Ristoranti di tendenza

Chi è Massimiliano Mascia

di:
Alessandra Meldolesi
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L’erede del San Domenico, che ha fondato l’alta cucina in Italia, si presenta con un menu a sua firma. In continuità con il classicismo di Valentino Marcattilii, che ha tenuto accese le due stelle; con qualche inquietudine a spettinare le geometrie.

La Storia

La Storia di Massimiliano Mascia


Ipermnesia, ovvero l’illusione della quasi-presenza del passato, cui si accompagna la sensazione dolorosa della separazione. È questo il sentimento di cui è ostaggio chi entra al San Domenico, sancta sanctorum dell’alta cucina in Italia. Fuori dal tempo nella tappezzeria preraffaellita autentica (psichedelia schizzata da William Morris) che avvolge un’esperienza gastronomica assoluta: senza dubbio la massima espressione del classicismo in Italia, da quando nel 1970 un sognatore chiamato Gianluigi Morini tentò l’assalto al cielo da una piazza di paese, a Imola.




Avviata sulle guide solide di Nino Bergese, cuoco di casate nobiliari convertito alla ristorazione da Morini, la cucina non ha mai abbandonato il suo stile francesizzante e “borghese”, nell’accezione del principe dei gastronomi Curnonsky. Quindi una grande cucina "di casa", allestita giorno dopo giorno al mercato e fissata da menu irripetibili, che tuttora ispirano l’allievo più eccellente di Marcattilii, Giancarlo Perbellini. Un anticonformismo canaglia e irresistibile, mentre tutt’intorno impazzavano mode evanescenti come una spuma al sifone. Lo sapevano già i Greci, del resto, che la dea della memoria ha partorito le Muse, buon ultima Gasterea cantata da Brillat-Savarin.


Ne è consapevole anche Massimiliano Mascia, che sta per raccogliere un testimone scivoloso dalle mani dello zio Valentino. Lui predestinato con certezza notarile eppure instancabile nel battere grandi ristoranti, per guadagnarsi ciò che era già catastalmente suo. "Fin da bambino ho desiderato essere cuoco, tanto da mettermi in divisa alla recita di Natale in prima elementare, quando fra il bue, il pastore e l'asinello è spuntata una toque. Nello stupore generale, anche se forse avevano già capito tutti. Mia mamma, sorella di Valentino e Natale, che guida la sala, era parrucchiera; ma io fin da piccolo andavo al ristorante per osservare come facevano le uova di cioccolato e mi perdevo nei miei sogni. Erano gli anni del San Domenico a New York e Valentino portava a casa regali e foto della Grande Mela: qualcosa di magico per un bambino. Per questo ho frequentato l'alberghiero, continuando ad aiutare nelle vacanze e nel week-end. Senza godere di nessun favoritismo, perché cercavano di dissuadermi in ogni modo. Un giorno Valentino mi mise a fare solo carote e zucchine tornite, ma erano inguardabili e quando rientrai dalla pausa erano già ridotte in purea: tutto calcolato, solo io non avevo ancora capito".


"Conoscevo le esperienze di Valentino, che dopo Bergese era stato da Vergé, Haeberlin, Troigros; quindi anch'io sapevo di avere un percorso da fare. L'ho intrapreso già durante la scuola, alla Solarola dove lavorava Bruno Barbieri; poi ho iniziato a trascorrere 6 mesi a Imola e 6 mesi in giro: a New York, al Mulinazzo, da Romano, da Vissani, Da Chibois in Costa Azzurra e Ducasse a Parigi. Era il 2009 e finalmente realizzavo un sogno rincorso in mille modi. Mi ha preso l'anima: 8 mesi al Plaza Athénée equivalgono a 5 anni altrove, lavoravo 16 ore al giorno tanto che ho perso 7 chili. Mi ha colpito quella grande classicità, fatta di rigore e pulizia. La cucina che amo".


"Nel 2010 sono tornato stabilmente a Imola, con 6-7 anni di esperienza sulle spalle, in cui avevo imparato a lavorare in gruppo. Ho girato tutte le partite (amo particolarmente i primi), finché pian piano non ho iniziato a gestire la brigata e gli ordini in prima persona. Siamo una famiglia, quindi la transizione è stata naturale. Oggi io e Valentino decidiamo insieme i cambi di menu e le ricette, con il contributo di tutti quelli che lavorano con noi. Proviamo insieme e poi discutiamo, come in un brainstorming".

