quando indossavo la giacca da chef nessuno doveva sapere cosa dovevo passare per arrivarci”.


Poi l’esperienza con Ferran Adrià che le ha dato la possibilità di liberare il suo cervello per essere se stessa in cucina.A El Bulli c'erano 52 leoni, mi sono dedicata ad osservare, obbedire, capire il tipo di persone che avrei incontrato in questa professione. All'inizio mi sono stati affidati i compiti più difficili e ho cercato di svolgerli con orgoglio. Quando spazzavo o trasportavo meloni, forse non stavo imparando a cucinare, ma la mia resistenza, la mia tenacia, la mia pazienza stavano crescendo. Sapevo che se fossi sopravvissuto lì, avrei avuto la forza di fare qualcosa di grande”. A oggi chef Najat ammette di essere andata ben oltre ciò che da ragazza avrebbe pensato di poter raggiungere.


Sono più lontano da dove pensassi di arrivare... e non sono ancora arrivata. Non è arroganza, voglio fare le cose a modo mio, non voglio far parte di cose che non rappresentano chi sono. Avrei potuto aprire il mio ristorante ovunque nel mondo, ma ho scelto di tornare alle mie radici, alla terra dei miei nonni. Non è stato facile portare avanti Nur, ho pianto molte notti quando ha visto la sala da pranzo vuota. Oggi sono finalmente indipendente. La gente crede che dietro di me ci sia un motore economico, ma il motore è la mia speranza e il mio lavoro. Abbiamo degli ottimi arrosti di carne, tecniche di cottura sotterranee molto interessanti, molto pesce e crostacei. Continuiamo ad utilizzare le tradizionali tecniche di inscatolamento, che sono state di grande aiuto prima dei frigoriferi e hanno un incredibile potere sensoriale. Abbiamo mantenuto una saggezza ancestrale utilizzando erbe aromatiche, aceti, agrumi …”


In questo periodo di pandemia la chef di origini marocchine cresciuta nei Paesi Baschi ha pubblicato il suo primo libro “Najat”, un libro che raccoglie quella conoscenza accumulata nei secoli sotto forma di ricette adattate al 21° secolo in cui la chef condivide tutto ciò che ha imparato dietro i fornelli e non solo.

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