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Alice fantasy: il successo di Viviana Varese

di:
Alessandra Meldolesi
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alice fantasy il successo di viviana varese eb99

Nella nuova location di Eataly Smeraldo, Viviana Varese e Sandra Ciciriello trasformano il migliore pesce di Milano in una travolgente commedia all’italiana.

Il Ristorante

La storia del ristorante Alice


Energia, passione, umorismo, sprint. C’è da chiedersi il segreto di Viviana Varese e Sandra Ciciriello, coppia ormai rodata sulla scena milanese, a guardare i numeri del loro nuovo ristorante Alice, ubicato da un anno e mezzo presso Eataly Smeraldo, nella zona più glam di Milano. 70 coperti per una media di 120 persone sedute quotidianamente a tavola, più un numero imprecisato di passaggi che sono costretti a girare i tacchi anche a inizio settimana. Numeri importanti, ben lontani dal pallottoliere dello stellato italiano tipo, che fanno di Alice un ristorante straordinariamente popolare, anzi pop nel suo appeal trasversale.


“Abbiamo sempre lavorato tanto, anche in via Adige”, commenta Viviana fra i riflessi blu della sala che ha progettato personalmente, al terzo piano di quello che era un teatro, dove oggi va in scena il miglior pesce di Milano, con panoramica sulle luci della città. Il proscenio è quello rettangolare della grande cucina a vista, che sprofonda dietro il pass per un paio di varchi, raggranellando un centinaio buono di metri quadrati. Tutt’intorno arredi moderni che citano le vestigia di una mareggiata attraverso l’elemento ricorrente di legni pregiati. Provengono dalla bottega del migliore falegname del mondo, Riva, che ha confezionato per il ristorante il lungo tavolo conviviale in legno kauri vecchio di 70mila anni, con il gioiello trasparente della ferita di resina, su supporto disegnato da Renzo Piano e gli incredibili piatti in legno vetrificato del Madagascar. Ma ci sono anche le briccole veneziane quale trait-d’union con lo iodio della cucina.


“La mia idea era quella di un locale elegante ma senza tovaglie, per trasmettere il senso elementare della materia. Le venature del legno, la superficie liscia del sasso su cui poggiano le posate. Durante le ferie di Natale lo perfezioneremo, lavorando all’insonorizzazione sul soffitto e dalla porta d’ingresso”. Fuori pulsa infatti il viavai di Eataly con i suoi mille ristorantini, cui Viviana fornisce alcune basi di cucina grazie a personale dedicato: cinque elementi sui ventiquattro della brigata complessiva, giovane e in gran parte femminile, su cui svetteranno a breve le toque rose di Ida e Olimpia. “Un’altra sinergia riguarda l’approvvigionamento di pesce: Sandra si reca cinque giorni a settimana al mercato del pesce di Milano, per noi e per tutta Eataly. Così se all’ultimo momento ci manca qualcosa, basta allungare la mano”.


È il coronamento di una carriera iniziata pasticciando con la base per le pizze da bambina: “Dall’età di 7 anni, quando abbiamo lasciato la Costiera, dove sono nata, i miei genitori mi hanno fatto fare il giro dei piccoli centri della Lombardia, dove via via trasferivano il loro ristorante. A 13 anni ero già una pizzaiola finita, capace di preparare l’impasto e accendere il forno a legna, sempre all’opera nel fine settimana. E quella sensazione di fiamma mi manca: ho sempre in menu la pizza fritta, come un’esca nostalgica. Anche la pasta cresciuta, che però mi riporta piuttosto a mio nonno, che ai primi del ‘900 gestiva il caffè bar Varese a Salerno, con pasticceria e rosticceria. Ho ancora le foto dei camerieri che servivano in smoking bianco e papillon nero sui pattini negli anni ’60, mentre sul lungomare sfrecciavano i carretti del gelato”.

