Non meno schivo che instancabile, Paco Perez è lo chef operaio della cucina d’avanguardia spagnola. Discepolo di Michel Guérard e Ferran Adrià
La Storia
La Storia di Paco Perez
Miramar di Llançà, Enoteca di Barcellona, Cinco di Berlino, Terra e Sea Club dell’Hotel Alabriga a S’Agaró, Eggs, Royale e Bao Bar, concept restaurants barcellonesi dedicati a uova, hamburger e panini al vapore dai sapori catalani o spagnoli: è un piccolo impero quello che Paco Perez ha costruito negli ultimi 30 anni. Eppure dell’imperatore non ha nulla, piuttosto è umile e instancabile come un operaio della gastronomia, anzi dell’avanguardia spagnola, visto che non smette di ricercare, alimentando quella spinta propulsiva che altrove è scemata da tempo. Vedi l’uso della stampante 3D per il finto alveare di meringa, fra le altre cose.
La sua biografia ricorda vagamente la saga dei Roca: anche lui, come Joan, Josep e Jordi, ha iniziato a gattonare nel locale senza pretese di famiglia. Un bar di tapas a Llançà, dove ha deciso di appendere gli scarpini del calciatore al chiodo per una precoce vocazione, che fin da bambino gli ha suggerito la ricetta di una pizza cotta al suolo. Dopo gli studi, alternati alle stagioni, e il vagabondaggio di rito, risale al 1984 il matrimonio con Montse Serra, proprietaria con la famiglia del Miramar, ristorante convertito al gastronomico puro grazie all’affiancamento da Michel Guérard e Ferran Adrià. Cosicché oggi la cucina contempera il classicismo con la sperimentazione, la sostanza con l’azzardo, senza mai dimenticare il prodotto, al centro di composizioni schiette dal sapore mediterraneo. È sugli stessi fornelli che continua a svolgersi la sperimentazione creativa, con la messa a punto di 120-150 piatti l’anno, dalle tapas di benvenuto ai dolci, alcuni dei quali possono essere poi replicati presso gli altri ristoranti del gruppo, che pure hanno stili differenti. Le 35 corse del menu di Llança, ideate con lo chef trentenne Luis Alonso, hanno un contenuto spiccato di innovazione, in continuità con l’esperienza da Adrià. Mentre l’Enoteca di Barcellona, ristorante dell’hotel Arts, preso in gestione nel 2008, data la collocazione serve una cucina più ecumenica, la cui impronta classica, soprattutto al gusto, attinge a piene mani dalle memorie francesi, ma con la consapevolezza tecnica odierna.
Poi c’è l’ultimo arrivato: il ristorante Terra, inaugurato nel luglio 2017 a S’Agaró, località turistica della Costa Brava. Qui Paco Perez, non meno talent scout che imprenditore, come spesso accade, ha spedito a comandare un suo discepolo: il trentenne Antonio Arcieri, nato a Lamezia Terme ma cresciuto sul lago Maggiore, da figlio di emigrati, che potrebbe in futuro tornare in Italia. La sua formazione professionale si è svolta quasi tutta in Spagna: “L’idea della cucina è venuta a mia madre; ricordo che stava lavando i piatti, alla fine delle medie pensavo di diventare geometra ma lei ha suggerito: ‘Perché non provi a fare il cuoco?’ Appena finito l’alberghiero a Varese, sono subito partito: non avevo ancora passato l’esame che avevo già il biglietto in tasca. A mettermi in contatto con Perez era stato il titolare di una pizzeria dove lavoravo. Da gourmet conosceva un giornalista spagnolo in grado di procurarmi uno stage. A me che avevo il mito di Ferran, non è parso vero di poter affiancare un suo allievo. Ed è stato uno choc: non riuscivo a credere che stesse accadendo, mi sembrava di vivere in un’altra realtà. Anche perché in Spagna secondo me si impara più velocemente. Ho avuto la fortuna che il capo partita e il suo aiuto agli antipasti lasciassero entrambi a stretto giro e sono stato subito promosso. Le partite le ho girate tutte, nel 2011 ho anche compiuto uno stage a elBulli grazie alla mediazione di Paco, per il rotto della cuffia prima della chiusura. Ed è stato come guidare una Ferrari per un appassionato di motori: una leggenda. C’erano 80 cuochi contro i 10 del Miramar; una disciplina militare assoluta, con Ferran seduto come un re e tutto elBulli che gli girava intorno. Qualcosa di surreale: avevo studiato tutti i libri ed è stato come ritrovarmi in un film”.
