Tratti di Inkiostro sul déjà-vu: a Parma Giacomello alza il tiro con un menu avanzatissimo per tecniche e ricerca gustativa, senza compromessi stilistici.
La Storia
La Storia di Terry Giacomello
La malattia dei nostri tempi? È la neo-stalgia, ha scritto qualcuno. Ovvero la nostalgia del nuovo tipica di una cultura rivolta verso il passato. Ma c’è chi non si rassegna a questa perdita del futuro. Fra gli irriducibili svetta Terry Giacomello, chef che durante la sua precedente vita spagnola ha appreso il valore dell’irriverenza e dell’originalità, prima ancora di un patrimonio di tecniche e concetti. “Per entrare in carta un piatto deve essere più nuovo possibile, più originale possibile, che si tratti di un ingrediente, una tecnica o qualsiasi altra cosa. Anche se è sempre più difficile riuscirci”, dice.
Sarà per questo che il quarto degustazione, servito all’Inkiostro di Parma, non offre appigli o rassicurazioni di sorta: nella mancanza di riferimenti alla cucina italiana (leggi primi piatti) e comunque al già noto, è il più avanzato finora creato. Non manca il territorio (il Parmigiano, il prosciutto crudo), che però viene catapultato in mezzo a riferimenti classici (la patata fondente, la salsa olandese) e diversioni asiatiche, in un gioco rizomatico dove ogni punto può essere connesso a tutti gli altri. Il risultato è un hapax gastronomico, espressione unica e irripetibile, che parafrasando il filosofo Jankélévitch non ha precedenti né riedizioni, né pregusto né retrogusto, non viene annunciato da segnali premonitori né conosce una seconda volta. Parola d’ordine: stupire.
Difficile fermare il goniometro lungo i 360 gradi della cucina, tanto umami-conscious quanto inebriante di profumi, sapientemente punzecchiati dal piccante; ora ipertecnica ora elementare, ma sempre elegantissima. Sono 16 portate a 130 euro, per mangiare come solo in una capitale globale. Invece siamo a Parma, feudo del conservatorismo gastronomico, dove le lancette sembravano essersi fermate agli anolini.
I Piatti
Si comincia con la classica tartelletta con purè di mais affumicato e uova di lompo, per un’idea di polenta che riporta ai natali friulani. Poi il sedano macerato nel succo delle sue foglie con maionese di alghe e katsuobushi; la sbrisolona di olio di zucca alla maltodestrina con yogurt liofilizzato, per un giocoso effetto bruscolino, ma fondente; il tacos di piadina con ricotta e sfilacci di cavallo, tipicità parmense; la brioche al vapore effetto maritozzo con gelato di tartufo nero. Poi un’alga bianca e trasparente, insapore e inodore scovata al mercato di Pechino, messa in infusione nella senape e spolverizzata di plancton di fronte a un raviolo di obulato con Parmigiano, zenzero e menta. Diversamente umami, diversamente piccante.
La penna di calamaro è un trompe-l’oeil preparato con una mescola di mannitolo e trealosio, per il basso potere dolcificante, utilizzando stampi in silicone per dentisti. Viene servita con una maionese di calamaro (ottenuta lasciando macerare il cefalopode brasato nell’olio e poi montando il grasso con il liquido rilasciato) e un garum delle interiora preparato con il batterio koji. Mono ingrediente e purtuttavia in equilibrio.
Sorprendente il midollo di prosciutto crudo, che continua a scherzare sui prodotti di scarto. Si tratta di un Ruliano 18 mesi fornito dal produttore (una stagionatura superiore risulterebbe problematica), il cui osso è aperto, svuotato, il midollo congelato e passato al Pacojet diverse volte. Addizionato di acqua per mitigare l’aggressività e pochissima xantana (è il grasso stesso, altrimenti troppo duro, a rassodarsi), riprende il filo rancido del cracker con olio di prosciutto. Lo accompagnano un caviale di colatura di alici, che resta nel registro del “putrido”, mentre cita involontariamente il seminale midollo e caviale di Adrià, e un sorbetto di uva. Cum lenitate asperitas: sapidità/rancido versus morbidezza/profumo.
