Iniziare l’anno con un 4 mani che jova veramente bonito: il duetto Alex Atala- Francesco Mascheroni si è espresso sotto forma di omaggi alle reciproche culture e sottolineature della propria. Cronaca dell’evento all’Armani Ristorante.
L'evento
A due passi dal Dom de Milan, metti una sera solenne a pendere dalle labbra dello chef del D.O.M di San Paolo Alex Atala. Il luogo sacro è Armani Ristorante. Scopriamo che la sala del ristorante si può raggiungere per due vie perché la pianta del building è a forma di A, come Armani e anche come Anvedi. Manco a dirlo, concelebra l’alto prelato Francesco Mascheroni, da sette anni resident chef in uno degli hotel più neoclassici d’Italia.Atala, che non si dice come la bicicletta ma con l’accento sulla seconda “a”, non ha nascosto l’emozione di tornare nella città in cui visse per qualche tempo, ormai trent’anni orsono. Però è durata poco. Il quattromani ha preso il sopravvento, manifestandosi sotto forma di omaggi alle reciproche culture e sottolineature della propria.
Questo cerimoniale ossequioso, nonostante suonasse come molto costruito nelle premesse, si è rivelato azzeccato in quasi tutte le sue manifestazioni. Per una volta un quattro mani, non è stato affatto un due maroni. E siamo contenti di dirlo perché la percentuale di godimento di una cena è quasi sempre inversamente proporzionale al numero di mani che la realizzano.
Chiudiamo la critica della ragion gastronomica con le cose che proprio non hanno funzionato. La cena è durata tre ore e mezza, a nostro avviso troppo. Complice anche un numero di vini eccessivo. Uno tra il Maugeri – Etna Bianco “Contrada Volare” 2020 e il Domanine Cailbourdin Fumé Les Cris 2020 Sauvignon Blanc, poteva essere sacrificato.
A nostro avviso il bianco francese, anche perché meno adatto ad introdurre e accompagnare la Ceviche di fiori e miele dell’Amazzonia dello chef brasiliano, unica proposta, tra l’altro, che non ci ha per niente convinto. La cosa più buona del piatto era il miele dell’amazzonia, piacevolmente acido. Fiori non pervenuti, o meglio, pervenuti come in fase di appassimento e quindi con più grinze che grazie. Chiuse le virgolette della critica.
Tra le amuse bouche spicca la Michetta tonno rosso, burrata, olio al pimento di Mascheroni, non tanto per il ripieno che in qualche modo ribatte quanto può essere azzeccata la combo pesce crudo/latticino crudo, quanto per la fattura della michetta. Da incensare lo chef per aver indossato la veste del prestiné.
Da grido al miracolo il Sorbetto al peperoncino dolce e ricci di mare di Atala. Il pimenta de cheiro, varietà di peperone molto usato in Brasile, fa da contenitore croccante al sorbetto al peperoncino dolce che si unisce in matrimonio con la pasta di ricci di mare, finché morte non li separi. E speriamo nel frattempo inventino l’immortalità. Un boccone potente e sbarazzino allo stesso tempo, una sferzata fresca che rincula sapidità. Lo mastichi e ti viene un’idea, lo rimastichi e ti esce un grazie mille volte croccante.
Un altro piatto che lascia il segno è una revisione marina di una ricetta milanese di recupero. Atala non è stato solo ospite a Milano in gioventù. Con il Riso al salto, pomodoro fresco, coriandolo, bottarga, vongole, cozze, canolicchi conia, senza volerlo, quello che potrebbe essere anche un omaggio di un pugliese a Milano - è risaputo che a Milano ci sono più pugliesi di origine che milanesi doc. A parte questa spiccia sociologia metropolitana, il piatto è sorprendente. Il riso è come un telaio a cui si appoggiano i colori e i sapori del mare nostrum, appena scottati. La consistenza del disco di riso è magica, sospettiamo sia stato lavorato con aceto di riso o simili, i frutti di mare trasudano sodezza ed elasticità. Il coriandolo non prevale e non fa gridare nessuno allo scandalo o al lupo al lupo. Forse è il pomodoro fresco l’unica cosa che ci lascia un leggero punto di domanda. Pomodoro sì, ma avremmo scelto una varietà meno dolce e più acida.
In molti scrivono che i piatti in condivisione sono i trend del momento. Noi li avevamo già depennati da prima del covid. Sarà che ci è tornata la voglia di incrociare i piatti e gli sguardi come subliminale vendetta pandemica. L’agnello è la vittima sacrificale, in versione Polpette di spalla, spezie al sugo, lime + Costolette alla milanese, tuberi e radici. Le prime sono caramelle sapide e golose, le seconde spariscono in tre morsi. Mi metto a servire i compagni di tavolo, le polpette le conto per non trasformare la condivisione in cortina di ferro. Il gran finale non è il dolce, bensì la portata che Atala e Mascheroni si prodigano di servire al tavolo. Un Aligot realizzato con formaggio del Minas Gerais che Atala tesse al cucchiaio e lascia cadere nel piatto. Il procedimento serve a mantecare la pasta semifusa del formaggio.
Non è un piatto inedito dello chef di San Paolo. Qui, tuttavia, viene sublimato dal gesto di Mascheroni: una copiosa grattata di tartufo nero pregiato. Gli occhi trattengono il respiro e il palato esulta.