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Fotografia di Dario Sequi
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Massimiliano, però, sa anche che l’eccesso di memoria può impedire di agire. Paralisi che sventa con una sensibilità tutta sua: "Cambiano i tempi e cambia la cucina. Personalmente tendo a riunire sul piatto pochi ingredienti, sempre riconoscibili; amo i colori e la leggerezza, la semplicità e la pulizia in bocca. Ma non toccherò mai i classici, come l'uovo in raviolo; semmai intendo affiancarli con portate meno impegnative. Sarà questa, credo, la cucina del San Domenico in prospettiva. Come accade anche in sala, dove cerchiamo di non essere ingessati, pur mantenendo la giusta professionalità".

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Fotografia di Luca Martignani
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A Massimiliano va anche il merito di avere impresso una svolta al marketing di un ristorante storico, facendo il sold out con iniziative quali il déjeuner sur l'herbe, picnic gourmet sul prato antistante al ristorante. E neppure la cantina, che ha pochi eguali in Italia, si è fermata: vanta 1200 etichette, con straordinarie eccellenze in verticale grazie alla lungimiranza di Morini, tanto in Italia che in Borgogna; ma anche proposte sintonizzate sulle tendenze odierne, vedi lo straniamento di un Gravner sull'uovo in raviolo di Bergese.

I Piatti


Si comincia con i tortellini fritti, ironico omaggio al territorio in versione snack, per proseguire con piatti che portano tutti la firma di Massimiliano. Lo scampo avvolto nella goletta di maiale con emulsione di piselli, per esempio, giocato sul contrasto fra la tendenza dolce comune al crostaceo e al vegetale e la sapidità del salume, più qualche goccia di limone nell'emulsione, ottenuta al sifone, senza aggiunta di grassi. "Leggerezza e padella, quindi, perché sono un giovane cuoco all'antica. Preferisco il gas all'induzione".


A seguire il trancio di rombo chiodato con asparagi cotti, crudi e vongole, dal piacevole morso tenace ottenuto sempre in padella, talvolta anche in oliocottura. "Lo preparai per il Bocuse d'or nel 2010 e ci piace riprenderlo, quando sul territorio troviamo la materia giusta, gli asparagi di Altedo. Sono crudi ma anche spadellati a julienne, quindi croccanti, verdi e lucidi. Un'esplosione di clorofilla che sposa lo iodio dei molluschi".


La passione per i primi piatti scalda anche il riso mantecato al pesto con capasanta alla plancha, pomodori confit e burrata, sincretismo di pasta e riso che rievoca la Santa di Bergese, a Genova. "Un piatto tricolore, con i nostri colori e i nostri sapori. C'è il nord, c'è il sud, c'è tutto. Il carnaroli è cotto classicamente, partendo da un fondo di scalogno con vino bianco leggero e brodo vegetale, poi viene mantecato con poco olio, burro e pesto, quando non è troppo caldo, per non perdere il colore e la fragranza. Abbiamo sempre abbinato il pesce ai latticini, anche freschi; ricordo in particolare un astice con la burrata. Perché le cose buone al 99% stanno bene tra loro".


I cappelletti allo squacquerone con tartufo nero e sottobosco fanno spirare in tavola un rigenerante venticello autunnale, come quelle portate che nel kaiseki servono a evocare nostalgie extrastagionali. Quindi cappelletti di solo squacquerone e Parmigiano, perché "siamo a tutti gli effetti romagnoli", con tartufo nero, porcini e frutti di bosco di Castel del Rio. "La sfoglia la tiriamo noi, al matterello; quando ne occorre tanta chiamiamo anche una sfoglina".


Il filetto Rossini è filologico e da antologia. Un piatto dal linearismo modernissimo, che giustappone ingredienti e gusti separati. "Si tratta della ricetta codificata francese, senza nessuna variazione. Quindi il filetto di manzo di Sassoleone, rosolato in un mix di burro piemontese e olio di semi, che tiene le temperature e forma una bella crosta; il foie gras d'oca, più resistente alla rosolatura; la salsa ottenuta deglassando al Madera con l'aggiunta di tartufo tritato e fondo di vitello, bruno o demi-glace poco importa; sopra qualche lamella croccante in finitura".


Il finale è sotto il segno della freschezza: quella della bavarese di camomilla con crumble al cocco e frutto della passione, per il croccante e l'acidità.

 

Le fotografie sono di Bernardo Ricci

Indirizzo

 

Ristorante San Domenico

Via G. Sacchi – 40026 Imola (BO)

Tel: +39 0542 29000


Mail: Sandomenico@sandomenico.it


 

 

Il sito web del ristorante san domenico



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