Cucina e sala, le due metà della mela che si sostengono e completano a vicenda, concorrendo al successo di un ristorante. Ma allora perché si parla solo di cucina e così poco di sala? Insieme a 4 voci femminili del fine dining abbiamo disegnato un quadro della situazione attuale.
Fine dining, non solo cucina: quattro donne di sala si raccontano
Il fascino della cucina, dei fornelli accessi, della brigata al lavoro e dello chef che, come un direttore d’orchestra, ha la capacità di dare indicazioni creando armonie: inutile dire che in tanti siamo da sempre, e sempre di più, conquistati dal mondo della ristorazione, complici senza dubbio i programmi televisivi e la visibilità che gli chef hanno conquistato nel tempo.Ma c’è una parte di questo universo, parimenti importante, che non gode della stessa visibilità nonostante della cucina sia il completamento. Si chiama “sala”. L’altra metà “della mela”, senza la quale l’esperienza gastronomica non risulterebbe, e in alcuni casi non risulta, altrettanto indimenticabile o piacevole. Perché sì, il servizio e tutto ciò che attorno ad esso si muove, è quell’aspetto in grado di accrescere la percezione sensoriale, esperienziale e gustativa della tavola.
Un ruolo che a poco a poco sta venendo sempre più in luce, o forse no? A disegnare un quadro della situazione sono quattro voci femminili del panorama italiano che si sono distinte per professionalità, personalità e progettualità nella gestione del servizio dell’accoglienza ristorativa.
MARIELLA ORGANI - LA MADONNINA DEL PESCATORE (SENIGALLIA)
“La sala ricopre un ruolo sempre più importante, percepisco maggiore interesse sul tema. Si tratta di un lavoro affascinante che necessita di una scelta sostanziale per quanto riguarda l’impostazione della propria vita privata e professionale, perché l’impegno richiesto è significativo. Se pensiamo alla gestione della sala in Italia i tempi sono più lunghi, l’ospite italiano è impegnativo, preparato ed esigente. Il nostro compito è saperlo accontentare e accompagnare nell’esperienza”.
Quali sono le caratteristiche del lavoro in sala?
“È il mondo dell’accoglienza, della cura del tempo, dell’ambiente, dell’ascolto. Sono tanti gli elementi che contribuiscono alla creazione di una sala capace di far stare bene i clienti. Io sono sempre stata una conservatrice, iperprotettiva verso il gruppo di lavoro che rappresenta la vera forza: se il gruppo è coeso e vive bene l’ambiente lavorativo, saprà regalare benessere anche gli ospiti.
La sala più bella è quella composta da persone con carattere, passione, capaci di curare al meglio i diversi dettagli. Non sono azioni meccaniche, bisogna esserne portati. Ecco perché è necessaria una grande sensibilità per capire chi ci si trova davanti, per mettere a proprio agio con la giusta discrezione. Non a caso ho sempre considerato il ristorante come un guscio nel quale sentirsi protetti”.
Si potrebbe fare di più per raccontare la sala e il lavoro che si cela dietro l’accoglienza?
“Molti aspetti sono ancora poco conosciuti, per questo a volte non per tutti è semplice capirne il ruolo. E la scarsa visibilità rende sempre più evidente il rischio delle mode e della mancanza di personalità: in pochi hanno il coraggio di osare e proporre qualcosa di diverso per quanto riguarda servizio, mise en place e non solo. Si tende a uniformare, mentre è primario avere una idea e distinguersi”.
E i giovani quale approccio hanno verso questa professione?
“C’è una forte crisi di identità nella professione. Dobbiamo saper stimolare interesse nei giovani, raccontare nel modo giusto il ruolo sociale di alcuni lavori. Anche in questo la formazione è fondamentale. Alle nuove generazioni ripeto che bisogna innamorarsi di un lavoro, altrimenti svolgerlo è troppo faticoso. A questo si aggiunge la necessità di viaggiare, conoscere, confrontarsi e non rimanere chiusi nella solita quotidianità. Per crescere e aprire la propria mente”.
Un augurio per il futuro?
"Mi aspetto che ci sia sempre più studio, riflessione e responsabilità verso quello che abbiamo creato negli ultimi quarant’anni. Questa professione va protetta”.
LUDOVICA RUBBINI – SAN BRITE (CORTINA D’AMPEZZO)
“Ho intrapreso questa strada 15 anni fa e penso che da allora ci sia stato un cambiamento generale della ristorazione. La sala ha sempre avuto un ruolo fondamentale, di spalla e completamento per la cucina. Purtroppo fino a oggi si è data importanza solo a quest’ultima, ma noto un maggiore interesse e penso che nei prossimi anni assisteremo a una ulteriore evoluzione in positivo. È bene ricordare che maître e cameriere ricoprono un ruolo da frontman e devono essere preparati ad affrontare le diverse situazioni, a dialogare e far stare bene i clienti. Un compito molto complesso, perché ogni giorno bisogna essere nella propria giornata perfetta”.
Qual è la tua idea di sala e accoglienza?
“La sala non è per tutti. Partiamo dal presupposto che ogni cliente ha delle aspettative che noi dobbiamo soddisfare o migliorare. Questo anche se la situazione che ci troviamo davanti è difficile.