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Raviolo Aperto
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“Saremmo rimasti tutti lì, se il terremoto dell’Irpinia nel 1980 non avesse soffocato il turismo. Papà decise di vendere tutto ed eccoci raminghi al nord. Io a quei tempi non ci pensavo proprio a fare la cuoca, mi sembrava una vita di puro sacrificio; però andando a vivere da sola, a 19 anni, per mantenermi non ho trovato di meglio che fare la capo pizzaiola in un pub, dove sfornavo 600 pizze al giorno dalle 6 di sera alle 6 di mattina. Nel frattempo cercavo di formarmi un po’, perché a parte gli insegnamenti di mia mamma Carla, specializzata in parmigiana, grigliata e carbonara, sono totalmente autodidatta; così a 20 anni sono finita in stage da Marchesi. Sfumata l’occasione di aprire un locale in Danimarca, alla morte di mio padre ho deciso di ristrutturare il suo Girasole, un ristorante senza troppe ambizioni, che però lavorava tantissimo. L’evoluzione in senso gastronomico è stata graduale: ci sono stati i corsi all’Étoile, al Gambero Rosso e da Cast Alimenti; poi ho conosciuto Sandra, che ha iniziato a procurarmi pesce di primissima scelta. Nel 2005 ho eliminato la pizzeria e dopo due anni, quando la cucina aveva già fatto un bel balzo, ho deciso di vendere e di aprire insieme a Sandra a Milano. Senza smettere di perfezionarmi: in stage sono passata da Alinea, poi al Celler de Can Roca e da Christian Puglisi, interprete di una cucina fresca, acida, mediterranea, pienamente nelle mie corde”.


“In via Adige siamo partite con una cucina tranquilla, ma siamo subito state travolte da una valanga di articoli. Il primo anno è stato un inferno: dormivamo 4 ore per notte e soffrivamo di stress da performance, perché il pubblico era più informato ed esigente. Non sapevamo neppure cosa fosse la Michelin, ma quello che facevamo piaceva perché aveva un sapore mediterraneo, servivamo un grande prodotto al giusto prezzo. Così nel 2010 è arrivata la stella, e devo dire che ce l’aspettavamo. Se abbiamo deciso di lasciare è stato perché lavoravamo in 7 dentro una cucina di 22 metri quadrati, con i frigoriferi in basso e una temperatura che d’estate rasentava i 50 gradi: ergonomia zero. Così quando Oscar Farinetti ci ha offerto questa occasione, l’abbiamo colta al volo”.

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A.Mare
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La cucina non è cambiata: esuberante come il rigoglio della Costiera, vivida di una solarità generosa, supererogatoria come lo è sempre il gioco. Irriducibile a un concetto o a uno stile, come è proprio della scrittura femminile, sebbene qualcuno possa storcere il naso appellandosi a una maggiore riflessività e coerenza. Quella di Viviana Varese resta una cucina femmina nel senso di Hélène Cixous, libera da ogni “ortopedia concettuale”, impossibile da fissare proprio perché, come ogni pratica femminile, “eccederà sempre il discorso retto dal sistema fallocentrico; essa ha e avrà luogo fuori dai territori subordinati alla dominazione filosofica-teorica”. Insomma è vitalità pura.

I Piatti


In attesa del menu tutto finger food, sequenza di 12 assaggi globali, dalla tortilla al ceviche, ai panini al vapore con sugo di sconcigli e al risotto al plancton, in chiave fusion anzi contaminata, con ingredienti italiani e preparazioni straniere, si possono ancora gustare alcuni evergreen di via Adige, per esempio il Carpaccio e fantasia, rapsodia composta di venti ingredienti fra pesci, frutta ed erbe aromatiche, nel filone del sushi italiano, e i superspaghettini con brodo affumicato e julienne di calamaro. I menu degustazione sono due, intitolati alle socie: Viviana, con 7 portate a 100 euro, e Sandrina, con 5 portate a 90 euro; più il vegetariano Io può, composto di 5 corse a 80 euro.


Si comincia in ogni caso con la bellezza di 8 appetizer: il bonbon di salmone con finocchio e panna acida, la pasta cresciuta alle alghe, il mezzo pacchero fritto, farcito con mousse di grana ed erba cipollina, il pane carasau con baccalà mantecato, la pralina di hummus con burro di cacao e sesamo, la cozza in gelatina di mare con cipolla al Campari, il bouquet di insalatina con crema di pistacchi e Aceto Balsamico in polvere alla maltodestrina, divertente condimento solido lubrificato dall’acquosità del vegetale. Dove già brilla lo stile eteroclito del pasto, fra spunti nordici e luccichii mediterranei, con la novità di ispirazioni mediorientali o comunque esotiche, destinate a ricorrere nell’uso delle spezie e della frutta secca come elemento grasso. “In questi anni ho viaggiato tanto, ma è la stessa Milano con il suo melting pot a influenzarmi. Questo poi è l’anno delle spezie, che prima non amavo, e in particolare del pepe”.

