Culurgiones: storia e cultura di una pasta ricamata di Sardegna che ha conquistato l’olimpo delle paste italiane IGP.
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I Culurgiones sardi
I culurgiones o culurgionis (e altre varianti lessicali) sono una pasta fresca ripiena, tipo ravioli. Si utilizzano farce diverse, che spaziano dalla semplice ricotta, alla ricotta aromatizzata al limone o all’arancia, al ripieno di formaggio e bietole, di cipolle, con un pizzico di zafferano sardo, sino ai culurgionis d’Ogliastra, così chiamati dal nome dell’area storica di cui sono originari, con ripieno di patate, formaggio, strutto o olio Evo e menta, che da poche settimane sono diventati IGP, prodotto a Indicazione Geografica Protetta.
La ricetta varia di paese in paese, chi la individua con l’aglio o meno, chi con la menta e chi senza, e via discorrendo, una versione di Villagrande riporta un pizzico di basilico, c’è chi mette le cipolle, altrove.
Chi cerca vetustà in questa pasta sbaglia, nel senso che sicuramente la parola è antica e anche la tipologia di pasta, ma il ripieno risale ‘appena’ all’Ottocento, cioè al periodo di diffusione del Solanum tuberosum nelle zone montagnose dell’Isola, in primis Barbagia, Gallura interna e Ogliastra appunto, dove la presenza secolare di orti, il clima la ricchezza d’acqua permise a questo tubero andino di introdursi nell’alimentazione sarda.
Dunque questa tipologia di pasta risale con probabilità al primo trentennio dell’Ottocento. L’etimologia storica del nome è molto dibattuta; personalmente mi convincono due etimi, quello dell’esperta di lingua sarda Manuela Ennas, che fa risalire a “culleus”, sacchetto di cuoio, l’origine del nome, e quello che fa risalire il nome a “cuna”, culla e anfratto. Entrambe le parole accompagnano la forma di questa tipologia di pasta così speciale.
In un documento del 1811 compaiono in un elenco di pietanze sarde “il pane di vin cotto, le zippole ed i culurgionis de casu”, una delle prime testimonianze scritte su questo prodotto.
Un’altra curiosità consiste nel fatto che le donne ogliastrine avevano inventato un attrezzo rudimentale per schiacciare le patate e ridurle a purea, la quale veniva utilizzata ampiamente in cucina, per arricchire l’impasto del pane, ad esempio, o nei culurgiones appunto. Questo “streccapatata” o “sciasciapatata”, era simile agli antichi ferri da stiro, in legno di castagno. Alcuni esemplari sono ospitati nei musei etnografici locali.
I culurgiones sono in compagnia degli IGP: Cappellacci di zucca ferraresi, Pasta di Gragnano, Pizzoccheri della Valtellina e Maccheroncini di Campofilone. A livello di paste alimentari ‘tradizionali’ il Mipaaf ne registra molte nella propria banca dati, comprese le sarde (malloreddus, fregula, lorighittas, andarinos ecc.) ma le IGP sono ancora relativamente poche, se si pensa al fatto l’Italia è storicamente una delle patrie della pasta, e al giorno d’oggi chi dice pasta dice Italia, come ha ben chiarito recentemente la giornalista Eleonora Cozzella nel suo libro Pasta Revolution.
Stupisce infine anche che non ci siano Dop tra queste paste, evidentemente per l’insufficienza di materie prime esclusivamente locali, quali una Dop richiede, mentre per i prodotti certificati l’optimum sarebbe ovviamente chiudere la filiera, o almeno provarci.