Per quanto mi riguarda ho cercato di costruire una sala molto personale, esattamente come lo chef fa con la cucina. Una sala taylor made che possa far vivere una esperienza perfetta, in linea con la filosofia generale che desideriamo trasmettere anche attraverso la cucina”.
Quanto è complesso coinvolgere i giovani in questa professione?
“I giovani vanno accompagnati e stimolati. Bisogna cercare di essere moto comprensivi, far capire loro la bellezza e importanza di questa professione. Poi c’è un altro tema, ovvero quello della sostenibilità del lavoro a cui noi teniamo particolarmente. Dobbiamo cercare di organizzare tempi di servizio più sostenibili e assumere personale, perché la soluzione non è chiudere il ristorante. Perché il bello di ciò che facciamo è essere scelti dai clienti e noi dobbiamo trasmettere la forza di questa attività: oggi il cameriere è colui che fa stare bene gli altri.
Sicuramente c’è bisogno di formazione. Anche in questo aspetto cerchiamo di investire sempre con la volontà di far sentire i nostri ragazzi e ragazze persone in grado di affrontare diverse situazioni. Lo facciamo permettendo loro di dialogare, viaggiare e conoscere altre realtà anche attraverso scambi professionali tra colleghi”.
A proposito di futuro?
“Mi aspetto che si parli sempre di più del ruolo della sala, ma soprattutto della sua bellezza”.
MONICA MAZZOCCHI –LA PALTA (BORGONOVO VAL TIDONE – PC)
“Dall’inizio della nostra esperienza nel mondo della ristorazione sono passati più di trent’anni, abbiamo vissuto l’ambito della trattoria con i nostri genitori, fino alla realtà che oggi ci racconta e rappresenta. In passato il servizio era molto più semplice e il cliente meno esigente. Ma la situazione è cambiata, lo era già prima della pandemia ma ciò che è accaduto negli ultimi tre anni ha accelerato il processo. I clienti sono diventati più pretenziosi, talvolta diffidenti forse per timore. Il compito della sala è quello di far sentire a proprio agio, trasmettere benessere e sicurezza. Non è solo un desiderio, ma la nostra missione.
Considero l’inizio del servizio come uno spettacolo teatrale dove ognuno di noi va in scena per raccontare i piatti, presentarli, accogliere con il sorriso, comprendere le esigenze e far vivere una esperienza immersiva”.
Come viene percepito oggi il lavoro della sala?
“Qualche anno fa si dava molto meno spazio al tema, tutta l’attenzione era rivolta alla cucina, ma qualcosa sta mutando. Noto maggiore interesse sia per quanto riguarda la stampa e i media, sia da parte dei clienti. Posso dire che i programmi televisivi non hanno aiutato a mettere in luce il ruolo primario della sala in un ristorante, anche se mi rendo conto che forse il tema è meno notiziabile”.
Che risposta c’è da parte dei giovani?
“Facciamo fatica a trovarli, i dati delle scuole professionali mettono in luce una contrazione nella richiesta di formazione nel campo della sala. Da parte nostra cerchiamo continuamente di trasmettere tutta la bellezza che c’è dietro questo lavoro e tutte le possibilità di crescita e formazione che è in grado di offrire. Non è facile, sicuramente richiede sacrificio ma ripaga con gradi soddisfazioni. Chi continuerà nel percorso è visibile fin da subito, lo si percepisce dall’approccio”.
Potrà esserci una evoluzione in futuro?
“Lo spero, mi auguro che vi sia sempre più interesse verso questa professione perché rappresenta il completamento di un ristorante. Un completamento che permette di imparare, capire e stare con le persone, ma anche viaggiare e vivere esperienze significative”.
CARLOTTA PERILLI – RISTORANTE BU:R (MILANO)
“Lavorare in sala vuol dire essere propensi all’apprendimento, al racconto, all’ascolto, al gesto del servire e saper accogliere. Perché il ristorante è un luogo dove ci si ristora, dove si deve stare bene. Noi in questo siamo fortunati, abbiamo attualmente una brigata principalmente al femminile che ben risponde agli stimoli. Ma se mi guardo intorno penso che il mondo della sala si trovi in un momento involutivo, non sono in tanti ad aver voglia di dedicarsi a questo lavoro in virtù dei sacrifici che richiede.
Ciò che non si riesce a vedere nitidamente è la magia che si cela dietro questa professione, quella capacità di creare la giusta atmosfera. La sala è in grado di salvare una serata che non sta andando bene. Non esiste cucina senza sala così come il contrario”.
Forse si parla troppo poco di questo tema?
“La sala ha un potenziale enorme che non viene raccontato, in più negli ultimi anni è stata svilita e non aiutata. Si deve fare di più, spero che questa sia solo una fase di transizione poiché si sta perdendo la magia del servire”.
I giovani come reagiscono?
“Il momento storico incide sulle scelte e il carattere dei giovani. Al nostro team della brigata noi cerchiamo di trasmettere l’importanza del progetto di cui fanno parte, nonché di sottolineare quanto rendere felici gli altri sia gratificante. Non dimentichiamo poi le numerose possibilità di viaggio e conoscenza che questo percorso professionale riesce a regalare”.