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Passion
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Si entra nel vivo con l’ostrica Gillardeau unita a granita di mela verde, ghiaccioli di frutto della passione e panna acida, assediata da una triplice acidità, quella doppia della frutta e quella diversissima del latticino, più la foglia di erba ostrica a rafforzare la sensazione di mare. “È nata dalla difficoltà di abbinare il mollusco, che prima sposavo al cetriolo. Perché il crudo sembra facile, ma è in assoluto il piatto più ostico da personalizzare”. Da sempre una specialità della casa.

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Rosemary’s ceci
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Segue una portata del nuovo corso: la crema di ceci al curry con calamari ed estratto di rosmarino alla Greenstar, italianissimo pesce con i legumi, spinto dalla nota mediterranea del rosmarino, ma spolverizzato di esotismo, “perché in questo periodo mi ritrovo in tante cose diverse”.


Dove risalta la profondità del brodo di calamaro, ottenuto da molluschi di prima scelta e in grande quantità (1 kg per 4 litri d’acqua), lungamente ridotto.

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Raimbow
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A fungere da intermezzo fra antipasti e primi è un piatto vegano: la melanzana baby, fritta “a quaglia” come piaceva a Gualtiero Marchesi, servita con crema di arachidi, cipollotti bruciacchiati e brodo sempre di melanzane, ma arrostite. “L’idea mi è venuta in Birmania, dove hanno una cucina molto basica, composta di pochissimi piatti; la cosa migliore è questa melanzana bruciata sul fuoco e servita con cipolla e arachidi. Io facevo già la melanzana al barbecue e ho voluto proporla in tre consistenze, con una crema di aceto e olio di sesamo. L’anno scorso mi sono dedicata molto alla cucina vegetariana, mentre questo è il periodo della carne”.

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Verde brillante
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Il senso tutto meridionale del gusto e delle consistenze, che significano freschezza e colore, la vita dell’ingrediente nella sua massima espressione, esplode nel verde brillante delle linguine Verrigni ai ricci, servite su un piatto tappezzato di clorofilla di prezzemolo (perché un estratto rischierebbe di ossidarsi), che avvolge olfattivamente l’ospite, messo in condizione di dosarlo a piacimento e comunque coinvolto nel divertimento del piatto, più una noce di burro di manteca per una nota quasi di formaggio. Una interpretazione atipica, che esalta la dolcezza del riccio a discapito della mineralità.

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7 la rinascita
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L’altro primo, 7 la rinascita, reinterpreta la cacio e pepe nella scia di Massimo Bottura: i tagliolini vengono cotti in un’essenza di pecorino, ottenuta lessando il formaggio per 3 ore a 60 °C e lasciando affiorare la crema, da cui si ricava la spuma che guarnisce il piatto. In finitura il mix di 7 varietà di pepe, da distribuire in prima persona (il vasetto resta in omaggio all’ospite). “Cercavo una cacio e pepe che restasse morbida più a lungo e l’ho trovata in questa soluzione, che ricompone durante la mantecatura al tavolo l’integrità del formaggio. Sono fissata con la cabala e il 7 in particolare mi insegue da una vita, dai civici della case in cui mi trovo ad abitare all’età in cui maturano le svolte decisive. Ho scelto il pepe annusandolo: attualmente dispongo di un database di 50 barattoli”: una salernitana sulla via delle spezie.

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Polp fiction
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Il piatto del giorno però è l’ombrina, appena spadellata sulla pelle dopo il passaggio al Roner e servita con ravanelli e lardo di Colonnata, in una bellissima sinergia di grasso e piccante, sorta di nduja ma sulfurea, dove gli isotiocianati vengono mitigati nella loro sensazione perturbante, anzi agevolati nell’espressione da un grasso comunque aromatico, che funge da trait-d’union con la barbabietola, cotta sempre nel lardo. Completa il piatto, per un’acidità dal sapore nordico, lo yogurt.

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Universo
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Dopo il predessert di frutta in osmosi (la mela rossa al mirtillo, l’ananas al lampone, il melone al frutto della passione), sotto il segno del fregolismo, chiude l’albicocca in un campo di mais, composta di gelato di mais, chicchi di mais al barbecue, salsa e spugna all’albicocca, con i frutti bruciacchiati e la nota affumicata a bilanciare creativamente la dolcezza. In abbinamento tante bollicine e vini del sud scelti da Sandra, comprese bottiglie al femminile come la gamma di Marisa Cuomo.

 

 

 

Indirizzo

Alice Ristorante c/o Eataly Milano(ex teatro Smeraldo)

Piazza 25 Aprile, 10 - 20121 Milano

tel. +39 02 49497340

Mail: info@aliceristorante.it

Il sito web del Ristorante Alice

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