Roberto Brovedani, un uomo che ogni persona di sala che si rispetti avrebbe dovuto conoscere, capace di creare un’atmosfera di festa e rompere ogni convenzione formale. In grado, verso fine cena, di far parlare tra loro tutti i commensali di ogni tavolo, mettendo chiunque in un agio profondo.
La notizia
Solo pochi mesi fa su queste pagine, in una piccola indagine tra addetti ai lavori sui ristoranti che mancavano di più e che ognuno di noi avrebbe voluto visitare al primo istante possibile di tregua da questo maledetto periodo, d’istinto e senza esitazione ho scritto Laite a Sappada.La casa di due persone che prima di essere ristoratori rappresentavano (e rappresentano ancora per me) l’emblema assoluto dell’accoglienza. Una coppia di una spontanea dolcezza assoluta che sapeva farti entrare in un mondo unico, al di là di cappelli, stelle e forchette, oltre ogni valutazione.
I piatti di Fabrizia, certo, la loro paradossale e meravigliosa complessa immediatezza. Ma alla regia, alla porta o fuori con la neve a recuperare l’acqua dalla fontana oppure ancora con un calice in mano ad aspettarti, lì c’era Roberto.
Roberto Brovedani, un uomo che ogni persona di sala che si rispetti avrebbe dovuto conoscere, capace di creare un’atmosfera di festa e rompere ogni convenzione formale. In grado, verso fine cena, di far parlare tra loro tutti i commensali di ogni tavolo, mettendo chiunque in un agio profondo. Stappando di tutto, perché quando capiva che la sua passione era la tua arrivava a tavola ogni calice del mondo.
L’ultima volta era l’una di notte e mi sono ritrovato con quattordici bicchieri davanti. Gentile, divertente, da uomo di montagna mai però sussiegoso, di quella gentilezza che in questo momento storico pieno di arroganza e supponenza renderebbe tutto più luminoso, senza quella fatica a sorridere a cui ci stiamo abituando. Adesso, come da qualche tempo a questa parte, tocca a Elena; che non conosco, ma sono certo che del papà abbia la grazia e della mamma il gusto.