“Al pari di Alex Vehi, chef ventiseienne dell’Enoteca, entrato giovanissimo a Llançà, ho accompagnato la crescita di Paco. E da secondo di cucina ho seguito le aperture del ristorante di Berlino e del pop-up di Dubai. A S’Agaró, in un cinque stelle di proprietà russa, con l’executive Marco Gonzales proponiamo una carta tradizionale. Paco spesso suggerisce l’idea, arriva con un foglio scritto a penna che sembra un geroglifico, nemmeno lui lo capisce: ‘Voglio fare il capretto, oppure un riso ai ricci di mare’. Noi iniziamo le prove e quando passa ad assaggiare la carta aggiusta, arrotonda, varia”. Comincia già a delinearsi qualche piatto firma, per esempio il cetriolo di mare con trippa di baccalà, ceci freschi e pancetta iberica, dove la salsa di pelle di oloturia propizia la collosità di un guiso, lo stufato spagnolo. Oppure il riso preparato come una paella, con il brodo di gamberi e i gamberoni alla brace, finito sulla piastra per formare la crosta e servito rovesciato a mo’ di tatin. I profumi sono quelli della Costa Brava: iodati, anisati e balsamici grazie agli ecotoni marini e montuosi di un paesaggio commestibile, tutto gustativo. Per accompagnare il menu degustazione, che costa 155 euro, ci sono le 1000 referenze della carta dei vini.
I Piatti
Anche all’Enoteca l’impronta è marinara e stagionale. Vedi per iniziare il ceviche di ostrica con un leche de tigre della sua acqua, coriandolo, zenzero, peperoncino e al posto del lime succo di lulo, frutto colombiano che vira verso il mite e il floreale, presentato in uno stampo congelato di emulsione di ostrica; oppure il tonno in escabeche, servito crudo e marinato con varie consistenze intorno al grasso e al gelatinoso, spazzate dall’acidità.
La parmentier è preparata con l’acqua degli ovoli e accompagnata da foie gras e uovo a bassa temperatura, con elegante centratura del sottobosco autunnale. La stessa del bonbon di porcini ai gamberi, con le polpette di gamberoni alle alghe cucinate nella salsa di funghi, la salsa olandese e il gambero intero alla plancha, di cui succhiare la testa, in liaison aromatica con il tartufo.
È una finta pasta il cetriolo di mare alla carbonara, con pancetta iberica, la pelle del mollusco per il collagene arrostita in padella e di nuovo il tartufo: al posto della solita seppia, per una consistenza diversa.
Ma sono eleganti soprattutto i secondi. La sogliola alla mugnaia tartufata, per cominciare, con la salsa vellutata di lische e acqua di tartufo, il filetto a bassa temperatura e poi alla piastra per un’apoteosi classicista.
Oppure il giovane piccione con il petto alla francese, rosolato al burro, la polpettina delle cosce, il fondo di rito e due olive sferificate che finiscono per creare la salsa in bocca, fornendo il contrasto salato e amaro alla dolcezza della carne; più un panino al vapore di parfait di rigaglie.
La mano è più giovane nella pasticceria. Vedi il predessert: una macedonia legata dalla gelatina dello sciroppo della frutta stessa, ridotto anche in sorbetto, per un’idea di frutta sciroppata e anche di tartelletta senza biscotto. Oppure il Principe, con il gelato di biscotto modellato negli stampi e la crema di cioccolato all’interno per una tenera nostalgia d’infanzia.
Le fotografie dei piatti sono di Francesc Guillamet
Indirizzo
Ristorante MiramarPasseig Marítim n 7 - 17490 Llançà, Girona (España)
Tel. +39 972 38 01 32
Mail info@restaurantmiramar.com
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