Il cuore di vitello è marinato nel sale, poi sottovuoto per 35 giorni nel succo di rapa rossa, che man mano fermenta. Effetto carne salada. Viene servito a fettine piacevolmente tenaci con un vadouvan di foglie di lime kefir, curry, aglio e finocchio, una composta di wasabi e alga nori per sgonfiare la dolcezza e un’insalatina dolce-acidula-mentolata.
Piacevolissimo poi lo stacco dei germogli di fiore di loto, acquistati in un mercato londinese, macerati in uno sciroppo all’aceto e serviti con una classica salsa olandese al burro “bruciato” e un battuto di foglie di shiso, sesamo e soia liofilizzata, più altri germogli di senape e nasturzio.
Più aggressivo il fegato di rana pescatrice, spurgato in salamoia e cotto nella pellicola a 65 °C per 20 minuti, servito freddo con tucupì, succo amazzonico di tapioca fermentata, fra il dolce e l’acido, miele di trifoglio e salsa di soia affumicata.
“A Pechino ho assaggiato i nidi di rondine, fatti con la bava gelatinosa degli uccelli, e ho pensato di riprodurli con un ingrediente familiare”. Ecco allora i filamenti di siero di Parmigiano 24 mesi da vacche rosse addensati all’agar-agar, serviti con succo di lattuga fermentato insieme a grani di kefir e olio di semi infuso ai trucioli di palissandro, effetto rosa.
E poi mamma Francia. “Quando avevo vent’anni mio zio era chef di un cinque stelle a Venezia. Facevamo queste patate cotte col brodo e glassate nel sugo di carne, ma non fondevano per quanto tenere. Mi è rimasta la fantasia di una patata fondente che fondesse per davvero. La realizzo con un involucro di mannitolo e isomalto, spuma di patata e fondo in stile elBulli, senza odori”. L’effetto visivo è quasi da crème-caramel, con le testure estremizzate. In accompagnamento una birra salata.
Torna il “mot rare” nell’abalone abbattuto e cotto per 5 ore a 68 °C, servito con “escabeche” di carota ottenuto da centrifugato, aceto, vino bianco e cipolla, più bacche di sambuco e fiori di ficoide glaciale per la leggera sapidità.
Riportano alla Cina le cartilagini di pollo, per la precisione a uno spiedino di cartilagini di quaglia. Queste vengono cotte sotto pressione per 25 minuti e servite con marmellata di scorza di cedro in salamoia, ricci di mare e foglie di stellaria media in un’esplosione di contrasti sapidi e amari. Il pollo al limone più buono del mondo.
La ventresca di salmone è fatta rassodare nell’isomalto, per una minore invasività, e piastrata; grasso su grasso, viene servita con una zuppa di extravergine del Garda, ottenuta da emulsione di acqua e tapioca, e un kefir di latte di cavalla.
Ma la Spagna è nel cuore: la mela “ammuffita”, omaggio al Mugaritz, è un capolavoro. Parte dalla tecnica inca della nixtamalizzazione, con il frutto tenuto a bagno in acqua e calce per due ore abbondanti, che produce una crosticina; seguono la cottura in acqua e lattosio e l’inoculazione del penicillium candidum, che in cantina nell’arco di 5 giorni sviluppa la muffa del brie. Custodisce un succo di mela verde infuso al cardamomo nel sifone, per il contrasto balsamico. Formaggio a fine pasto, ma anche una ficcante provocazione che sfida tabù ancestrali.
Finale scherzoso con il Poli-stirolo di riso soffiato ripieno di gelato al cavolo viola e zucchero alla viola di Parma, in omaggio a Francesca Poli, impeccabile patronne.
Indirizzo
Ristorante InkiostroVia San Leonardo n 124 – 43122 Parma
Tel. +390521776047
Mail info@ristoranteinkiostro.it
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